E quel giorno fu veramente shabbat

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Data :24 Ottobre 2022

Gioisca il cuore di chi cerca il Signore.
Cercate il Signore e la sua potenza,
cercate sempre il suo volto.

(Salmo 104,3-4)

Dal Vangelo secondo Luca (13,10-17)

In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta.
Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.
Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».
Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

«Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare – disse sdegnato il capo della sinagoga – in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato». Il suo ruolo di capo della sinagoga continuò ad esercitarlo a piene funzioni, racchiudendo in un rimprovero tutta la sua autorità. Forse non immaginava di poter fare altro che quello: salito al ruolo di capo della sinagoga ora quell’uomo è costretto a vestire i panni di chi deve soltanto far rispettare le regole, le leggi, i comandamenti. E forse proprio con quel rimprovero egli pensa di rinnovare tutto il suo amore per la Legge di Dio.

Certo ci vogliono  forza e coraggio anche per ribadire con forza una norma da rispettare. E lo dico in un tempo quale il nostro il cui – non di rado – per non avere noie o fastidi di alcun genere, si preferisce volgere altrove lo sguardo o soprassedere.

Si noti tuttavia che non fu certo merito di quel capo della sinagoga se quella donna venne guarita… o – se si vuole – nemmeno colpa sua se quel comando di rispettare il riposo sabbatico venne così infranto. Quel sabato – il giorno durante il quale ci si sarebbe dovuti astenere da qualsiasi lavoro, da qualsiasi sforzo, da qualsiasi opera – ecco che Gesù mette in circolo una forza maggiore per un bene più grande. Attenzione! Infrangendo solo in apparenza il comando. In realtà Egli non stava facendo altro che spiegarlo nel suo significato più profondo. 

Shabbat è il tempo del riposo, è il tempo da dedicare a Dio per ringraziarlo dei suoi benefici e quando il ricordo dei prodigi operati da Dio entra nel computo dei giorni e del tempo dell’uomo, è così che l’uomo sente vicino a sé la presenza dell’Altissimo. Diciotto anni non sono pochi. Non qualche giorno, non qualche mese. Diciotto anni: un tempo più che sufficiente per cedere alla rassegnazione, per imparare a fare buon gioco a cattiva sorte. Ma quella donna non sembra rassegnarsi affatto al suo destino: la sua presenza nel luogo ove sono proclamate le promesse di Dio la fa stare in un’attesa che di lì a poco l’avrebbe rigenerata. 

Diciotto anni sono sufficienti per far pensare che un giorno in più di attesa non le avrebbe cambiato la vita, tanto sembrava convivere con quella sua curvatura. Ma Gesù riconosce l’urgenza della liberazione necessaria. A Satana attribuisce quell’opera prendendo così distanza da ogni ambiguità e compromesso col Male, collocandosi così dalla parte dell’Unico Bene necessario: la vita dell’uomo. Quella donna può finalmente entrare nel giorno del riposo perché ha ascoltato la voce di Gesù, ha obbedito alla sua parola. Al contrario, il cuore indurito e l’orecchio sordo ad ascoltare la parola del Vangelo non fanno altro che impedire all’uomo di entrare il quel riposo che Dio ha predisposto a compimento della creazione.

Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. Laddove si ascolta la parola di Dio e si crede con una fiducia cieca a quanto la Parola annuncia (sei liberata dalla tua malattia… non è un comando bensì un annuncio!) si attesta altresì che quello sdegno di Dio paventato nel salmo 95 è così certamente terminato. Per quarant’anni mi disgustai di quella generazione e dissi: “Sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie; perciò ho giurato nel mio sdegno: Non entreranno nel luogo del mio riposo” . 

Shabbat è un dono, prima d’essere un comando da osservare. E solo perché fa bene all’uomo è opportuno dare a questo dono il valore di un comando. E quel giorno fu veramente shabbat. Non lo shabbat di chi osserva per dirsi osservante e per cogliere in flagranza di reato chi sembra non osservare; non lo shabbat di chi obbedisce senza ascoltare in profondità quale bene è racchiuso nel profondo di un comando. Non restava che smascherare quel velo di ipocrisia: com’è che gli uomini sono capace di comprendere la sete di asini e buoi tanto da liberarli per portarli alla fonte, e non sanno – sembra sottintendere Gesù – liberare l’uomo da ciò che gli impedisce di raggiungere la fonte, la sorgente della vita? 

E danzando canteranno:
«Sono in te tutte le mie sorgenti».

(salmo 87)

Le sorgenti del fiume Giordano

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