Fossimo alberi!
(Giac 1,19-27 / Sal 14 / Mc 8,22-26)
Ô toi l’au-delà de tout, quel esprit peut te saisir?
Tous les êtres te célèbrent; le désir de tous aspire vers toi
O Tu, che sei al di là di tutto, quale spirito ti può contenere?
Ogni creatura di celebra, il desiderio di tutti anela a Te
Dal Vangelo secondo Marco (8,22-26)
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo.
Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano».
Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio».
Dire che questo racconto lo si legge soltanto nel vangelo di Marco, non lo rende ancora così originale qual è realmente. Colpisce subito questo doppio intervento di Gesù, quasi che il primo tentativo sia andata parzialmente a buon fine. E questo è solo perché il lettore del Vangelo pensa tendenzialmente a quell’idea di miracolo che sempre deve far rima con immediatezza.
Se tuttavia anche lo sguardo del lettore si facesse più attento, ci si accorgerebbe di quanti dettagli arricchiscono questo incontro. Gli conducono un cieco pregandolo di toccarlo. Provate ad osservare quanto volte Gesù entra in contatto col cieco: molto più di una volta! Anzitutto prendendolo per mano, poi mettendogli della saliva sugli occhi e poi imponendo le mani. E anche il dialogo tra Gesù e il cieco in via di guarigione, è – in un certo senso – un altro punto di contatto o di incontro. E pensare che lo pregarono soltanto di toccarlo!
«Vedi qualcosa?» chiese Gesù mentre stava davanti al cieco. E stranamente il cieco nemmeno dice di vedere Gesù. Eppure doveva essere il primo a cadergli sotto gli occhi! Sappiamo invece – ce lo dice il testo evangelico – che alzò gli occhi per poi dire di vedere la gente come alberi che camminano. Niente male questa similitudine. Magari fossimo come alberi! Le parole con le quali il cieco di Betsàida descrive ciò che vede, dopo soltanto un primo contatto con Gesù, suonerebbero piuttosto come un sogno e una visione stupendi: gli alberi stanno come antenne puntate verso il cielo, sempre tese verso la luce, impegnati a rendere respirabile l’aria che non ci può mancare, senza considerare quanto accade in termini di comunicazione e di mutuo soccorso a livello di radici. Magari gli uomini fossero come alberi che camminano!
Ecco dunque che Gesù deve mettere mano una seconda volta… ma perché? Per togliere quella visione trasognata così distante dalla realtà? Per aprire veramente gli occhi di quell’uomo? Potremmo perfino rifarci al racconto della creazione laddove si racconta che Dio non ha creato il mondo con una sola parola e in un solo giorno, bensì con più parole e in più giorni. E ancora, ci aiuta la lettera ai Filippesi: «…essendo convinto di questo, che colui che ha cominciato un’opera buona in voi, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù» (Fil 1,6).
«Perché la personalità di un uomo riveli qualità veramente eccezionali, bisogna avere la fortuna di poter osservare la sua azione nel corso di lunghi anni. Se tale azione è priva di ogni egoismo, se l’idea che la dirige è di una generosità senza pari, se con assoluta certezza non ha mai ricercato alcuna ricompensa e per di più ha lasciato sul mondo tracce visibili, ci troviamo allora, senza rischio d’errore, di fronte a una personalità indimenticabile». (Jean Giono, L’uomo che piantava alberi, Salani editore)
Padre nostro che sei nei Cieli,
sia santificato il tuo nome, dappertutto!
Il tuo nome è Amore.
Il tuo alfabeto è fatto di abbracci.
Il tuo agire è caldo e affettuoso.
Sia santificato l’Amore
in ogni latitudine e longitudine.
E che ogni creatura
si lasci santificare dall’Amore.
Piano piano, vedremo il tuo Regno arrivare,
farsi vicino, e sarà bellissimo accorgersene!
I sogni torneranno a vivere,
le lacrime si fermeranno
e il pane quotidiano ci sarà per tutti.
E nessuno dirà più «mio»,
perché la parola «nostro» cambierà il mondo.
Commenti molto belli.Da parte mia mi è capitato di sentirmi dire che in certe situazioni di comunione con la natura “sembro un albero” e non sapevo come interpretarlo…..effettivamente sono momenti di grande sensazione di connessione e godimento,in apparente staticità.
C’è un racconto di Herman Hesse, Favola d’amore, che racconta di un uomo che si trasforma in albero. Cerca la felicità nel fermarsi a guardare il mondo che lo circonda. Ma con il passare degli anni si accorge che gli manca ancora qualcosa per essere veramente felice, finché una ragazza si ferma sotto i suoi rami…
Eros Ramazzotti ne ha fatto una canzone con un verso bellissimo: “capì che la felicità non è mai la metà di un infinito”.
I nostri amici alberi…
Così importanti per la nostra vita e per quella del pianeta.
Davvero il Padre, pensando e realizzando la Creazione, ha inventato questi esseri viventi dai quali dovremmo solo che imparare.
Non possono muoversi ma rendono mille servizi, gratuitamente a nostra disposizione.
Solidi, con le radici ben piantate nella terra danno l’idea della forza…
A volte anch’io ho provato a immaginare di avere sotto i miei piedi lunghe radici e provare una bella sensazione di stabilità.
Radici…
Come chi, per varie ragioni, lascia la propria terra per andare altrove, sono come piante con le radici strappate che grondano terra, come pianto che bisogna consolare.
Ci credo che questo cieco risanato abbia avuto questa bellissima visione, come a dire che noi persone facciamo un tutt’uno con il Creato.
Ecco l’invito del Padre a sentirci alberi al servizio dei fratelli.
Adesso cerco di affondare le mie radici nella Parola per trarne nutrimento, forza, stabilità.
E permettetemi il ricordo di un albero particolare, un grande ippocastano vissuto 150 anni presso il nostro Santuario.
Un albero maestoso, per misurare il suo tronco ci voleva l’abbraccio di tre persone, in primavera si riempiva di fiori bianchi a grappolo, uno spettacolo magnifico e in autunno noi bambini andavamo a raccogliere i suoi frutti, delle grosse castagne che noi chiamavamo “genge”, non commestibili le usavamo per giocare…
Un amico, confesso che quando è morto mi è venuto un magone…
Mi hai preso per mano Signore, quando la mia vita non aveva più Luce, senso e sapore…
Mani fattesi ascolto, abbracci, pensieri, silenzi, preghiera e pasti condivisi.
Due croci (o alberi?) accompagneranno per sempre il mio cammino: la croce dell’amicizia con le mani che si intrecciano e la croce della resurrezione con le braccia leggermente levate verso il Cielo…
A pensarci non conto le volte in cui, per le più svariate ragioni, mi son trovata a pregare o pensare “Adesso tocca a me! Vero?”…Ma non era mai, o quasi mai, il mio turno. Quello in realtà arrivava, quasi sempre, all’improvviso o quantomeno di sorpresa. Molte volte anche quando pensavo, speravo, altro… Eppure quello, proprio quello, era il momento giusto per me, perché sapessi cogliere a dovere proprio quella cosa lì. Paro paro come il cieco del brano di oggi. Gesù si prende il suo tempo per guarirlo per concedergli il tempo di prepararsi, perché sia pronto a riscoprire il senso perduto. Perché Lui ci conosce meglio di quanto noi crediamo di conoscerci.
La visione del cieco di Betsaida non è un sogno. Come non è mai , né un sogno, né una visione (situazioni belle, situazioni difficili da vivere) la realtà. Noi esseri umani siamo, se lo vogliamo, come gli alberi: dopo un periodo di “letargo psicologico” , vuoi x situazioni particolarmente difficili da vivere, vuoi x pigrizia, possiamo rialzare il capo e diventare rigogliosi come gli alberi. Sereni di fronte ad ogni situazione che ci capita di vivere e lieti. Facendo memoria, cioè ricordandoci, che ogni giorno che ci è dato da vivere è un dono che Dio ci fa’, un giorno non solo da vivere, ma soprattutto da offrire.