Immagina…
XXIX domenica del Tempo Ordinario
(Is 45,1.4-6 / Sal 95 / 1Ts 1,1-5 / Mt 22,15-21)
Fuoco che scalda i nostri cuori,
potenza creatrice di Vita,
guida dei nostri passi;
Luce che illumina le nostre menti
scendi su di noi
e rendici discepoli attenti e intelligenti
nell’ascolto della Parola del Maestro e Signore.
Gloria a te,
Spirito santo di Dio che,
nella comunione del Padre,
signore della storia,
e del Figlio, compitore della salvezza,
guidi le nostre storie verso il Regno eterno,
benedetto ora e nei secoli dei secoli.
Amen.
Anche oggi (come spesso potrebbe accadere) sarà importante partire dalle parole della prima lettura, tratte da profeta Isaia. Correva l’anno 587 avanti Cristo. Il re Nabucodonosor conquistava la città di Gerusalemme, saccheggiando e distruggendo perfino il Tempio. Gli ebrei superstiti venivano deportati a Babilonia. Ma una buona notizia cominciava a circolare anche tra gli esiliati: si sentiva parlare di un nuovo re – Ciro, re di Persia – ben più forte di Nabucodonosor.
Dice il Signore del suo eletto, di Ciro:
«Io l’ho preso per la destra,
per abbattere davanti a lui le nazioni,
per sciogliere le cinture ai fianchi dei re,
per aprire davanti a lui i battenti delle porte
e nessun portone rimarrà chiuso.
Per amore di Giacobbe, mio servo,
e d’Israele, mio eletto,
io ti ho chiamato per nome,
ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca.
Io sono il Signore e non c’è alcun altro,
fuori di me non c’è dio;
ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci,
perché sappiano dall’oriente e dall’occidente
che non c’è nulla fuori di me.
Io sono il Signore, non ce n’è altri».
(Isaia 45,1.4-6)
La cosa strana era che invece di temere questo re ancora più forte, si cominciava a pensare che proprio lui potesse essere il Messia, mandato da Dio per liberare il suo popolo. Ciò che non torna, in questa buona notizia, è che il Messia – questione di fede – doveva essere discendente della casa di Davide mentre Ciro era addirittura un re straniero. Nonostante questo dubbio che rimarrà nel cuore di chi ascoltava voci a riguardo di Ciro, ciò che stupiva nel vero senso della parola era la politica di questo re di Persia.
La sua linea di governo è ben differente da quanto visto fin a quel tempo: risparmia la vita dei vinti, non devasta, non saccheggia, non distrugge. In tutti i paesi che conquista incontra popolazioni sfollate dai precedenti vincitori (e sarà proprio il caso degli ebrei esiliati a Babilonia da Nabucodonosor). Ciro non farà che rimandare gli esiliati nel loro paese, restituendo loro i beni rubati dai precedenti conquistatori e darà loro anche i mezzi per ricostruire il loro paese. Senza dubbio, il re Ciro aveva capito che un imperatore ha tutto l’interesse ad essere il sovrano di popoli felici.
Isaia pronuncia le parole che oggi ascoltiamo come se fossero rivolte a Ciro stesso: Dice il Signore del suo eletto [sarebbe più corretto tradurre Messia. ndr] di Ciro. Certo queste parole non sono rivolte a Ciro stesso che non avrebbe mai perso il suo tempo ad ascoltare uno sconosciuto profeta. Queste parole sono rivolte al popolo stesso che da Isaia attendeva parole profetiche, parole di speranza.
Attraverso Isaia, Dio farebbe giungere a Ciro queste parole: «Per amore di Giacobbe, mio servo, e d’Israele, mio eletto, io ti ho chiamato per nome». Comprendiamo: gli esiliati dovevano sapere che Dio non rompe l’Alleanza, nemmeno quando le condizioni storiche lascerebbero supporre che Dio si sia dimenticato di loro.
Seconda convinzione di Isaia: Dio rimane il padrone degli eventi, il signore della storia. Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio. Anche Ciro dunque è nelle mani di Dio per quanto egli, il grande sovrano, abbia in mano le sorti del mondo. Isaia poi descrive azioni che rimandano al rito di consacrazione del re, quando davanti al nuovo sovrano si aprivano le porte per farlo accedere alla sala regale. Quelle porte aperte erano il simbolo che nessuna via, nessun accesso sarebbe stato precluso al nuovo sovrano. Il re veniva unto con olio e a quel punto gli si dava il nome di «figlio di Dio». Non si dimentichi dunque che ogni re dava ordine di coniare monete con la propria effigie. Il tributo di cui parlerà il Vangelo di oggi è una moneta che riporta l’effigie di Cesare, il titolo che si dava all’imperatore romano in carica che al tempo di Gesù si chiamava Tiberio (da cui la città di Tiberiade per chi conosce i luoghi nei pressi del Mare di Galilea). Tiberio Cesareo figlio del divo augusto: una sequenza di titoli onorifici che fanno risalire fino a Dio ogni autorità.
Ma torniamo alla nostra storia. Il tempo darà ragione ad Isaia. Nel 539 a.C. Ciro conquisterà Babilonia e nel 538 a.C. lo stesso re darà ordine agli ebrei esiliati di ritornare nella propria terra, farà ricostruire il nuovo Tempio e restituirà il bottino di guerra di Nabucodonosor. Rimane la questione del perché Ciro è chiamato da Isaia con il titolo di «messia». Molto semplice: Ciro è stato scelto da Dio per liberare il suo popolo. Egli però non è né re, né sacerdote, né profeta in Israele. Nessun problema: la cosa più importante è l’opera che compie. Da ciò possiamo dedurre che ogni volta che qualcuno agisce in direzione di una vera liberazione degli uomini, questi realizza l’opera di Dio.
Dal Vangelo secondo Matteo
(22,15-21)
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
C’è poco da discutere sulla legittimità di pagare il tributo a Cesare. La domanda – ce lo dice Matteo stesso – è posta a Gesù come un tranello. La risposta è scontata ed è sì. Impossibile già al tempo di Gesù di mettere in questione l’autorità e tutto quello che da essa ne deriva. Se Gesù avesse anche solo ipotizzato un eventuale rifiuto a pagare la tassa all’imperatore, lo avrebbero ancora accusato di sovvertire l’ordine costituito. Non si dimentichi che sono proprio i discepoli dei farisei e gli stessi erodiani che sollevano la questione-trappola a Gesù.
Ad ogni regno nascente, si coniano monete con l’effigie del nuovo sovrano. Il sovrano, re o imperatore che fosse, diventava il punto di riferimento di ogni cosa, anche del tempo (basterà ricordare che anche la nascita di Gesù è ricordata dall’evangelista Luca, facendo proprio riferimento a questo modo di contare il tempo).
L’essere umano immagina di imprimere la propria impronta alla storia, di lasciare una traccia del proprio passaggio, di modellare le cose a propria immagine e somiglianza. A volte con trovate geniali, con scoperte e innovazioni. Molte volte – forse troppo spesso – resta del passaggio dell’uomo l’immagine di un devastatore che invece di custodire e rispettare sembra soltanto saccheggiare e depredare. Con tutto il rispetto dovuto ad ogni autorità che governa anche questa nostra storia presente, forse è davvero urgente considerare quell’immagine che Dio ha impresso dentro di noi. Non serve davvero essere re, messia o sacerdoti. Ciò che conta di più è sapere che ogni volta che ci impegniamo a liberare l’uomo da paure e insicurezze è proprio in quel momento che stiamo compiendo la volontà di Dio; è proprio in quel momento che risplende quell’immagine che Dio ha voluto nascondere dentro il cuore dell’uomo. A Cesare dunque la sua moneta, ma a Dio soltanto tutti gli onori e quella gloria che ancora può risplendere nelle scelte, nelle azioni di chi si impegna a liberare. Non dimentichiamo che il primo nome dato à Dio fu proprio «Il liberatore». A questo nome possiamo riferirci per dirci suoi figli.
O Padre, sul palmo della tua mano
sta scritto il nome di ogni tuo figlio:
fa’ che nel misterioso intrecciarsi
delle libere volontà degli uomini
nessuna autorità abusi della propria forza
e ogni potere si ponga sempre
a servizio del bene di tutti.
Donaci di orientare sempre a te la nostra volontà
e di servirti con cuore sincero.
(dalla liturgia odierna)
Questo brano di Vangelo mi porta a riflettere sulla libertà interiore di Gesù e mi rimanda ad un consiglio di papa Francesco: “Tenete sempre il Vangelo in tasca o nella borsa, per leggerlo e meditarlo in qualsiasi momento della giornata”.
Ecco, uscire di casa sì col cellulare e col portafoglio ma anche, e soprattutto, col Vangelo almeno nel cuore!
Se scorriamo la Storia dell’uomo fin dagli albori troveremo altre figure come il re Ciro, governanti o pensatori “illuminati” che si sono lasciati guidare dallo Spirito di Dio, che abita in ogni uomo a qualunque popolo appartenga.
E poi c’è la storia di Israele, quale popolo scelto da Dio per ristabilire l’Alleanza con l’Uomo, alleanza che Adamo aveva rotto.
Un popolo per rappresentare tutti i popoli, da cui sarebbe disceso Gesù, questo Messia tanto atteso ma che non hanno riconosciuto e accolto.
Dio Padre da sempre guarda nel cuore dell’uomo per trovare traccia dell’impronta che Lui ha lasciato, accreditando come giustizia le buone opere compiute.
E Gesù si è fatto Uomo e Maestro per guidare sì tutti gli uomini, ma di più per chi vuole governare i popoli.
Così chi riuscirà a comportarsi seguendo lo Spirito non avrà bisogno di lasciare monete con la propria immagine a ricordo, parleranno e verranno ricordate le buone opere compiute in favore di tutti gli oppressi.
Ciro è uomo di ascolto e opera il bene per il suo popolo da uomo libero concede anche all’altro la libertà.
Signore donaci di comprendere questo
Ti preghiamo in questo tempo di donarci governanti secondo il tuo cuore
Ti preghiamo per la pace
Mi vengono in mente le parole di R.M. Rilke. Tutti noi viviamo in una società post-moderna, nella quale censuriamo ogni domanda, mentre l’uomo è una domanda aperta (a chi dobbiamo dare il tributo? A Cesare o a Dio?). La risposta è, secondo me, ben definita nel Salmo 96: “Non sapete che siete tempio di Dio? E che lo Spirito di Dio abita in voi ? Io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli”. Tutti i tranelli nei quali alcuni volevano far “cadere” Gesù – e vorremmo fare anche noi – vengono in questo modo annullati.