È solo la fine di un mondo
XXXIII domenica del Tempo Ordinario (B)
(Dn 12,1-3 / Sal 15 / Eb 10,11-14.18 / Mc 13,24-32)
– «… Le mille e una notte! Che bellezza! Mamma mia, che cielo!»
– «Il cielo di Baghdad è il guanciale del mondo. A ottanta chilometri da qui, più di tremila anni fa, costruirono la torre di Babele per toccare questo cielo»
– «A ottanta chilometri da qui sono nate tutte le lingue allora»
– «Da quando hanno voluto toccare questo cielo, non ci si capisce più. Una leggenda islamica dice che ogni tanto Allah scende sulla Terra perché ha nostalgia di rivedere la volta stellata da sotto»
– «Millenni di saggezza e guarda un po’ che roba… Ma non si impara proprio nulla!»
– «Attilio, lo sai perché si fanno le guerre? Perché il mondo è cominciato senza l’uomo e senza l’uomo finirà.»
– «Fouad, dai che se siamo bravi, se ci si comporta bene poi si va in paradiso!»
«Dopo di noi, Attilio, non c’è nulla. Nemmeno il nulla che già sarebbe qualcosa».
«Ma io – guarda – son contento d’essere nato. A me mi piace esserci. E io son sicuro che anche da morto mi ricorderò sempre di quand’ero vivo»
«Buonanotte, Attilio!»
«A domani, Fouad!».
Ma quel domani, proprio per Fouad, non ci sarà. E sprofondando in quella che potremmo chiamare una notte spirituale, Attilio si troverà solo sotto lo stesso cielo stellato, in mezzo ad una delle piazze di Baghdad, tra edifici pericolanti, seduto ai piedi di un monumento che reggeva la statua del dittatore di turno, già disarcionata lei pure dal suo piedistallo. In quella notte, in quella solitudine desolata e desolante, Attilio si rivolge al cielo chiedendo a Dio di togliere quel magnifico fondale che fa da sfondo alla scena del mondo, se le cose sono solo come appaiono ai nostri occhi e se il dolore è tutto quello che si può provare a motivo di una guerra, di una malattia, della perdita di un amico o della fine di un amore.
Sto parlando del film «La tigre e la neve» (2005) di e con Roberto Benigni. Inspiegabilmente mi vengono sempre in mente queste due scene appena descritte ogni volta che ritornano pagine di vangelo come quella che ascoltiamo oggi. Scenari apocalittici che quasi fanno paura. E qualcuno ci prova ancora a cavalcare questo genere letterario per continuare ad atterrire le coscienze.
Io ci trovo molta speranza, molta consolazione. Perché dobbiamo proprio ammetterlo che ci illudiamo ancora troppo, lasciandoci abbagliare da luci che non sono la Luce vera, quella che illumina ogni uomo (Gv 1,9). Sole e Luna sono creature nobili, essenziali al giorno e alla notte, al nostro vivere. Regolano il tempo, il succedersi di giorni e di stagioni… ma a cosa servono se non ci decidiamo a spendere il nostro tempo ad attendere il Figlio dell’uomo, a cercare il suo Regno presente già qui?
E allora, niente paura: vedremo – dice il Vangelo – il Figlio dell’uomo. Vedremo chi è davvero l’uomo. L’uomo lo vedi solo alla fine… all’inizio un groviglio di bisogni e di capricci. Solo dopo che si è passati in mezzo alle tribolazioni e alle prove, potremo dire d’essere cresciuti un poco. Quell’adagio più o meno convinto che circolava fin dall’inizio della pandemia – l’idea che ne usciremo migliori e più buoni – non mi pare sia ancora così condiviso. Anzi, sento a volte dire anche il contrario. Sì, la fine di un mondo non è mai senza conseguenze.
Quand’anche vivessimo nella percezione d’essere piombati nel buio più totale, è bene ricordarci che l’ascolto può ancora guidarci. Ed ecco dunque che terminate anche le più catastrofiche delle visioni, siamo rimandati direttamente dal Vangelo a contemplare la natura. Con un occhio di riguardo alla tenerezza dei rami di fico. Servono orecchi che ascoltino questo invito, servono occhi che scelgono di osservare attentamente quanto è inciso e scritto nell’umile terra. Solo così comprenderemo le cose del cielo. È tempo di intenerire il cuore, se vogliamo che torni primavera.
Spirito santo,
fa’ che viviamo con fede paziente,
sempre in attesa, perché Egli viene sempre.
Fa’ di noi i segni della sua venuta,
mettendo il nostro cuore ben oltre le cose:
e tutti vedano che il nostro cammino
è verso la Luce.
Amen.
Dal Vangelo secondo Marco (13,24-32)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
Simone Cristicchi, Lo chiederemo agli alberi
Lo chiederemo agli alberi
come restare immobili
fra temporali e fulmini
invincibili.
Risponderanno gli alberi
che le radici sono qui
e i loro rami danzano
all’unisono verso un cielo blu.
Se d’autunno le foglie cadono
e d’inverno i germogli gelano
come sempre, la primavera arriverà.
Se un dolore ti sembra inutile
e non riesci a fermar le lacrime
già domani un bacio di sole le asciugherà.
Lo chiederò alle allodole
come restare umile
se la ricchezza è vivere
con due briciole
forse poco più.
Rispondono le allodole
«Noi siamo nate libere»
cantando in pace ed armonia
questa melodia.
Per gioire di questo incanto
senza desiderare tanto
solo quello, quello che abbiamo
ci basterà.
Ed accorgersi in un momento
di essere parte dell’immenso,
di un disegno molto più grande
della realtà.
Lo chiederemo agli alberi.
Lo chiederemo agli alberi.
Ci son voluti duemila anni per progredire lentamente, gradualmente e con qualche scatto indietro ogni tanto, ora però è proprio tempo di andare ulteriormente avanti, altro che tornare indietro!
La Creazione sta continuando, ora più chiaramente anche noi uomini ne siamo artefici/collaboratori, col compito di aiutare tutti a prendere la giusta direzione, senza cedere alle ombre sempre pressanti.
Duemila anni sono come “un battito di ciglia” per il kronos dell’universo, anche se sono stati sempre più accelerati dopo l’Incarnazione, ora il nostro tempo è cruciale, come la nostra capacità di ascolto e di relazione.
La “tenda-di-stelle” di cui si canta nella Nona di Beethoven è lì che guida, osserviamo il cielo più spesso, per assorbirne pace e mistero! Auguri a tutti.
“Cieli e terra nuova
il Signor darà
dove la giustizia
sempre abiterà”
cantiamo in un inno liturgico con grande speranza perché questa è la promessa del Padre che attraversa tutta la Bibbia, da Isaia all’Apocalisse, passando dalla lettera di Pietro.
E se il Padre si è preso la briga di proclamare queste parole così tanto non potrà che essere così.
Intanto la Speranza sorregge l’attesa della promessa.
Fosse anche che dovremo passare per la tribolazione, questa ci farà essere più consapevoli di quali valori ci dobbiamo arricchire e mettere al primo posto, in vista dell’incontro con Cristo.
Forse questo ci può far paura, un giudizio severo, nonostante la sua infinita misericordia.
Saremo giudicati sulla carità e questo è il mio impegno personale, mi sforzo di amare come Lui ci ha insegnato, sperando poi nella Sua misericordia…
“Cieli nuovi e terra nuova…”
Non so immaginare come potrà essere visto che già adesso viviamo in un Creato bellissimo…
Appena capiterà una notte serena e stellata, alziamo lo sguardo…
vedremo tre stelle quasi allineate in cammino.
Mia mamma ci portava fuori e ci faceva osservare, diceva: “Guardate i tre Re Magi, sono in viaggio da Oriente ad Occidente, vanno a trovare Gesù Bambino…”
E la mia fantasia volava…
Ora guardo con la speranza di poter vedere cieli e terra con altri occhi.