Il Natale e i modi per raccontarlo

II domenica dopo Natale

(Sir 24,1-4.12-16 / Sal 147 / Ef 1,3-6.15-18 / Gv 1,1-18)

Natale ci sono molti modi per dirlo. Lo rappresentiamo subito davanti agli occhi dei piccoli realizzando un presepio e intanto lo raccontiamo servendoci delle parole dei Vangeli di Luca e di Matteo. In casa come in chiesa. E questa è la bellissima corrispondenza che si crea attorno all’evento natalizio. Ogni tanto in casa come in chiesa parliamo la stessa lingua, compiamo gli stessi segni. E il Natale appare fin da subito in tutto il suo incanto. Uno stupore che fa meraviglia. Ma cos’è che ci meraviglia? Il fatto che Dio si sia fatto uomo? Il fatto che non c’è posto in questo mondo per un bambino appena nato? Anche questo è un altrettanto grande mistero. 

Poi passano gli anni… e quante volte ho sentito adulti rimpiangere il Natale di quand’erano piccoli. Era più magico? Era più sentito? Eppure quel primo natale chiede ogni anno di essere approfondito, così come la vita va compresa e approfondita man mano che scorre e gli eventi quotidiani si fanno domande o sorprese. In realtà col passare degli anni il Natale potrebbe essere per noi una buona notizia che si può approfondire sempre più, proprio col passare del tempo. Certo, per degli adulti, il Natale non può più essere soltanto raccontato come la storia del bambino di Betlemme. Ci sono domande che rischiano di offuscare quella storia, quella vita umanissima. Eppure proprio quel Suo Natale vorrebbe essere quella Luce di cui abbiamo necessariamente bisogno per proseguire nella« selva oscura» della vita, se è possibile citare così il Sommo Poeta. 

La distanza che ci separa dal Natale di Gesù e perfino la distanza che ci separa dalle feste natalizie di quand’eravamo fanciulli, non deve diventare motivo di dubbio o di nostalgia, ma semplicemente un invito ad approfondire ancor di più quel mistero del nascere, del venire alla Luce, il mistero d’aver imparato a parlare…

È questo il motivo per cui l’evangelista Giovanni racconta il Natale a modo suo. Non con voli di angeli, non con pastori e greggi. Ma con il linguaggio del suo tempo, nella lingua del suo tempo (il greco), parlando a Comunità di cristiani che già sperimentavano la fatica di comprendersi e di parlare la stessa lingua del Figlio di Dio. C’erano nella Comunità che leggeva il Vangelo di Giovanni discepoli di Gesù che provenivano dal giudaismo e altri che già provenivano dal mondo pagano, dal mondo greco… difficile davvero intendersi.

Giovanni prova così a raccontare, approfondendo, il Natale. All’inizio c’è dunque la Parola e sempre ad essa dobbiamo fare ritorno. Se ieri chiedevamo a Dio di insegnarci a contare i nostri giorni, proprio nell’esperienza del tempo che scorre e passa, oggi chiederemo a Dio di insegnarci a parlare perché la Parola ha bisogno di un corpo che la pronunci, di un corpo che la ascolti e di corpi che la facciano vivere, la incarnino. È proprio come accade col vento: non lo si vede. Eppure quando incontra la materia di cui siamo fatti diventa il fruscio delle foglie sugli alberi, diventa il sibilo nello spiffero di una porta o di una finestra. Così la Parola di Dio che era in principio quando incontra un corpo fa sentire e vedere Dio stesso. Questo per Gesù doveva essere molto chiaro. E questo fece.
Dio nessuno l’ha mai visto.
Il Figlio unigenito che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

Rendici degni, Signore,
di celebrare e di compiere in pace
la tua festa di luce, 
lasciando le parole vane,
facendo opera di giustizia…
affinché siamo degni dei beni futuri
che non avranno fine.

Dal Vangelo secondo Giovanni (1,1-18)

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

Venuto in terra
per portare un’ombra della Luce di Dio,
che lo splendore lo lasciasti in cielo,
da custodire a tuo Padre.
Venuto in terra per sporcarti i piedi,
nelle strade d’Oriente,
nelle strade d’Europa,
nelle strade del mondo:
sui sassi e sulla polvere,
sull’acciottolato e sull’asfalto,
nei vicoli angusti dei borghi,
dovunque camminano gli uomini […]
Gesù bambino dai piedini rosa,
come la nostra carne, 
come la nostra speranza,
come la nostra vita,
hai fatto bene
a dimenticare la tua gloria,
hai fatto bene
a camminare con noi,
a faticare come noi,
ad avere fame e sete,
stanchezza e sonno,
gioie e dolore;
e a piangere coi nostri occhi.
Hai fatto bene
a mostrarci così
gli occhi di Dio, 
la fame di Dio,
l’amore di Dio,
l’impotenza di Dio;
a dare un volto
a Colui che non ha volto;
a dare voce
al Silenzio del Verbo.

(Adriana Zarri, Gesù bambino dai piedini rosa)


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Piccoli Pensieri (1)

Adriana

Quante volte ho letto e ascoltato il brano del vangelo di Giovanni tante da mandarlo a memoria. È due giorni che ritorno su di esso lasciandomi suggestionare o condurre dalle riflessioni di don Stefano. Dunque: in Gesù la Parola si fa carne e viene donata al mondo come verità che illumina la nostra vita e ne traccia un sentiero.
Per essere efficace, però,deve diventare dialogo, cioè aprirsi all’altro, diventare ascolto, quindi offrirsi per sottrazione, per mancanza, in una condizione di dono gratuito… Allora mi viene in mente un’immagine, quella del neonato in un dialogo intimo con la sua mamma: è un incrocio di sguardi amorosi, di suoni incomprensibili, di parole che comunicano amore, rassicurano e ti fanno esistere. Sono due fragilità che s’incontrano e diventano potenti in uno scambio d’amore.

3 Gennaio 2022

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