Fede? Attraversare vita con gratitudine
XXVII domenica del Tempo Ordinario (C)
(2Re 5,14-17/ Sal 97 / 2Tm 2,8-13 / Lc 17,11-19)
Rinnovati
dall’incontro con la tua parola,
fa’, o Signore,
che possiamo renderti gloria
con la nostra vita.
Dal Vangelo secondo Luca (17,11-19)
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Riprendiamo per un attimo il brano di Vangelo di domenica scorsa. Ricordate? Davanti all’inspiegabile scandalo del male – «è inevitabile che avvengano scandali» aveva detto Gesù (Lc 17,1) – e davanti alle innumerevoli richieste di perdono che sempre andrebbero esaudite, i discepoli sentono un’incredibile sproporzione tanto che chiesero esplicitamente «Aumenta la nostra fede» (Lc 17,6).
Proseguendo oggi la lettura del capitolo 17 di Luca, in qualche modo, riceviamo già un piccolo indizio, quasi dovessimo attrezzarci di un piccolo manuale, per far crescere la nostra fede. Dato che la domanda di aumentare la fede era rivolta al Signore, mi chiedo dunque cosa Egli possa fare affinché la nostra fede cresca? O forse sarebbe anche il caso di chiederci cosa anche noi potremo mettere in atto per farla crescere?
La fede – sembra indicarci il Vangelo – può crescere anzitutto nell’incrocio di cammini: Gesù sta camminando con determinazione verso Gerusalemme, attraversando Samaria e Galilea. Attraversare è un verbo che non dice volontà di evitare, di raggirare. Attraversare è passare nel mezzo, entrarci in pieno. Eccolo dunque attraversare un villaggio – quanti ne avrà attraversati? – e ancor più eccolo raggiunto – e Lui si lascia raggiungere – da dieci lebbrosi che di per sé avrebbero dovuto stargli ben alla larga e Gesù avrebbe potuto evitarli, rispettando quello che era perfino un comandamento religioso. È sottilissima la linea di demarcazione tra i mondi religiosi e l’orizzonte della fede. Di certo – lo si coglie bene qui – la fede non allontana, la fede non oppone. La fede avvicina, la fede permette incontri.
Improvvisamente, da una preghiera gridata ad alta voce, scaturisce l’ascolto. E poi un invito che ha qualcosa di strano: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». Li rinvia a coloro che avevano il potere di certificare la guarigione come se non bastasse aprire gli occhi e ascoltare se stessi per riconoscersi guariti. La fede non appartiene all’ordine delle cose strabilianti e non viaggia sui canali del miracoloso. Perché – sembra suggerire il Vangelo – di miracoli ne potrebbero avvenire anche in quantità (dieci guarigioni in un colpo solo!) ma questo ancora non basta perché si possa dire: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
La fede che salva non è quella che riposa sui miracoli, non soltanto quella almeno. La fede che salva e che ci fa rialzare è quella che sa riconoscere, guardando indietro, ciò che un Altro ha fatto per noi. La fede che salva, la fede che cresce è quella che sa rendere grazie. Non guardate ai numeri e non pensate neppure che Gesù possa esserci rimasto male per quei nove che non sono tornati a ringraziarlo. Quei numeri a noi parlano in qualche modo di ingratitudine, di non riconoscenza… ma il Vangelo ci fa notare che ne basta uno capace di riconoscere e ringraziare l’autore del beneficio perché l’indizio giunga a noi utile per la crescita della nostra fede. Ne basta uno capace di rendere grazie perché noi impariamo cos’è gratitudine e fede.
Sappiamo bene quanto un male fisico possa presto diventare un male morale. Sappiamo bene quanto l’uomo sia questo «animaletto pensante» non sempre allenato a riconoscere il bene, non sempre incline a rendere grazie.
La fede per cresce ha bisogno di affondare le sue radici nel ringraziamento e per ringraziare, per lodare Dio occorre saper fare memoria del bene ricevuto, anche quando le cose non andavano come avremmo voluto. È un lebbroso e per giunta samaritano che ci insegna a guardare indietro e rendere lode. Egli non solo riconosce la sua guarigione ma riconosce pure che quel grido nato dal dolore e dall’esclusione gli ha permesso di incontrare Gesù, il maestro. Noi non benediciamo di certo le sventure, i problemi o i dolori. Ma il Vangelo non smette di farci incontrare tra le sue pagine e per le strade del nostro vissuto quotidiano questi poveri che gridano al Signore (Sal 34,7).
E dunque proprio inevitabile all’uomo lo scandalo del male, della sofferenza? C’è qualcuno che attorno a sé non abbia visto miseria o dolore? Impossibile, inevitabile. È proprio quel calice amaro che anche Gesù avrebbe voluto vedersi risparmiato. Ma se dunque è inevitabile… cosa fare, cosa mettere in gioco? Il Vangelo sembra indicarci una strada: quella che ci fa attraversa la vita con questo desiderio di risollevarci sempre per quella fede che ci ha salvati: «Àlzati e va’ – disse – la tua fede ti ha salvato!».
Oggi, domenica, si fa eucarestia. In moltissime chiese del mondo. Non guardate i numeri ma immaginate ogni angolo della terra, il più piccolo dei villaggi o la più grande delle metropoli…. Lì, oggi, si fa memoria e si ringrazia.
Figlio mio, ricòrdati di Gesù Cristo, risorto dai morti (2 Tm 2,8). Questo ci basta, questo fa crescere la nostra fede: ricordarci di Gesù Cristo, desiderando di conoscerlo sempre di più, di incontrarlo sempre di più. Egli è vivo e ben presente alle nostre vite, alle nostre situazioni. Egli ha attraversato la morte e ne è uscito vivo; Egli ha attraversato le tenebre e dal profondo le ha rischiarate? Perché dimenticare una così buona notizia?
Coltiviamo la gratitudine e la riconoscenza anche a costo di sentirci sempre più piccoli, sempre meno degni di cose tante attenzioni eppure così bisognosi e meritevoli (passatemi pure questo termine) di ascoltare il suo Vangelo! Ringraziare non è solo una formula di cortesia, di buona educazione. Rendere gloria a Dio è vivere da uomini su questa terra, chiedendogli di rialzarci ogni volta che cadiamo e ringraziandolo per averci teso la mano.
Che cosa potrò dirti
in cambio, Signore,
quale lode ti potrò offrire?
(Silvano del Monte Athos)
Siamo più abituati a lamentarci del bicchiere mezzo vuoto che essere consapevoli che, se il bicchiere era pieno, la metà che non c’è più l’abbiamo già goduta e ancora ne rimane, per cui dovremmo provare gratitudine.
Oggi ho imparato (povera mia ignoranza) che “Eucarestia” deriva da una parola greca che significa “ringraziamento”.
Gesù stesso ringraziava il Padre per essere sempre attento alla sua preghiera.
Ho anche imparato che essere grata al Signore per quanto di “bene” ho ricevuto mi aiuta ad accettare anche quanto di “non bene”, cioè dolori, preoccupazioni, problemi di salute, ecc., mi sono toccati in sorte.
E grazie a don Stefano che, con pazienza, ci guida in questo “attraversare” la nostra vita.
“Al passato: grazie. Al futuro: sì.”
(Dag Hammarskjold)
Grazie, Signore Gesù!????
Semplicemente grazie a te Don Stefano, ma ancor più grazie a Dio per ogni bene che dona al mondo.