Il Vangelo come un silent-book
(1Re 8,1-7.9-13 / Sal 131 / Mc 6,53-56)
Nessuna parola, nessun discorso, nessun dialogo. Solo alcuni gesti. Dei più toccanti. Pochi versetti che attestano che dopo la tempesta c’è l’approdo. Dopo la notte viene il giorno, dopo il temporale torna il sereno. Toccare la riva però non è mettersi in salvo e al sicuro. Toccare la riva dopo aver sperimentato la tempesta sul mare è sbarcare sulla riva con più sensibilità in corpo. Toccato con mano il limite, sfiorati dall’idea che tutto potrebbe precipitare in un istante o dal brivido di perdere la vita, si giunge a riva con uno sguardo diverso anche sulla terra ferma sempre lambita dalle onde del male.
Non avete mai giocato da bambini ad andare incontro alle onde per poi scappare non appena queste si infrangevano sulla terra? Correre e correre per non farsi raggiungere dalla schiuma dell’acqua infranta sulla spiaggia. Sembrava un gioco ma era metafora di questo desiderio umano di sfuggire al pericolo. Ho regalato qualche tempo fa a mia nipote, la più grande (4 anni) un silent-book intitolato proprio «L’onda» di Suzy Lee. Silent book è il nome stupendo ed eloquente di alcuni libri stampati senza parole ma che si possono leggere proprio sfogliandoli. Le parole usciranno dalle labbra del lettore già trasformato in un attentissimo osservatore, in un profondo ascolto di ciò che le immagini producono dentro. Nel raccontare ciò che gli occhi vedono si sentono cose mai udite prima: sono solo disegni e immagini a due colori (nero e blu) ma vi si leggono in questo genere di libri un mare di emozioni, di sentimenti, di pensieri. (Un piccolo consiglio se posso: regalate silente-book ai piccoli che non sanno leggere e sfogliateli insieme a loro)
Ecco, a volte il Vangelo, quando non ci sono parole di dialoghi, o insegnamenti che escono dalla bocca stessa di Gesù, assomiglia quasi ad un silent-book. Il racconto sembra quasi un’illustrazione, poche pennellate con versetti che disegnano un movimento incredibile e percepisci i sogni, i desideri, il bisogno della gente. Perfino lo stile di Dio.
Alcuni versetti per attestare un riconoscimento, non certo nel senso di un premio, di un’onorificenza. Riconoscere nell’uomo quella capacità di operare il Bene, di essere favorevole per l’altro. E quando anche poveri e malati avvertono che il Regno di Dio è in mezzo a loro, cresce il desiderio di sfiorarlo appena, di intravederlo per attimi, di toccare con mano la sua presenza. Questa supplica di poter toccare almeno il lembo del mantello è attestazione di vicinanza. Il lembo del mantello è immagine che rimanda al profeta Elia, a colui che prima di salire su un carro di fuoco lascia il mantello al suo successore, segno di condivisione di una missione e di alcune attitudini necessarie all’annuncio del Vangelo.
Il papa stesso, ieri sera in TV ospite di una celebre trasmissione, ha parlato esplicitamente di questo bisogno di toccare. Ante-Covid, molte persone erano abituate ad esprimere questo bisogno della fede in gesti di devozione che chiedevano un contatto fisico con oggetti o simboli delle religione: una reliquia, una statua, perfino la roccia. Ricordo di aver visto coi miei occhi file interminabili di persone entrare sotto la grotta di Lourdes facendo scivolare la proprio mano sulla roccia ormai levigata e consunta da tante mani che l’hanno toccata al passaggio. Ben oltre la devozione c’è da riconoscere che quel toccare con mano la dure e fredda roccia non fa altro che levigarla e scaldarla. E così quel segno devozionale rimanda piuttosto all’immagine biblica di un cuore di carne e non più di pietra. Sì, il contatto fisico lavora i cuori di pietra e li fa pulsare della vita di Dio. Ho visto anche nelle chiese ortodosse, gente abbassarsi fino a toccare la terra prima di fare un triplice segno di croce e poi piegare di nuovo la schiena per baciare icone esposte come fossero libri da leggere.
Credo anche io che a volte non serve essere dei persuasori accaniti quasi fossimo mercanti del sacro che devono vendere a tutti i costi un prodotto. E se ci è difficile assomigliare a Cristo, avere almeno la consapevolezza d’essere lembi del suo mantello. Siamo stati rivestiti di Cristo nel giorno del battesimo ma ancor prima è Cristo stesso che s’è rivestito della nostra umanità, quella più bella, quella fragile ma capace di bene, quella che ha paura del mare in tempesta ma si lascia toccare dai più bisognosi.
Dovremo rieducarci alla tattilità del credere. Dovremo rieducarci agli abbracci, alle strette di mano, ai baci. E sarà un’occasione splendida di annuncio, di catechesi. Pensate che occasione di far conoscere perfino pagine di Vangelo. Dovremo rieducare la nostra umanità a quei gesti che sembravano essere diventati pure formalità, convenevoli dell’incontro e che ora, in questo tempo di gel per la disinfezione, di guanti di lattice e di mascherine abbiamo sospeso. Abbiamo toccato con mano, in senso negativo, la forza del contagio. Abbiamo scoperto che un semplice tocco lascia tracce di noi. Ora è tempo di rovesciare la medaglia, è tempo di vivere tutto questo nell’accezione più positiva.
Ieri mattino nella comunità dove ho celebrato, la signora che intona i canti viene da me, poco prima dell’inizio della celebrazione, a chiedermi l’approvazione dei canti che lei steso aveva scelto. Il primo non lo conoscevo affatto ma non glielo dico e lascio che sia proprio quello. Sarà buona occasione per ascoltarlo, conoscerlo e impararlo. E dunque la celebrazione è iniziata proprio con il canto che vi propongo. E mi vedo ancora in silenzio – io che amo cantare – con le orecchie tese ad ascoltare le parole di quel canto, come un lembo di mantello… Amo anche il tuo silenzio, perché vuol dire che ascolti me. Una frase da leggere sempre nei due sensi: come se noi parlassimo a Dio o come se Dio parlasse a noi.
L’universo non ha un centro,
ma per abbracciarsi si fa così:
ci si avvicina lentamente
eppure senza motivo apparente,
poi allargando le braccia,
si mostra il disarmo delle ali,
e infine si svanisce,
insieme,
nello spazio di carità
tra te
e l’altro.
(Chandra Livia Candiani, La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore, Einaudi)
Dal Vangelo secondo Marco (6,53-56)
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono.
Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse.
E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati.
Chiara è la tua parola che guida i passi del mio cammino
chiara è la tua sorgente quest’acqua viva che mi ristora
chiara è la luce amica del sole nuovo che mi riscalda
chiara è la notte stessa perché tu vegli sui figli tuoi
E non andrò lontano mai da te, e canterò la vita che mi dai
e seguirò la strada che tu fai, ed amerò i figli che tu avrai
Amo la tua bellezza che mi sorride nei miei fratelli
amo la tenerezza che mi circonda di mani amiche
amo il tuo canto eterno dietro lo sguardo di un nuovo figlio
amo anche il tuo silenzio perché vuol dire che ascolti me.
E non andrò lontano mai da te, e canterò la vita che mi dai
e seguirò la strada che tu fai, ed amerò i figli che tu avrai
Grazie Don Stefano per aver condiviso la scoperta di questa bellissima canzone, che neanche io conoscevo ma che, così di getto, credo proprio la terrò da conto per il futuro matrimonio…!
Molto ben riuscito anche l’accostamento della parola di oggi con la poesia di Chandra Livia Candiani. Questa è una delle mie preferite, letta e riletta… Eppure con l’accostamento di oggi è come se si fosse rinnovata, arricchita.
E lode sia infine ai silent book! Da donare anche ai grandi perché siano un po’ forzati a rispolverare quello straordinario strumento che è la fantasia… E di cui abbiamo tutti ESTREMO bisogno!
A proposito del male che lambisce questa vita terrena… “Le tentazioni sono quei desideri che provengono dall’esterno e che noi vorremmo fare nostre, sbagliando contro noi stessi e gli altri”.
Vorrei riportare un pensiero di Andrej Tarkovskij che recita così: “Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco e non ce la fai più. E d’un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno: è uno sguardo umano ed è come se ti fossi accostato ad un divino nascosto. Tutto diventa improvvisamente più semplice”. Dunque, se è capitata questa situazione agli Apostoli, può benissimo capitare ad ognuno di noi. Basta solo riconoscere, scegliere da che parte stare, cioè giocare al meglio la propria libertà.
Grazie don Stefano un nuovo giorno è sempre un giorno da scoprire e grazie alla condivisione delle tue emozioni e scoperte ci unisci e ci fai sentire più forti. ????
Se toccare aiuta a comprendere, avanti! Toccando si vede meglio e si fa meno uso delle parole.
Le ultime che ho sentito sono quelle polemiche lasciate da radioascoltatori sulla partecipazione di papa Francesco alla tv.