I comandamenti e gli idoli
XXX domenica del Tempo Ordinario (A)
(Es 22,20-26 / Sal 17 / 1Ts 1,5-10 / Mt 22,34-40)
Signore, salvatore dell’umanità,
non badare alle tante bestemmie,
dimentica le cattiverie delle persone,
l’odio e le continue violenze.
Torna a vivere con noi,
e dacci coraggio e gioia;
mostraci il tuo volto di tenerezza
e aprici il cuore alla fiducia.
Il Signore ha qualcosa da dirci,
sono sicuro che parlerà di pace
a noi, comunità di credenti in Lui,
e a tutti gli uomini dal cuore sincero.
(Sergio Carrarini, Il Dio che viene)
Dal Vangelo secondo Matteo
(22,34-40)
In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».
Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
I poveri, gli ultimi, gli emarginati avevano saputo già riconoscere in Gesù il Messia. Tra le folle, la domanda circa la messianicità del Nazareno, circolava esplicitamente. Che non sia Lui il Messia? Chi invece opponeva resistenza erano per lo più scribi, farisei, dottori della Legge, sacerdoti e anziani del popolo. Duri di cuore, incapaci di lasciarsi scalfire dalla tenerezza di quell’ebreo marginale, impauriti forse che il loro impianto teologico potesse venire smantellato. Idolatrie smascherate!
Quando ascoltarono Gesù raccontare certe parabole (per intenderci proprio quelle che abbiamo ascoltato nelle scorse domeniche) dovettero ad un certo punto comprendere che di quelle parabole essi non ne erano solo i destinatari ma anche i protagonisti principali, messi in scena ad interpretare i ruoli più infelici. Senza accusarli direttamente, Gesù li chiama in causa confidando, nonostante la loro durezza di cuore, nella loro capacità di interpretare quelle sue parole.
Di conseguenza si rivolgeranno d’ora in poi a Gesù sottoponendogli delicatissime questioni tese a coglierlo in fallo, per farlo cadere in qualche trappola interpretativa così da avere un motivo palese per accusarlo pubblicamente e, dunque, toglierlo di mezzo. Uccidendolo.
Assurdo ed evidente paradosso se l’uomo per sostenere la fede in un Dio che afferma di conoscere e credere, si legittimasse ad uccidere un altro uomo, suo simile. La vicenda terrena di Gesù – non dimentichiamolo – giunge a questo paradosso: Egli, il Figlio di Dio venuto sulla Terra viene eliminato ed ucciso sulla croce perché il volto di Dio che con la sua vita egli stava testimoniando non corrispondeva affatto al dio creduto da coloro che ne firmeranno la condanna a morte.
Non dimentichiamoci le parole con cui l’evangelista Giovanni chiude il prologo del suo Vangelo: Dio nessuno lo ha mai visto. Il Figlio unigenito, Gesù, è venuto a darcene la miglior spiegazione. Quell’uomo che Gesù è stato nei giorni della sua vita terrena è per chi crede in Lui il Figlio di Dio. Chi ha visto lui ha visto il Padre. Chi conosce Gesù e giunge a credere in Lui e alla sua testimonianza umanissima di Figlio, può vedere ancora oggi il volto del Padre. Non dimentichiamo neppure che la Scrittura dice che è Dio ad aver fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza. Se dovessimo affermare il contrario – che cioè l’uomo crea il suo dio a propria immagine e somiglianza – allora saremmo davvero sulla strada sbagliata. E di fatto, quante volte constatiamo che l’uomo si fa un’immagine di dio, un’idea propria ed erronea. Ed è così che nascono gli idoli… fino alla violenza fratricida.
Nella Scrittura non è questione di credere o non credere. È questione piuttosto di conoscere, amare e servire l’unico Dio. Il lavoro della fede, l’opera che il credente deve fare seriamente e continuamente è verificare se egli non si stia fabbricando un idolo con le proprie mani, con le proprie idee, con le proprie convinzioni, con i propri desideri… Non ci sono credenti e non credenti nelle pagine della Bibbia. C’è un solo Dio… e tanti idoli fabbricati da mani d’uomo.
Ma torniamo ancora alla questione posta a Gesù nel Vangelo di oggi. È la terza delle questioni. La prima è quella del vangelo di domenica scorsa: è lecito o no pagare il tributo a Cesare? È lì che Gesù aveva invitato a guardare l’immagine coniata sulla moneta di Cesare, rivolgendo poi l’invito a guardare nel fondo del proprio cuore per ritrovare l’immagine che Dio ha lasciato nell’uomo. La seconda questione (che non è stata proposta in questo ciclo liturgico di letture bibliche) riguarda la resurrezione dei morti, questione sollevata dai sadducèi i quali affermavano che non c’è resurrezione dai morti.
La terza questione – quella del Vangelo di oggi – era di grande attualità nei dibattiti rabbinici. Qual’è il più grande comandamento? Sapendo che ci sono più di seicento tra comandamenti e precetti nella Legge mosaica, c’è da immaginare quanto tempo e quanto spazio potesse occupare questa disquizione. Quanto al primo comandamento, Gesù risponde nel modo più evidente e l’evidenza della sua risposta smaschera l’intenzione stessa dei suoi interlocutori. È evidentemente chiaro e palese che in ogni religione il primo comandamento riguardi l’amore da riservare a Dio. Ciò che Gesù compie di estremamente rivoluzionario – ed è questo che è spiazzante e sorprendente – è che lega il primo comandamento religioso che esige l’amore per Dio al comandamento che chiede l’amore del prossimo. A nulla serve trascurare il prossimo perché ci sta recando a compire qualcosa che esprime l’amore verso Dio. Non dimentichiamoci della parabola del buon samaritano. Chi vede l’uomo malcapitato e bisognoso ma passa oltre sono uomini religiosi, implicati nel servizio di Dio. Scelgono di non trascurare il comando di amare Dio, continuano la loro strada verso il servizio del culto e non soccorrono l’uomo, non si fanno prossimi a lui. Chi sceglierà di amare il malcapitato è uno straniero, qualcuno che non è tenuto ad osservare quelle regole religiose. E ancora, non dimentichiamo le parole di Gesù quando chiede di andare a riconciliarsi prima col fratello per poi tornare ad offrire a Dio ciò che s’è pensato di offrirgli.
Non è questione di priorità, di precedenza o di mettere ordine tra i più disparati comandamenti, ma è piuttosto questione di convertirsi a questo Dio che chiede di amare il prossimo per dire veramente in quale Dio crediamo. È sapere smantellare e rinviare a tutti gli idoli che ci siamo creati per giustificare comportamenti umani che nulla dicono dell’unico Dio. Non è credibile un dio che chiedesse di eliminare l’altro per affermare se stesso o l’identità di un gruppo di persone, un popolo, una nazione. Non sarà certo il Dio di Gesù Cristo.
Così si comprende quanto Paolo scrive agli abitanti di Tessalonica. È il messaggio racchiuso nella seconda lettura. Paolo si complimenta con gli abitanti di quella città per la loro fede divenuta testimonianza in favore del Dio vivo e vero. Scrive Paolo:
Per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne.
Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero.
Paolo si accorge quanto sia superfluo parlare di Dio in certe terre dove è passato laddove la stessa vita dei Tessalonicesi ne è già stata una buona testimonianza. Come diceva bene Francesco di Assisi: solo se servono le parole si deve predicare, altrimenti l’esempio stesso della vita basterà è dire il Vangelo.
Benedetto il Signore Gesù,
Parola eterna del Padre
rivelata in trent’anni di silenzio.
Poi un grido soffocato nel sangue.
Benedetto lo Spirito Santo,
suono di vento impetuoso
alito di brezza leggera
che ci parla dell’amore di Dio.
Benedetto sia infine il Padre
che in Cristo ha vinto il silenzio
di tutti i sepolcri di morte
e ci attende per cantare alla vita.
(Sergio Carrarini)
Quanti modi abbiamo noi di uccidere l’altro, per non farlo più esistere…, anche se il più atroce è quello che ancora oggi vediamo nei luoghi tanto amati da Colui che aveva provato a mostrarci l’altra via percorribile: quella dell’amore e del perdono.
E oggi in una celebrazione Eucaristica italiana: “Servire è regnare” del gruppo GenVerde. Fu proprio così che regnò Gesù Cristo, mostrandoci che amare è servire.
Ed allora ti chiediamo Padre misericordioso di aiutarci a farci servi per amore del nostro prossimo, di ogni uomo.
Non sarà sempre facile ma Qualcuno ci ha mostrato che è possibile, solo abbassandosi e guardando gli altri dal basso per una sola ragione (come disse in un’omelia Papà Francesco): tendere la mano per aiutarli a rialzarsi.
Oggi più che mai è calzante e necessario ricordarci la diretta connessione tra l’amore per Dio e l’amore per il prossimo, come l’uno sia il riflesso dell’altro. Come stia poi che lí, in estrema sintesi, la base necessaria e fondante per una vita che sia autenticamente di fede, ma anche di pace e benessere, per tutti e per ciascuno e, in quanto tale, autenticamente universale. Questa radice universale, capace di andare ben oltre le piú varie confessioni, è davvero qualcosa che dovremmo tenerci a mente saldamente, e agire nella vita quotidiana.
Interessante e preziosa anche la scelta di celebrare la Costituzione Italiana ribadendo cosí poeticamente e funzionalmente l’ importanza del “non uccidere” che ancora fatichiamo effettivamente ad agire.
Il Vangelo di questa domenica afferma una posizione che è esattamente l’opposto di ciò che attualmente sta accadendo nel mondo. Ovviamente io devo interrogarmi in prima persona: riesco a vivere come mi insegna il Vangelo? Credo però che pur essendo cristiana, non posso dimenticare le parole di San Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla): “Basta guerre, perché un giorno il giudizio di Dio arriverà!”, parole, giudizi che coincidono con quelle che continuamente ci vengono rivolte dall’attuale Papa Francesco.