Diviso… per … con l’avanzo!
XVII domenica del Tempo Ordinario
(Isaia 35,4-7 / salmo 33 / Giacomo 2,1-5 / Marco 7,31-37)
Il pranzo è servito, su un piatto d’argento. Voglio dire che il racconto evangelico odierno è di quelli da cogliere al volo se andassimo cercando un punto di contatto con il mondo e con l’uomo di oggi. Si parla di cibo, si parla di mangiare. E non dico solo per tutte le questioni alimentari che vanno dalle malattie legate alla nutrizione, alle allergie o alle intolleranze alimentari. C’è un’attenzione nel nostro mondo al cibo che è qualcosa di incredibile: trasmissioni TV per eleggere il miglior chef (e non a caso sono in aumento gli iscritti alle scuole alberghiere), pagine e pagine di blog e social network per condividere ricette o consigli in cucina, o semplici fotografie da postare agli amici del piatto che prima di mangiarlo si merita un scatto d’autore tanto è ben fatto e appetitoso.
Se cibo da sempre fa cultura, possiamo dire pure che il cibo – e non solo COSA ma anche COME mangiamo – interroga perfino la fede. È Lui, Gesù, nel Vangelo di oggi, a porre per primo una domanda: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Una domanda dichiaratamente fatta per mettere alla prova Filippo, uno dei suoi discepoli. Non è domanda per lo stomaco, ma domanda intelligente di chi sa già cosa vuole fare e cosa vuole insegnare attraverso quel fare. Di chi vuole educare ad una fede incarnata, una fede non astratta, ma che tocchi la vita degli uomini. Domande per per vite che hanno un certo sapore… altrimenti la vita stessa diventa insipida, non più appetibile.
Per meglio capire, non dimentichiamo di fare il riassunto delle «puntate precedenti». Lui li aveva inviati ad annunciare il regno di Dio, rigorosamente SENZA CIBO perché scoprissero che prima di dare si deve imparare a chiedere e a ricevere; voleva che i suoi seguaci imparassero loro per primi a stendere la mano, a chiedere il pane quotidiano, nella preghiera al Padre che sta nei cieli e ai fratelli che stanno sulla terra. Se trovi pane dagli uomini, è così che scopri che sulla terra ci sono fratelli. Un solo Padre, un solo pane. Fratelli che chiedono, fratelli che donano. L’esperienza originaria è proprio quella di aver ricevuto il nutrimento. Non ce lo siamo dati o procurati da soli. È stata pura grazia. È grazia una madre che allatta il figlio e quel figlio dovrà imparare che quella donna non è tutta per lui. Non puoi mangiare tutta la mamma. Perché è madre dei tuoi fratelli che attendono un altro cibo, loro che, più grandi, hanno già imparato a mangiare attorno al tavolo. E ancora: non è solo madre tua e dei tuoi fratelli: è pure sposa, compagna di un uomo e con quest’uomo gioie e dolori saranno come pane quotidiano da condividere.
Li ha poi invitati in disparte perché quello sparuto gruppo di «apprendisti Uomini» non venisse divorato dalla fame di ogni uomo. Perché non avessero a scontrarsi con la voracità che – se non educata – ci rende davvero «cannibali». Anche oggi il fratello uccide il fratello. E se non lo uccide, fatica anche solo ad invitarlo a tavola. È voracità non educata, è togliere di mezzo colui che poteva essere un compagno di tavola, colui che poteva mangiare con me lo stesso pane. Nei Salmi leggo e prego con queste parole: «Anche l’amico in cui confidavo, che con me divideva il pane, contro di me alza il suo piede» (salmo 41)
Lui interroga: davanti a tanta fame dell’uomo, fame che avete sperimentato voi stessi – sembra dire – o che di certo avete riscontrato in moltissime persone, davanti a tanta fame… come sfamare? Quella splendida giornata passata ad ascoltare il Maestro – così bella che quasi non avevano neppure bisogno di mangiare tanto erano sazi di parole e i insegnamenti di quell’Uomo – rischiava, non appena si fossero messi di nuovo ad ascoltare il loro ventre, di trasformarsi in un panico generale, in uno di quegli strani fenomeni in cui si perde il controllo e «la folla» da il peggio di sé…
Sono gli innamorati che spesso si dimenticano di mangiare. Non è più – diciamo – la prima preoccupazione. Non vedono che l’Amato e il cibo non è più da cacciare, da cercare, non è più per compensare assenze. L’Amato, lo sposo è lì e non si può digiunare. Ora c’è un altro grande bisogno, un bisogno che supera il bisogno di cibo: stare con l’Amato. Quel giorno erano lì, con il Dio che stava cercando il migliore dei modi per fare alleanza con i suoi figli. Di certo questa Alleanza – sogno di Dio – si discostava sempre più da riti vuoti e insignificanti e cominciava a prendere colori e sapori di una tavola di casa. Così volle l’ultima sua sera qui tra noi. E ordinò che per ricordarlo fosse sempre così. A perpetua memoria. Erano, quel giorno, in compagnia dell’Uomo di Nazareth – il più bello tra i figli dell’uomo, come pregano i salmi – e le sue parole nutrivano. Parlava proprio con le parole che escono dalla bocca di Dio, parole che diventano più nutrienti del pane stesso. E lo dirà: «Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4; Lc 4,4)
Eppure quel momento in compagnia del Maestro, alla presenza di Dio-in-persona, quel momento in cui dimentichi perfino tutti i tuoi mali, le tue preoccupazioni, Lui lo sa che è fragile, che basta poco per rovinarlo. Basta un vuoto allo stomaco… Ci aveva messi in guardia, dicendo: «Non preoccupatevi di cosa mangerete, di cosa berrete o di cosa indosserete» (Mt 6, 25) perché quando l’uomo presta troppo ascolto a questi bisogni rischia davvero di dimenticare ciò che nutre veramente la Vita e di travolgere chiunque incontri sul tuo cammino pur di ottenere ciò che vuoi. Un po’ come quelle scene da delirio all’apertura dei centri commerciali all’avvio della stagione dei saldi!
«Keep calm… and sit down, please!» per dirla con uno slogan tanto in voga oggi. «Fateli sedere!» Un invito alla calma, un invito a restare. Dio sa che le parole non bastano all’amore e queste si devono accompagnare con gesti espliciti. E Lui, quel giorno aveva intenzione di fare proprio questo. Un gesto, un segno… a rischio di essere frainteso.
Da sempre l’uomo esita a condividere. È restio perfino il bambino a condividere. Glielo devi proprio insegnare che la merendina la puoi dividere con il fratello o con l’amichetto. Non lo fa spontaneamente e quand’anche lo facesse in modo – come diremmo – «spontaneo», in realtà lo ha fatto «per imitazione». Quel bambino che con apparente spontaneità avessimo sorpreso a condividere del suo, in verità è un grande osservatore che ha avuto la fortuna di avere davanti a sé qualcuno di amabile che gli ha dato l’esempio: «Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io facciate anche voi» . (Gv 13, 15)
A complicarci le cose, già che parliamo di condivisione, c’è poi la questione del «POCO». Già la prima lettura né da traccia: venti pani d’orzo per cento persone! Per dire che la faccenda non è cosa da d.C. (dopo Cristo) ma questione di sempre, perfino a.C. (avanti Cristo). Nel Vangelo, Filippo dice: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo» e Andrea, rincara la dose: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Qualcosa c’è, ma è davvero poco. Che sia danaro o che sia pane, sempre poco è!
Dalle nostre parti si continua imperterriti a ostentare ricchezza e immortalare pietanze da sogno. Roba da far venire l’acquolina alla gola, roba da suscitare invidie, appunto! La verità poi continuiamo a negarla, a non volerla accogliere: sappiamo che c’è poco (o almeno che la ricchezza è davvero mal distribuita, poco condivisa) e che tutto perde di valore quando… quando? Quando non c’è gratitudine. Quando non ci accorgiamo che quello che abbiamo è già segno di condivisione. Che ciò che noi portiamo alla bocca è qualcosa che è nato da condivisione, è passato già in mano a tanti che hanno lavorato, trasformato e reso mangiabile. Non è tutta farina del tuo sacco. Come non rendere grazie? Lui prende in mano cinque pani e due pesci e ringrazia.
È un po’ come quando, per mille motivi (dal «non ho fatto a tempo a fare la spesa» al «non si arriva a fine mese») un giorno in tavola non trovi tutto quel «ben-di-Dio» che ti aspettavi e magari, sempre quel giorno, hai una fame da lupi. Cosa fai? Ti servi per primo? I commensali che verranno dopo di te, forse non te lo diranno, ma lo penseranno di certo: «Beati gli ultimi se i primi saranno onesti!» Il rischio è di mangiare incurante di chi è a tavola con me. Occorre una parola vera, semplice, sincera. Allora quel poco non è più lamento. È invito a prestare attenzione. «Questo è quanto c’è, ma se tutti stiamo attenti, tutti ne potranno avere. E ne avanzerà perfino». Questa è la parola di Gesù: vera, semplice e sincera. Filippo e Pietro lamentano la pochezza. Gesù fa appello alla responsabilità di ciascuno: «Guarda che non ci sei solo tu. Accorgitene!».
Da bambino ascoltavo questo Vangelo con la stessa meraviglia di quando vedevo un mago che estrae dal suo cilindro un numero sconfinato di oggetti. Ma Gesù non è il mago che toglie dal sacchetto infiniti panini. Oggi sento queste poche parole di Gesù come un invito a non gettarmi sul cibo, a guardare chi è seduto con me e a prendere quanto mi basta fino a sperimentare che davvero metterò in frigorifero i resti per il giorno dopo… quando ancora si butta un sacco di cibo.
Quel bellissimo giorno in compagnia dell’Amato, questi aspiranti amanti che siamo noi, accanto alle parole nutrienti vedevano un gesto, un segno a rischio di fraintendimento. E lo fraintesero veramente. Ne nascerà una disputa, una discussione accesa, virulenta tanto da occupare un intero capito del Vangelo di Giovanni e tanto da occuparci qualche domenica d’estate per cercare di venire fuori. Ad oggi – a pani mangiati, a pance piene a sazietà e a pezzi avanzi raccolti – non hanno capito nulla. Vogliono prenderlo per farlo re. Lui capisce al volo. È un RICATTO AFFETTIVO: gli dicono che è bravo – tanto bravo che lo vorrebbero come re – ma lui non si lascia comprare o corrompere. Suo cibo – lo dirà a più riprese – è fare la volontà del Padre e altre volontà, nemmeno fossero la volontà di un popolo intero a volerlo re. Non serve il consenso popolare. Non lo cerca neppure. Non diede da mangiare per ottenere gli applausi del popolo. La disputa dimostrerà chiaramente che il consenso non lo aveva. Per questa «lezione di umanità» tutta incentrata sulla condivisone, la vicenda stessa di Gesù fa qui una grande svolta. Un vero e proprio tornante. Una curva pericolosissima, per Lui in primis. Grideranno: «Crocifiggilo, crocifiggilo!» quelli che oggi cantano «Hosanna!». Gesù non si lascia lusingare. Non lo puoi lusingare! È più sveglio di noi e conosce ciò che c’è nel cuore di ogni uomo.
Era libero e liberò resterà. Libero da ogni compromesso con il successo. Libero da ogni fraintendimento. Libero da tutto ciò che poteva distoglierlo dal cercare e fare la volontà del Padre. Suo vero, unico cibo! Anche un gesto così umano, così quotidiano, così casalingo come il sedersi a mangiare insieme – perfino alla tavola più povera – è grande miracolo: illustrare all’uomo di oggi cosa Dio vuole e vivere «come Dio comanda». Comandi semplici, verbi semplici: «Prendete. Spezzate. Date. Mangiate». Una vera scuola alberghiera che dovremmo frequentare più spesso questo Vangelo, questa vita dietro a Gesù Cristo.