Il colore fa la differenza (in rosa, seconda parte)
(Es 24,3-8 / Sal 49 / Mt 13,24-30)
Eccola la luna piena di questi giorni. Catturata in uno scatto, scatto chiesto in prestito. Una palla di luce in un cielo nero come pece, un bottone dorato a broccare la notte. I colori fanno la differenza: un cielo azzurro diventa facilmente la grande dimora di Dio, il luogo paradisiaco e sereno dove collocare chi non è più. Ma un cielo colore piombo minaccia improvvisamente la vita degli uomini ed è così che Dio sembra avverso, come negli antichi racconti quando mandò un diluvio, un colpo di spugna a tutti gli errori umani nascondendo però salvezza in un arca color legno che un uomo, pazientemente, costruiva quando ancora splendeva il sole.
I colori fanno davvero la differenza: anche il grano si colora d’oro mentre la zizzania scurisce e annerisce nell’istante che segue il taglio. Solo in quel momento si può distinguere il seme buono dalla zizzania seminata da chi è nemico dei bei colori di Dio. L’oro del grano e il nero della zizzania, proprio come la luna e il cielo di notte.
Il rosa è in un fiocco sulla porta di casa. I passanti sanno che c’è lì dentro, in quella casa c’è vita nuova, al femminile. Un concentrato di sonno e di fame. Una sete di affetto a contatto e un mondo così vasto da tener chiusi gli occhi perché non puoi scoprirlo tutto in un istante. Il seme paterno deposto nella madre terra ha portato il suo frutto. L’attesa è nota caratteristica del tempo che serve per maturare, per crescere. E l’attesa ha tutte le sfumature del colore.
Non smetto di pensare a quel rosa, in quell’edificio che si staglia qui accanto alle finestre di casa. Oltre quel cappotto di rame invecchiato e ingrigito col tempo, ti sembra perfino di stare dentro quel grosso pesce che salvò il profeta Giona dal mare infuriato e dal male che circonda e assale a ondate gigantesche. Gli archi che sostengono l’edificio si sono fatti lame bianche, sembrano ossatura di balena, carcassa viva di un edificio che vive nel tempo, invecchiando. Gli archi a sesto acuto che sostengono la chiesa in alcuni punti sembrano deformati, non sono tutti uguali, fatti con uno stampo. In alcuni punti, a ben guardare, pare davvero che la balena di Giona faccia lei pure un grosso respiro e la carcassa si dilata, in prossimità dell’altare. Una boccata d’aria quando la salvezza si avvicina, quando il pane e il vino sono lì a un passo da te. Sono i segni dell’Alleanza, della pace tra cielo e terra.
La Chiesa si fa madre proprio quando insegna ai suoi figli la comunione, la condivisione e mostra chiaramente che ce n’è per tutti. E anche di posto ce n’è. Perchè – disse – nella casa del Padre mio ci sono molte dimore, altrimenti ve lo avrei detto. Il campo di Dio è vasto, la mano che semina è generosa. Non c’è spazio per ristrettezze, per chiusura. Il grembo stesso della madre si dilata in funzione dello spazio necessario alla gestazione. Perché dunque difendere il proprio posto? Perché restringere le visioni? Per quell’idea che grano e zizzania non possono mescolarsi nello stesso campo? Questo è inevitabile.
E le dita ora si muovono veloci sulla tastiere per scrivere ancora di questi colori, perché vorrei illustrarne gli infiniti significati. Due volte l’anno la liturgia si veste di rosa. All’approssimarsi del Natale e della Pasqua, quando il viola intenso e austero del tempo di Avvento e Quaresima sembrano già mescolarsi al bianco dei giorni di festa che stanno al cuore di tutto l’anno liturgico, nei due punti focali del cammino dei credenti: la Pasqua e il Natale. Ho sempre spiegato così quell’insolito colore rosaceo in quei due giorni particolari dell’anno. Il viola sente già la vicinanza del bianco e mescolandosi si stempera fino a diventare rosa. È il colore delle domeniche chiamate «Laetare» e «Gaudete». Rosa, nel linguaggio della liturgia è il colore della gioia. Non quella sfacciata, scomposta, che rischia di confondersi con la spensierata indifferenza alle sofferenze. È la gioia che manca spesso alla testimonianza dei credenti, è il sorriso sulle labbra non stampato per circostanza. È quella gioia per la quale Francesco dovette scrivere un’Enciclica «Evangelii Guadium», la gioia del Vangelo.
Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua. Però riconosco che la gioia non si vive allo stesso modo in tutte la tappe e circostanze della vita, a volte molto dure. Si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto. Capisco le persone che inclinano alla tristezza per le gravi difficoltà che devono patire, però poco alla volta bisogna permettere che la gioia della fede cominci a destarsi, come una segreta ma ferma fiducia, anche in mezzo alle peggiori angustie (Evangelii Gaudium, n.6)
Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione. (Evangelii Guadium, n.49)
Nel rosso di sera che al tramonto annuncia il bel tempo del giorno che verrà, ci sono un’infinità di tinte in cui puoi riconoscere anche tonalità di rosa. Buongiorno!
Questo intendo richiamare al mio cuore,
e per questo voglio riprendere speranza.
Le grazie del Signore non sono finite,
non sono esaurite le sue misericordie.
Si rinnovano ogni mattina,
grande è la sua fedeltà.
(Dal libro delle Lamentazioni 3, 21-22)
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo:
«Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania.
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”.
E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio”».
Vergine e Madre Maria,
tu che, mossa dallo Spirito,
hai accolto il Verbo della vita
nella profondità della tua umile fede,
totalmente donata all’Eterno,
aiutaci a dire il nostro “sì”
nell’urgenza, più imperiosa che mai,
di far risuonare la Buona Notizia di Gesù.
Tu, ricolma della presenza di Cristo,
hai portato la gioia a Giovanni il Battista,
facendolo esultare nel seno di sua madre.
Tu, trasalendo di giubilo,
hai cantato le meraviglie del Signore.
Tu, che rimanesti ferma davanti alla Croce
con una fede incrollabile,
e ricevesti la gioiosa consolazione della risurrezione,
hai radunato i discepoli nell’attesa dello Spirito
perché nascesse la Chiesa evangelizzatrice.
Ottienici ora un nuovo ardore di risorti
per portare a tutti il Vangelo della vita
che vince la morte.
Dacci la santa audacia di cercare nuove strade
perché giunga a tutti
il dono della bellezza che non si spegne.
Tu, Vergine dell’ascolto e della contemplazione,
madre dell’amore, sposa delle nozze eterne,
intercedi per la Chiesa, della quale sei l’icona purissima,
perché mai si rinchiuda e mai si fermi
nella sua passione per instaurare il Regno.
Stella della nuova evangelizzazione,
aiutaci a risplendere nella testimonianza della comunione,
del servizio, della fede ardente e generosa,
della giustizia e dell’amore verso i poveri,
perché la gioia del Vangelo
giunga sino ai confini della terra
e nessuna periferia sia priva della sua luce.
Madre del Vangelo vivente,
sorgente di gioia per i piccoli,
prega per noi.
Amen. Alleluia.
(Papa Francesco, dalla lettera apostolica Evangelii Guadium)
Grazie di cuore Don Stefano per queste due ultime riflessioni a tema “rosa”. Sono cascate più puntuali che mai a ricordarmi che, oltre alle piccole o grandi “grinze grige” che possono incappare nella vita, possiamo (e dobbiamo!) ricordarci che possiamo sempre contare su una solida base di accoglienza. Talvolta può capitare di subire lo sgambetto (o essere addirittura travolti) della cattiveria che, come dice mia madre “è sempre stupida e senza senso”, c’è sempre un orizzonte più roseo verso cui tendere.
Mi discosto un po dalla riflessione sui colori ispirata dai lavori della chiesa nella quale aspetto con gioia di rientrare per una breve riflessione su una frase di questo Vangelo. Perché se è vero che il padrone promette di bruciare la zizzania una volta raccolta, dice anche di non farlo prima della mietitura. “Perché, raccogliendo, non venga estirpare anche il grano”.
Vorrei ricordarlo a quei pseudo-cristiani che girano con il crocifisso al collo e la pistole in tasca per ‘difendere i buoni dai cattivi…
Un breve intenso viaggio dentro il vangelo, l’arte, le emozioni, la capacità di raccontarsi: bellissimo!
Sei risorsa rara, caro don Stefano.
Il colore rosa lo paragonerei ad un leader: o lo ami o non lo ami.
E nella filosofia dei colori chi lo ama tende a prendersi cura delle persone ed è sensibile… ho detto tutto.
Buongiorno a te e a tutti voi. E grazie. Grazie di cuore.