Il nostro orizzonte
… non è mare bensì il lago Lemano, stamattina all’alba.
Ascensione del Signore (B)
(At 1,1-11 / Sal 46 / Ef 4,1-13 / Mc 16,15-20)
O Padre…
donaci, secondo la tua promessa,
di godere sempre della sua presenza
accanto a noi sulla terra…
(dalla liturgia odierna)
L’orizzonte appare al nostro sguardo il punto preciso in cui cielo e terra si toccano. Non è, a dire il vero, un punto ma linea continua che si estende quanto più lo sguardo ha possibilità di spaziare all’intorno. Da lì nasce la luce del mattino e sempre lì, giusto nella direzione opposta, sembra morire il giorno. Ma qual è l’orizzonte della vita? Dando per presupposto uno sguardo libero, in che direzione guardiamo? E di riflesso, qual è l’orizzonte della fede? La domanda ci potrebbe far sconfinare, così tanto da farci perdere il contatto con la realtà.
È forse uno dei rischi del credere, se la fede diventa un celestiale rifugio, un’oasi di pace per staccarsi momentaneamente dal caos terrestre. Non è un caso che il cielo lo si è sempre immaginato ben più ordinato di quanto non appaia la terra. Il rischio è stato forte e lo è sempre di evadere dal mondo, di andarsene verso un luogo immaginato che per farla molto semplice chiamiamo – quasi convenzionalmente – «paradiso». E ancora più corretto sarebbe dire «paradisi» giacché poi ogni paradiso ce lo raffiguriamo nei più svariati modi, certamente in base alla cultura (anche religiosa) nella quale si cresce.
Il fatto è che dopo la morte di Gesù e la sua resurrezione, non è che le cose su questa Terra si siano proprio sistemate. E non c’è da stupirsi se perfino quelli che erano con Gesù, gli chiederanno quaranta giorni dopo la sua resurrezione: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (At 1,6). Evidentemente non avevano ancora capito che non si trattava di un regno alla maniera dei regni umani. È ancora più evidente che i nostri tempi non sono quelli di Dio. Noi sempre di fretta, Lui così paziente.
Egli [Gesù] si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo» (At 1,3-5). È l’inizio del libro degli Atti degli Apostoli, il Vangelo dello Spirito. È il momento in cui Gesù torna al Padre. La sua missione sulla terra è compiuta ma l’orizzonte dei suoi discepoli è chiamato a farsi ora più vasto. Il vangelo prenderà il largo e la comunità dei suoi annunciatori ha la forma di una barca che salpa dal porto di Giaffa e fa rotta sulle coste del Mediterraneo. Scegliendo pescatori, già vedeva i mari da solcare e il Suo Vangelo che arrivava per mare e per terra ad ogni creatura.
I discepoli ora non faranno che ricordare e raccontare ciò che con Gesù avevano vissuto, facendo di questi ricordi l’oggetto della loro contemplazione. E dunque ecco per noi il pericolo di rifugiarci nella fede a contemplare cose stupende – le grandi opere di Dio, recitano i salmi – perché fatichiamo a comprendere il valore del Suo passaggio tra noi. Se nei fatti ancora non si realizza quel regno di Dio che Gesù aveva inaugurato, è davvero facile ripiegarci a contemplare il cielo, sperando il paradiso.
Si celebra oggi, in molti paesi d’Oltralpe, la solennità dell’Ascensione. In poche battute è sempre Luca che nel libro degli Atti ci racconta questo nuovo compimento: Mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?» (At 1,9-11)
Come nel giorno di Pasqua Maria di Magdala tentava di trattenere Gesù risorto in un gesto di adorazione, così oggi la tentazione dei discepoli è quella di rimanere con gli occhi rivolti solo al cielo. È vero: san Paolo, più volte ci ha invitati nei suoi scritti a contemplare le cose dell’alto. Ma oggi ci pone una domanda ben precisa: Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? (Ef 4,9). Se dunque contempliamo questo mistero dell’Ascensione di Gesù al cielo non è certo per disaffezionarci alla terra. Contemplarne l’ascensione è ritornare comunque e sempre al mistero del suo abbassamento, della sua discesa, della sua incarnazione. A contemplare il cielo non deve nascerci in cuore il desiderio di fuggire dalla terra ma di tornarvi con questo desiderio di ritrovare già qui le tracce del suo passaggio, di cercarne ancora il suo regno che è ancora presente in mezzo a noi, di tendere l’orecchio per udire il suo Vangelo e di aprire gli occhi per riconoscerne i segni. Ciò che deve attirare la nostra attenzione è proprio questo lavoro instancabile da farsi in terra.
Per questo Maria Maddalena davanti alla tomba del crocefisso, accolse la parola del risorto che le diceva: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre mio; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro che io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro» (Gv 20,17). Per le stesse ragioni, proprio nel momento in cui il Risorto torna al Padre, dirà ai suoi discepoli: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mt 16,15). Ed è confortante questa obbedienza dei discepoli. È entusiasmante l’avventura in cui si imbarcarono. Ed è rincuorante sapere che altri, su un altro lembo di terra hanno ascoltato e accolto quella Buona Notizia. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano (Mt 16,20).
Lo Spirito santo ci liberi da visioni ristrette. Ogni creatura, per quanto distante possa essere da Lui, sia per noi sempre nell’orizzonte della fede.
Dal Vangelo secondo Marco
(16,15-20)
In quel tempo, Gesù apparve agli Undici e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
I viaggi
non mi spaventano.
Anche se girassi
dietro la fortuna.
Farei solo dei passi.
Col piede
accanto a un sasso.
Ogni strada
ha un sasso
e una margherita.
Ed io vado
sasso per sasso
e colgo la margherita.
(Paolo Volponi)
“È scesa qui l’eternità…nel mio silenzio accolgo il mistero”, quanta profondità e verità. La fede ci aiuti a preservare e coltivare un’oasi di pace che ci permetta di vivere nel caos terrestre, senza estraniarci, per vedere i segni della Sua presenza e del Suo Amore, nonostante tutto e nonostante noi. Tutto passa ed anche noi passeremo un giorno, non si sa come e quando, ma con la certezza che la “Sua Parola non passerà” e che ci saranno sempre ed ancora uomini e donne, che ad una Sua precisa domanda, si chiederanno e diranno:” da chi andremo? Solo Tu hai parole di vita eterna”. Grazie per essere disceso tra noi e grazie a te, Don Stefano, per la condivisione di scritti ed immagini, nella solennità dell’Ascensione che noi celebreremo questa domenica che coincide con la festa della Madonna delle Quaglie.
Confesso che faccio fatica a “tornare con i piedi su questa terra” come mi invita la riflessione di oggi, essendo più propensa “a contemplare cose stupende, le grandi opere di Dio” perché senz’altro più facile.
La fatica quotidiana di seguire e testimoniare il Vangelo in mezzo a dubbi, contraddizioni, delusioni e scoraggiamenti… è, sì, proprio fatica.
A volte vorrei essere stata contemporanea di Gesù così avrei vissuto concretamente il suo passaggio.
Ma tant’è…
Ci sarebbe stato comunque il distacco al momento della sua Ascensione.
Così rifletto e capisco che è
“la missione” l’orizzonte della fede, anche della mia fede, anche nella fatica, dubbio, contraddizione, delusione, scoraggiamento…
Quando si guarda l’orizzonte si sa che non si raggiungerà mai perché sarà sempre dinanzi a noi ma in sé nasconde l’invito comunque al cammino perché si cerchi di raggiungere la meta ed è in questo cammino che posso far rivivere il passaggio di Gesù tra noi…
Con fatica…
E con l’aiuto dello Spirito Santo che a volte mi dimentico di invocare volendo, povera me, cercare di fare con le mie sole forze.
Che il Signore apra i miei occhi verso nuovi orizzonti…