Di setacci e di vasi, di travi e pagliuzze, di semi, di alberi e frutti
Gustav Courbet, Le viaggiatrici di grano, 1854
VIII domenica del Tempo Ordinario (C)
(Sir 27,5-8 / Sal 91 / 1Cor 15,54-58 / Lc 6,39-45)
Heureux qui s’abandonne à Toi, o Dieu,
dans la confiance du cœur.
Tu nous gardes dans la joie, la simplicité,
la misericorde.
Beati chi si abbandona a Te, o Dio,
nella fiducia del cuore.
Tu ci custodisci nella gioia, nella semplicità,
nella misericordia.
Concedi, o Signore, che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà di pace
e la Chiesa si dedichi con gioiosa fiducia al tuo servizio.
Dio nostro Padre, che hai inviato nel mondo la Parola di verità,
risana i nostri cuori divisi,
perché dalla nostra bocca non escano parole malvagie
ma parole di carità e di sapienza.
Amen.
(orazioni dalla liturgia odierna)
Dal Vangelo secondo Luca (6,39-45)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».
Immagini plastiche e quotidiane quelle evocate dalla Parola di Dio in questa domenica. Oggetti di uso domestico…. quasi che a toccarli ogni giorno dovessero già rimandare essi stessi alla Parola di Dio. Per questo amo alcuni gesti quotidiani: non vi nascondo che ogni volta facendo il bucato non riesco a non pensare a quell’inciso relativo alle vesti di Gesù nell’episodio della trasfigurazione, quelle vesti che nessun lavandaio riuscirebbe a rendere così bianche. E poi il sale ogni volta che si cucina e il miracolo del lievito ogni volta che preparo il pane. Per non parlare di ciò che evoca un orto.
Accanto poi ci sono altre immagini, quelle che davvero nessuno avrebbe pensato di vedere in questi giorni, nel cuore del Vecchio Continente. E quando dici Vecchio non pensi alla stanchezza, alla demenza… si pensa ancora alla cultura, agli insegnamenti preziosi, Historia magistra vitae…… appunto! Quella storia che non è mai abbastanza maestra. O forse sono solo i suoi alunni a non applicarsi abbastanza.
Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti… I vasi del ceramista li mette a prova la fornace (Sir 27,5). Eccoli i primi oggetti quotidiani che danno spunto alla riflessione. Ho visto alcune volte non solo un artista modellare l’argilla, ma l’ho pure visto caricare un forno per la cottura dei suoi manufatti: un altrettanto delicato e prezioso lavoro: d’equilibrio e di giusta distanza tra i vari pezzi. Il forno dev’essere carico al massimo per ottimizzare i costi, ma i pezzi devono essere ben posizionati. Il calore deve poter cuocere ogni pezzo, senza che l’uno si fonda con i restanti e ogni singolo pezzo è vagliato al fuoco: basta una bolla d’aria rimasta nascosta all’interno dell’impasto per mandare in frantumi l’opera. Tutto prende forma, si plasma, si modella, si imprime, tutto riecheggia ed è un rimando: dai racconti degli inizi dove l’uomo è visto proprio come un’opera modellata da Dio, passando per il racconto del profeta Geremia invitato a scendere nella bottega del vasaio (Ger 18,1-12) fino a giungere alle parole di Paolo quando dice: Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi… (2 Cor 4,7-9)
E che dire del vaglio del grano? Che dire di tutto il lavoro precedente, dalla semina in poi? Tutto suggerisce paziente attesa. Tutto rimanda al lavoro altrui. Tutto chiede enorme rispetto e il valore del grano, di un vaso, di un frutto cresce passando di mano in mano. Così è della Parola. Il suo valore cresce dalla semina alla stagione della raccolta. Il suo valore è vagliato nella stagione dei frutti.
Mi son fatto da qualche parte nel cuore questo piccolo tesoro di immagini, di segni e di simboli che si richiamano l’un con l’altro. Un po’ come un bambino che pesca da un cesto (di montessoriana memoria) alcuni oggetti di uso domestico che la mamma gli ha messo a disposizione come fossero giochi ma sono invece indizi o strumenti per imparare la Vita. Mi piace tantissimo quando Gesù associa alle sue parole, segni, oggetti e simboli. È un modo efficacissimo per dire quanto il suo Regno sia vicinissimo a noi e i suoi insegnamenti sono a portata di mano… per la vita di ogni giorno, intendo.
Al vaglio le nostre parole, prima ancora dei nostri comportamenti. Sapendo – ma ancora fatichiamo a crederlo – che ogni parola detta produrrà degli effetti. Siamo così dualisti che dividiamo sempre il mondo tra coloro che parlano soltanto e coloro che fanno concretamente. C’è un legame troppo profondo invece tra ciò che si dice e ciò che accade. Il frutto viene dall’albero, ma ogni cosa ha inizio da un seme. Ecco… il seminatore uscì a seminare (Mc 4,3) Senza quello, niente frutto! Al vaglio sementi e frutti, parole e opere.
E poi la trave e la pagliuzza. Chirurgia delicatissima per quest’ultima. Urgenza e forza per la prima. Ma né forza né urgenza applichiamo a noi stessi colpiti dalla trave. Sarebbe come se da un cumulo di macerie non togliessimo prima i pezzi più grandi per poi andare, di fino, a cercare le cose più piccole, con maggior attenzione e delicatezza. Il beneficio è il medesimo: ridare vista a due ciechi, che abbiano pagliuzza o trave negli occhi.
Fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore. (1 Cor 15,58). Non risuona mai come un invito alla disperazione la Parola di Dio anche quando è parola severa, che ci passa al setaccio e ci vaglia. È Parola che ci invita ad attendere la stagione dei frutti, per gustare il frutto di una vita buona nata proprio da questi piccoli semi di Vangelo seminati in noi. E mai dovremmo stancarci di seminarla, generosamente, su ogni tipo di terreno.
Verranno i frutti e sapremo da che albero. E ancora si apre dal cuore un rimando: ai racconti della Genesi, o agli inizi della nostra stessa vita umana: quando la scoperta del Bene e del Male era legata al gesto di cogliere un frutto e assaggiarlo. E anche ai frutti più buoni serve tempo. Colti prima allappano la lingua e legano i denti. Pazienza! Occorre tantissima pazienza: virtù dell’attesa, virtù della capacità di patire. Virtù di chi custodisce un seme, in attesa di poterlo piantare nuovamente.
Sia pace per le aurore che verranno,
pace per il ponte, pace per il vino,
pace per le parole che mi frugano
più dentro e che dal mio sangue risalgono
legando terra e amori con l’antico
canto; e sia pace per le città all’alba
quando si sveglia il pane, pace al fiume
Mississippi, fiume delle radici:
e pace per la veste del fratello,
pace al libro come sigillo d’aria,
pace per il gran kolchoz di Kiev;
e pace per le ceneri di questi morti,
e di questi altri morti; […]
pace per il fornaio e i suoi amori,
pace per la farina,
pace per tutto il grano che deve nascere,
pace per ogni amore che cerca schermi di foglie,
pace per tutti i vivi,
pace per tutte le terre e per le acque. […]
Non sono che un poeta e vi amo tutti,
e vago per il mondo che amo […]
Pensiamo a tutta la terra, battendo
dolcemente le nocche sulla tavola.
Io non voglio che il sangue
torni a inzuppare il pane,
i legumi, la musica […]
Io qui non vengo a risolvere nulla.
Sono venuto solo per cantare
e per farti cantare con me.
(da «Ode alla pace» di Pablo Neruda)
Penso al “Cestino dei tesori” di Elinor Goldschmied quale meravigliosa scoperta per ogni bambino e penso al cuore dell’uomo come un cestino dal “buon tesoro”, quale altra possibile grande scoperta. Il tesoro non può che essere costituito da parole benedicenti che si traducono poi in opere edificanti, a testimonianza che il Regno di Dio è già in mezzo a noi, perché semi di bontà sono stati piantati in ogni cuore da Colui che è il solo buono per eccellenza
(Gesù stesso disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo»; Mc 10,18; cf Lc 18,19). Tuttavia credo che del Buono ci sia dalla nascita in ognuno di noi e continui ad entrarci grazie alla Sua Parola e all’Eucarestia. Quale grande Dono!
“Tacciano le armi” e parlino i cuori, perché fioriscano opere buone.
La preghiera ci raccolga in unità, riconducendoci a Lui, fonte di ogni ispirazione e bontà, giungendo a fratelli e sorelle, padri, madri, figli e figlie qual segno di umana vicinanza.
Questa poesia di Neruda a chiudere la riflessione è un autentica boccata d’ossigeno. Lasciamoci ispirare dalle sua belle parole e sospendiamo -per carità!- la tentazione di “dire la nostra”, esprimendoci a favore o meno di iniziative di cui non sappiamo effettivamente che poco o niente. Teniamo piuttosto a mente che anche ora, come anche prima, in tutto questo marasma c’è e c’è stato chi si è adoperato per aiutare i più fragili, i più deboli. In Polonia ci sono persone che stanno accogliedo i profughi ukraini come ce ne sono state nei mesi scorsi pronte ad accogliere ed assistere i migranti internazionali che si nascondono nei boschi. C’è chi in Ukraina si prepara ad imbracciare le armi, e c’è anche chi si fa incontro ai militari per offrire semi da mettersi in tasca perché “quando morirai i semi germoglieranno”. C’è un brulicare di conflitti e crisi politiche ed umanitarie nel mondo, vero, ma io noto anche che si va facendo strada, prendendo parola ma anche azione, un certo numero di voci diverse, nuove. Voci di chi si insinua ad agire in verso “ostinato e contrario” alle atrocità -piú o meno efferate- cui assistono. Ci sono e si diffondono, come piccoli semi in una fitta foresta, ma che confido possano con il tempo svilupparsi sempre più, ponendo radici nuove e sane per un futuro più sereno per tutti.
Tanti gli spunti dalle letture odierne: scelgo gli occhi.
Mi stupisce l’oculista che oltre a come sta la nostra vista riconosce anche la presenza di eventuali malattie. Gli occhi vibrano anche quando siamo in silenzio o fermi.
Che i nostri occhi siano la porta per guardarci dentro, per conoscerci.
Trascorrono gli anni, l’età avanza. È come se il tempo che abbiamo davanti dovesse essere impiegato al meglio, anche per lasciare un buon esempio ai nostri figli e nipotini. Non che non si sbagli più, che si sia diventati santi o più bravi, anzi…ma qualcosa in più abbiamo imparato, vuoi dalla nostra esperienza, vuoi dagli insegnamenti dei nostri genitori o nonni. Nella canzone “Il seme” si riassumono le parole pazienza, virtù, attesa, desiderio di felicità, di infinito. “Il Signore ha messo un seme nella terra del mio giardino, nel profondo del mio mattino…..ma il tempo del germoglio lo conosce il mio Signore”.