Giochiamo a nascondino?
Spirito Santo del Padre, promesso dal Figlio agli esseri umani, scendi in noi e sostieni la nostra preghiera. Vieni a prendere dimora in noi, illumina gli occhi del nostro cuore, fa’ ardere in noi la Parola di vita, perché possiamo entrare sempre più nel mistero della tua presenza. Amen.
Dal Vangelo secondo Matteo (11,25-27)
In quel tempo, Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
Avete mai giocato a nascondino con i bambini che vi giocano per la prima volta? Sono simpatici e fanno sorridere quando nascondersi per loro significa togliere semplicemente dalla propria vista colui che sta per venire a cercarci. Un bambino che impara a giocare a nascondino, non si nasconderà completamente. Sembra non avere la percezione del tutto di sé, di tutto quanto è già racchiuso in quel piccolo corpo. O forse lo sa meglio di un grande e non può nascondere l’evidenza. Un bambino che gioca a nascondino si nasconde dietro ad un palo o semplicemente si volta verso un cespuglio infilandoci dentro la testa. Gli pare così di essersi nascosto. Quel non vedere corrisponde per lui a non essere visto. Ma non troppo, non per molto. Egli rivela così la sua paura di perdersi. In quel timore di non essere più visto, in quel rischio di non essere più trovato, ci si può sentire smarriti, perduti. Egli sa che la sua vita è piena perché qualcuno mi guarda, mi cerca. E quando viene trovato dal papà o dalla mamma, tutto si risolve in un abbraccio.
Il vangelo di oggi, che abbiamo già meditato non molto tempo fa (nella XIV domenica del tempo ordinario) mi fa spesso pensare a questa immagine. Colui che abita i cieli e ha la terra come sgabello dei suoi piedi, pare divertirsi a giocare a nascondino con gli uomini che lo cercano. I sapienti e i dotti hanno tendenza a definire ciò che si è scoperto. È proprio di una scoperta necessitare di una descrizione, di prove dettagliate raccolte e infine di una definizione. Quando i dotti e i sapienti si mettono a cercare Dio finiscono sempre per definirlo, incasellarlo, precisarne i contorni.
Non così i piccoli del Vangelo, che non sono semplicemente i bambini. I piccoli del Vangelo sono coloro che si sentono sempre figli di Dio e che vivono continuamente della gioia della rivelazione, di qualcosa che costantemente si svela, si fa conoscere. Il nostro Dio, il Padre nostro, non è una definizione. È una relazione, un rapporto. Simone Weil diceva: “Dio non poteva creare che nascondendosi, altrimenti non avrebbe potuto esistere che Dio solo. Forse, egli ha lasciato intravvedere di sé solo quanto basta perché dalla fede in lui l’uomo sia spinto a occuparsi dell’uomo. Perché non sia abbagliato dal cielo al punto di disinteressarsi della terra“. E ancora: “L’umiltà è soprattutto una qualità dell’attenzione“.
Cercare Dio o lasciarsi trovare da Lui? Questa potrebbe essere dunque la questione. La Sacra Scrittura non dice che Dio non vada cercato, ma sempre si dice: “Cercate il Signore mentre si fa trovare” (Isaia 55,6). C’è qualcosa che previene sempre la nostra ricerca, la nostra conoscenza di Dio, ed è esattamente la sua volontà di rivelarsi, di lasciarsi incontrare, di farsi conoscere. Come una madre e un padre per il proprio figlio. Essi stanno in atteggiamento rivelativo davanti al piccolo che imparerà poco a poco a conoscerli.
Una delle prime cose che amiamo insegnare ai piccoli è a dire: “Grazie”. Per ogni dono, un grazie. Ci sembra di renderli agli occhi degli altri più educati. Col passare del tempo, quel semplice “grazie” di un piccolo che non può fare altro che ricevere, si trasformerà in una capacità di procurarsi tutto con le proprie mani, una specie di arroganza nel mostrare la propria indipendenza raggiunta. Il non dover dipendere più da nessuno pare essere il segno più grande di una presunta maturità. Col passare del tempo, quando l’esistenza si rivela nuovamente fragile e incerta, si scopre con amarezza – e che fatica! – di aver nuovamente bisogno degli altri.
Ringraziare, dare lode è ancora il modo migliore per spiegare la Vita che si rivela a noi in tutta la sua gratuità. E quando avremo compreso la divina sproporzione – quella di Dio che ama dimorare, come nascosto, nell’uomo – allora non cercheremo più nulla ma ci lasceremo trovare da Colui che è venuto a cercarci, come la Luce che avvolgendo ogni cosa dona spessore.
Quando Adamo si nascose nel giardino, perché ebbe paura dell’Altro, sentí rivolta a sé una domanda: “Adamo, dove sei?” (Genesi 3,9). Chi cerca chi dunque? È l’uomo che cerca Dio o è Dio che va in cerca dell’uomo perduto e smarrito e lo salva? Non ci resta che continuare a seguire Gesù per scoprirlo. Pagina dopo pagina. Incontro dopo incontro.
Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino.
L’empio abbandoni la sua via
e l’uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.
Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore.
Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
(Isaia 55,6-9)