Grandchamp, la tintoria divenuta monastero
Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani – I giorno
(Eb 5,1-10 / Sal 109 / Mc 2,18-22 oppure i testi proposti per la settimana di preghiera Gen 12,1-5 / Gv 1,35-51)
Sulle rive di un piccolo affluente del lago di Neuchâtel (CH), il fiume Areuse, sorse nel 1944 un monastero, circondato d’inverno da distese di neve e prati fioriti, da primavera fino al termine dell’estate. Gli edifici che compongono il monastero già esistevano prima della Comunità che oggi vi abita. In quel luogo sorgeva una tintoria per tessuti. L’acqua era necessaria proprio ai processi di tintura. Occorreva inoltre un luogo ampio ma soprattutto alto dove sospendere tessuti per farli asciugare. Un’edificio dall’aspetto imponente, in legno scuro diventato oggi il cuore della preghiera comunitaria delle sorelle di Granchamp. Abitavo non molto distante dal monastero. Una piccola linea ferroviaria collega il centro della città, capoluogo del Cantone svizzero, con alcuni villaggi nei dintorni. A poche centinaia di metri dal monastero il treno metropolitano fa una fermata, facilitando così la possibilità di raggiungere quel luogo in disparte, fermo restando la possibilità di accedervi per strada. In bicicletta, nella bella stagione. Granchamp: un luogo in disparte, per lo più marginale. Non ci sono recinzioni, non mura. La vegetazione protegge e fa da barriera naturale segnando uno stacco con la vita quotidiana.
Il monastero di Granchamp fu spesso anche per me negli anni svizzeri, luogo privilegiato per starmene un po’ in disparte. Anche solo una giornata o il tempo della preghiera comune. Ricordo benissimo la prima volta che entrai nella cappella, quel vecchio edificio già essiccatoio dei tessuti. Vi si accede attraverso uno scalone laterale. La luce filtrava attraverso le fessure tra le tavole di legno che compongono la struttura. Sarà stato per effetto del legno scurissimo, sarà per l’altezza incredibile di quel soffitto, sarà per il gioco di travature che sovrasta la testa, mi pervase un senso di timore, di piccolezza e al contempo di protezione. Col tempo quel luogo mi divenne famigliare. Anche quelle lame di luce – così parevano quei raggi che entravano nell’edificio – divennero più dolce per effetto di alcuni vetri colorati che poto tempo dopo hanno leggermente impreziosito un luogo che vuole rimanere comunque sobrio e austero.
Difficile incrociare qualcuno all’interno del grande cortile del monastero. Nemmeno le sorelle che vi abitano. Appaiono al suono della campana che chiama per la preghiera oppure radunate assieme nell’ora dei pasti. Per scelta della Comunità stessa il menu è vegetariano e spesso sono insalate guarnite di ogni genere di semi. Una scelta radicale anche quella di un «jardin potager» per questo tipo di sostentamento.
Anche in quel luogo ho scoperto cos’è l’ecumenismo. Molto concretamente. Ho conosciuto – ed è questo che rende ancor più belli certi luoghi – cristiani di altre confessioni, pastori della chiesa riformata del cantone con i quali ci siamo confrontati volentieri su alcuni temi. Se vi ho portato per un attimo ancora nel vivo mondo dei miei ricordi è per pura casualità e per quel tonfo bello al cuore che ho provato quando ho scoperto che il piccolo sussidio per la preghiere e la riflessione in occasione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani è stato pensato e predisposto proprio dalle sorelle della Comunità di Grandchamp.
In questa settimana dunque, troveranno posto anche le brevi riflessioni e le preghiere proposte della comunità di Granchamp. Davvero il Vangelo è luogo di rinnovamento e di novità per la nostra vita, dove incontri tante persone che, nel tempo, impari a chiamare fratelli e sorelle.
L’inizio del cammino è l’incontro tra l’essere umano e Dio, tra la creatura e il Creatore, tra il tempo e l’eternità. Abramo ha udito la chiamata: «Va’ nella terra che io ti indicherò» (Gn 12, 1) e come Abramo anche noi siamo chiamati a lasciare ciò che ci è familiare e andare verso il luogo che Dio ha preparato nel profondo del nostro cuore. Durante il cammino diveniamo sempre più noi stessi, il popolo che Dio ha voluto fossimo dall’inizio e, seguendo la chiamata che ci è stata rivolta, diveniamo benedizione per i nostri cari, per il nostro prossimo e per il mondo. L’amore di Dio ci cerca; Dio si fa Uomo in Gesù, e in lui incontriamo lo sguardo di Dio. Nella nostra vita, come nel Vangelo di Giovanni, la chiamata di Dio trova ascolto in modi diversi. Toccati da questo amore, noi partiamo. In questo incontro intraprendiamo un cammino di trasformazione, luminoso inizio di una relazione di amore che si rinnova sempre.
Gesù Cristo, Tu ci cerchi,
Tu desideri offrirci la tua amicizia
e condurci alla pienezza di vita.
Donaci la fiducia di rispondere alla tua chiamata,
affinché possiamo essere trasformati
e divenire testimoni
della tua tenerezza per il mondo.
Amen.
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 2, 18-22)
In quel tempo, i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno.
Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!».
Nelle civiltà più antiche il digiuno era associato al lutto o alla penitenza. Alcuni digiuni vennero introdotti per ricordo momenti particolarmente difficili nella storia di Israele. Il digiuno offriva dunque più tempo da dedicare alla riflessione e alla preghiera. Gesù conosceva queste usanze e di certo non le disprezzava se erano svolte con lo spirito giusto da chi vi si sottoponeva volontariamente. Pertanto sembrava strano agli interlocutori di Gesù che egli e i suoi discepoli non le rispettassero. Ma poteva ancora avere senso vivere nel triste ricordo di momenti di giudizio come la distruzione del tempio, quando in mezzo a loro era già presente il Messia che avrebbe stabilito il Regno di Dio? Era il momento di digiunare o sarebbe stato più opportuno rallegrarsi? Con il Messia già presente in mezzo al popolo era piuttosto il momento di pensare alla gloria futura che ancora doveva manifestarsi eppure tanto attesa e sperata, non di certo il momento di ripensare agli errori del passato.
Un giorno mi accorgerò che,
quasi senza avvedermene,
un «sì» è già stato scritto
nel profondo di me.
E così sceglierò di continuare
a camminare sulle tue orme, o Cristo.
Nel silenzio, alla tua presenza,
udrò il tuo appello sommesso:
«Seguimi,
e ti darò un luogo
per far riposare il tuo cuore».
Grazie. Che bellissima immagine di pace profonda in Dio che mi ha trasmesso il tuo racconto. Mi sono sentita attraversata dal Suo sguardo pieno d’amore che mi dice: Più conosci te, più trovi Me. Grazie di cuore.
Quando leggo di «tessuti stesi ad asciugare», «lame di luce», «vetri colorati», «chiamate alla preghiera»,non posso non pensare al mio luogo del cuore, dove la bellezza e la ieraticità abitano ogni singolo angolo su cui l’occhio si posi.
Cercherò di inviare una fotografia ma non è detto che ci riesca.
Che belle davvero queste scoperte! Con questa riflessione mi hai portato alla mente l’esperienza che feci in Olanda quando, frequentando la messa domenicale nella chiesa cattolica di Den Helder, scoprii un modo nuovo di viverla. Non erano solo la lingua ed i canti ad essere diversi, era diverso anche il rito dell’eucarestia e il momento di uscita dalla chiesa. Siccome poi ci sono molte chiese sparse in molti paesini e spesso capita che non bastino i preti, ci si arrangia come si può per il rito domenicale, magari grazie ai diaconi o ai ministri straordinari. È bello e sano provare a fare diverse esperienze di preghiera ogni tanto. Io in Olanda non capivo la lingua, ma mi sono sentita comunque membro -pur passeggero!- di una comunità.