Figli della resurrezione
In appendice al «diario di bordo» del Pellegrinaggio in Terra Santa 2022
XXXII domenica del Tempo Ordinario (C)
(2Mac 7,1-2.9-14 / Sal 16 / 2Ts 2,16-3,5 / Lc 20,27-38)
Giunti a Gerusalemme il pellegrinaggio prende un’accelerazione che pare ricalcare a tutti gli effetti gli ultimi giorni della vita di Gesù: sono i giorni della sua Passione, Morte e Resurrezione. E questo scritto pare piuttosto un’appendice al «diario di bordo». Ora, ritornati al proprio quotidiano, si apre il tempo di estrarre dal tesoro cose antiche e cose nuove. C’è un tesoro interiore nel tempio che noi siamo, dove vale veramente la pena di collocare il proprio cuore.
«Il monte Sion, altura stupenda è la gioia di tutta la terra. Il monte Sion, dimora divina, è la città del grande Sovrano» canta il salmista (Sal 48,3). Dalla cima di quel colle, appena fuori dalla porta di Sion, lì inizia il nostro cammino. Si ricalca passo passo tutto quanto accaduto in quella settimana, dall’ingresso in Gerusalemme fino al giorno di Pasqua. Il Cenacolo, il cortile del pretorio (luogo del tradimento di Pietro), la scala che porta in fondo alla valle del Cedron prima di risalire il monte degli ulivi, una sosta su quella terrazza naturale, il punto panoramico sull’attuale città vecchia di Gerusalemme, dove Gesù pianse per l’incapacità dei suoi abitanti di riconoscere in Lui la visita del Signore stesso, quel Signore che tanto andavano cercando nel Tempio, quel Messia da secoli atteso e invocato. Ora presente in mezzo a loro con il suo regno, i loro occhi lo vedevano ma erano incapaci di riconoscerlo. Ne sentivano la voce ma non comprendevano le sue parole e i suoi insegnamenti.
Si scende poi nel Getsemani, l’orto degli ulivi per entrare nella Chiesa dove si ricorda l’agonia di Gesù, la sua notte oscura e il sonno dei discepoli incapaci di vegliare e comprendere quanto stava accadendo al Maestro.
Vicino al giardino del Getsemani, sorge pure quella che la tradizione indica come tomba di Maria. Proprio lì, una donna stava tutta rannicchiata in un angolo, quasi nascosta ai più, se non fosse per quel velo bianco che – suo malgrado – la metteva in risalto. Tra gambe e piedi di passanti, cerco di scattare il più discretamente possibile un’immagine. Nulla sapremo di questa donna ma è evidente il legame che la unisce al Risorto, a quella Vita che non avrà più tramonto, mentre fuori la sera è già scesa. Accanto a lei una sporta, una spesa appena fatta, segno di una vita terrena di cui ancora deve preoccuparsi, ma in quella sosta fatta di preghiera si intuisce che c’è ben altro. E quel «Altro» con cui si intrattiene ha l’aria d’essere molto più importante. È quest’immagine che s’è associata nella mente, mentre leggendo il Vangelo di quest’oggi.
Dal Vangelo secondo Luca (20,27-38)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Per reggere in questa vita abbiamo bisogno di legami, di relazioni. Partorire figli, generare discendenza è il modo più logico con il quale le creature umane intendono imitare il Creatore. Anche per questo – certamente nella cultura del tempo di Gesù – i figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito. Senza relazione alcuna poi ci sarebbe veramente di che interrogarsi quanto al sentirsi vivi. La questione – posta a Gesù come un tranello – però è sottile, un caso teologico che rasenta l’eccesso ma proprio quell’eccesso fa comprendere il limite dei ragionamenti umani. La donna del Vangelo non aveva avuto figli da nessuno dei sette mariti. Per questo – secondo quanto prevedeva la legge mosaica – dovette sposare successivamente tutti i suoi cognati: il matrimonio era finalizzato anzitutto alla riproduzione. Se solo avesse avuto un figlio da uno dei mariti ella avrebbe potuto non sposarsi più. La discendenza sarebbe stata garantita e la vita poteva così proseguire. È dunque questa la vita eterna? La Vita non ha solo un legame naturale con il nascere. La vita – quella eterna – conosce anche una relazione con la morte.
La morte incontrata più volte da questa donna sembra avere il dominio su ogni relazione. È forse questo che più ci spaventa della morte: il fatto che possa frapporsi ad interrompere le nostre relazioni, a mettere fine ai nostri legami. Il fatto è che noi non siamo soltanto figli di Adamo. Dal cielo, anche per Gesù, una voce gli ha attestato la sua figliolanza divina. Se a noi basta essere chiamati figli dell’uomo, figli di Adamo dovremo sempre fare i conti con terra e morte. C’è tuttavia un legame che unisce l’uomo al cielo, è lo Spirito di Dio che attesta che noi siamo figli. Siamo – dice Gesù – simili agli angeli quando siamo portatori di questo annuncio: c’è un legame che ci unisce a Dio e di questo legame è il Padre stesso ad esserne garante e custode.
Quella donna in preghiera, accanto alla tomba di Maria, sembrava davvero un angelo messo lì ad annunciare un legame più profondo di ogni altro legame. La morte sembra sancire una fine irrimediabile. Dalla Pasqua di Gesù si apre per noi la speranza della vita eterna e la resurrezione non è un fatto attorno al quale discutere o un’improbabile ed ironica casistica da sadducei ma una tomba vuota che i nostri occhi hanno veduto. Se dal grembo di una madre si nasce alla vita terrena, dalla morte e resurrezione di Cristo nascono i figli di Dio, come già aveva detto l’evangelista Giovanni nel suo prologo che solitamente ascoltiamo nel giorno della nascita di Gesù: «Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati». È la Pasqua di Cristo – la sua morte e resurrezione – che anche oggi celebriamo ci ha generati quali figli di Dio, ci ha introdotti in una relazione con il Dio della vita che per Lui è solo eterna e sempre nuova per quel suo intimo desiderio di farci nuovi ogni giorni.
Seme dell’eternità (dalla Messa «Come fuoco vivo», Gen Rosso)
Pane di vita offerto per noi,
forza del nostro cammino;
cibo del cielo che il Padre ci dà,
per ogni uomo sei “Dio vicino”.
In questa fonte di felicità
c’è il tuo disegno divino:
sei tu che vieni a trasformarci in te,
questo è l’immenso nostro destino.
Tu sei la Luce venuta tra noi,
l’Amore, Eterno Presente.
Tu ci fai una cosa sola con te:
figli nel Figlio del Dio vivente.
Hai messo il seme dell’eternità
nel corpo che tu ci hai dato
e il nostro corpo un giorno riporterà
nella tua gloria tutto il creato.
Perché si chiama ‘la tomba di Maria’ visto che sappiamo che Maria si addormento’ di un sonno profondo (la dormizione) e fu Assunta in Cielo anima e corpo? Non dovrebbe esistere una ‘ tomba’.
Grazie di tutta la partecipazione al pellegrinaggio e per le belle foto. Qualche chiarimento su questi luoghi sacri sarebbe molto utile.
Grazie
Mi sono dovuta prendere del tempo per ponderare opportunamente il messaggio, per lasciarlo maturare in me e poi cedergli il passo. C’è voluto un po’ perché non si laciava perfettamente afferrare.
Io credo che questo brano ci lasci intravedere che la dimensione in cui viviamo non è la sola esistente ma ce ne sono altre: ad esempio quella del Regno di Dio. Un’esistenza altra, nuova, diversa da tutto ciò cui siamo abituati. Una dimensione altra, in cui potremo esperire un’esistenza del tutto diversa da quella terrena. Un’esistenza in cui saremo sollevati dalle umane necessita e vivremo insieme in comunione e fratellanza, senza più preoccupazioni. Un’esistenza che sarà effettivamente in pienezza.
Ci vuole davvero una grande e forte fede per accettare questo passaggio alla vita eterna attraverso la morte.
La carne e la materia non ci aiutano, anzi acuiscono il dolore della “perdita”, del “portare via”, solitamente diciamo, le persone con le quali avevamo stabilito relazioni importanti.
Ci vuole davvero una fede forte, alimentata dalla Speranza, nutrita dalla Parola, perché il nostro pensiero possa volgersi con fiducia e serenità a questo “andare oltre”…
Allora anche un Pellegrinaggio in questi luoghi santi può contribuire a rafforzare la fede.
Un giorno (parlare di tempo per chi è già accanto al Padre è un controsenso ma noi siamo ancora nel tempo) saremo di nuovo insieme in quale forma non sappiamo e neanche quale corpo, ma questo sarà irrilevante perché conterà lo Spirito, saremo figli dello Spirito del Padre.
Non più “perdita” non più “portare via” ma attesa, anche se faticosa, attesa del compiersi della promessa: un sepolcro vuoto anche per noi.
Grazie…
Dal canto “Il mattino di Pasqua”
Il Signore è risorto: cantate con noi!
Egli ha vinto la morte, alleluia!
Oggi ancora, fratelli,
ricordando quei giorni,
ascoltiamo la voce
del Signore tra noi!
E spezzando il suo Pane
con la gioia nel cuore,
noi cantiamo alla Vita
nell’attesa di Lui!
Con queste parole desidero semplicemente ringraziare per il cammino condiviso in questo Pellegrinaggio.