Guarire a tavola
Gli bastavano poche parole per salvare coloro sui quali posava lo sguardo. «Alzati» disse al paralitico. «Seguimi» dice ora al pubblicano Matteo. E poche sono pure le parole che descrivono il fatto e la persona in questione: un pubblicano, tutto dedito, fino a quel momento, a fare di conto. A proprio vantaggio, si intende. D’ora in poi non più numeri, non più calcoli e tornaconti. Avrà a che fare con la Parola. I numeri non facevano altro che tenerlo inchiodato a quel banco delle imposte, in una sorta di paralisi dello spirito.
Poi, subito, tutti a tavola. Per il Maestro di Galilea questo modo di procedere era ordinaria amministrazione. Per raccontare Dio – per gustarlo quasi – sembrava non saper fare altro che sedersi a tavola con pubblicani e peccatori. Niente di più eloquente. Assetato di giustizia, sfamava con la misericordia. Gratuitamente.
L’unico prezzo da pagare per tutti quei banchetti era proprio quell’infamia che gli si buttava addosso. Ma pagò di persona. I suoi commensali mangiavano e bevevano gratuitamente cibi e bevande spirituali, vero companatico a cibi solidi da poter mangiare in santa pace, senza timore alcuno, perché anche la Misericordia stessa si incarna ed è sostanziosa.
I farisei, incapaci di dire apertamente quello che pensavano di Lui, non seppero fare altro che rivolgersi ai suoi discepoli. Ma Gesù li sentì. Più che sentirli, sapeva bene ciò che era scritto nel loro cuore. Di certo non li avrebbe esclusi. Avrebbe offerto pure a loro l’occasione di sedersi a quella tavola…a condizione che sapessero riconoscersi ammalati e bisognosi, come quando ci si rivolge ad un medico perché si è ammalati. Li rimandò a scuola ad imparare cosa significasse misericordia. Li invitava a scrutare le Scritture già che amavano farlo perché comprendessero quanto quel suo modo di fare fosse fedele alla volontà di Colui che lo aveva mandato.
Se ci sono malattie del corpo che la medicina riesce a diagnosticare e, talora, curare, altrettante malattie sono dell’anima. Siamo diventati esperti nel ricercare cause di malattie corporali. Fatta la diagnosi il passo seguente è cercare la cura, il rimedio, la terapia. Ci sono malattie dell’animo che non hanno origine all’infuori di noi. Escludere da una tavola di comunione in virtù di quelli che spesso riteniamo sani principi è l’origine di malattie dell’anima come egoismo, indifferenza, apatia, intolleranza o insofferenza, mancanza di pazienza… di misericordia appunto.
Matteo, che ora sta felicemente seduto a tavola non ha bisogno di fare abluzioni o riti di purificazione tali che la religione prevedeva. Matteo è già mondo per effetto di quella parola: «Seguimi». Alzarsi e seguire il Maestro è più di un rito che purifica. «Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato» (Gv 15,3). Quando, rivolto ai farisei, disse loro: «Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”» non li stava di certo cacciando. Li invitava ad ascoltare correttamente quella Parola di cui loro pensavano di essere interpreti autorevoli. Non avevano ancora compreso che Gesù è il miglior commento alle Scritture.
Vieni, Santo Spirito di Dio!
Spirito di luce e d’amore,
fa’ risplendere nella nostra vita
la Pasqua di Gesù.
Anima i nostri canti di libertà
per percorrere in fretta
cammini di riconciliazione,
e dissolvendo ogni paura e illusione,
rendici testimoni riconoscenti.
Amen.
Dal Vangelo secondo Matteo (9,9-13)
In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Camminare verso di te, mio Dio,
è sale sulle mie ferite
e pane per la mia fame. […]
La fede è più necessaria a me che a Te:
è il mio cammino, la mia ricerca. […]
Perché non porto la mia vita
alla tavola del tuo Pane?
Tu che mi conosci e mi precedi,
mi turbi e mi commuovi;
Tu, che sei ombra che illumina
e chiodo che libera;
Tu, che con occhi smisurati
contempli la mia briciola vagante.
Eccoti quel che ho e non ho:
è solo tuo!
(Ruggero Marini)
Questo brano del Vangelo e le riflessioni a cui porta sono più attuali di quanto non si pensi. Accogliere ciò che è diverso da sè, non conforme ai propri “usi e costumi”, o magari “sbagliato” rispetto ad essi è più complesso di quanto non si creda. Quante volte può capitare di riprendere un nuovo collega (o amico, parente o chiunque altro) perché ha fatto o sta facendo qualcosa di sbagliato, mossi da uno slancio di rabbia. Ma quanto è più utile (e fruttuoso anche!) accostarsi alla correzione accogliendo innanzitutto i limiti dell’altro?
Vigore nella fede e fervore nella testimonianza… “Perché nessuna tentazione spenga la fiamma che la grazia del Tuo Spirito ha messo nei nostri cuori”. Non c’è peccato o tentazione, per quanto grande che sia, che la Tua Misericordia non possa illuminare e convertire in luce, riportandoci alla nostra origine di “figli della luce” che Tu hai redento e sempre redimi.
Peccatori lo diamo…ma peccatori sempre redenti dal Tuo Amore, perché amati possiamo amarci ed ancor più amare, guardando ai nostri peccati con compassione,tenerezza e tanta misericordia.