Impara l’arte di stare in disparte

Categoria :Omelie
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Data :22 Luglio 2018

XXXIII domenica del Tempo Ordinario

Chi ha avuto coraggio di tornare al Vangelo e pazienza di attendere una settimana per questa lettura che stiamo facendo insieme del racconto di Marco, oggi si trova davanti all’episodio che narra l’esito della missione dei discepoli.
Gesù li aveva mandati. Indicazioni chiare ed essenziali: prendete un bastone e un compagno di viaggio. Uniche garanzie. Seguirono altre indicazioni più dettagliate, più esplicite: ciò che NON devi prendere: «né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche». Partirono, andarono… finalmente avevano capito che una cosa è andarsene per proprio conto, altra cosa è andare perché inviati e per giunta non da soli.
Oggi – eccoli! – ritornano da Colui che li aveva inviati. Forse galvanizzati, entusiasti. Raccontano di cosa hanno fatto e di cosa hanno detto: non si sono nemmeno accorti – presi dalla foga – che hanno già invertito l’ordine delle azioni. Prima fanno poi dicono. Lui invece dice e fa. Tale Padre, tale Figlio. Il Padre prima dice e poi si mette al lavoro. Il Figlio insegna, racconta, parla… e poi mette mano. Noi siamo così malati di attivismo. Iperattivi anche pastoralmente parlando. Eppure abbiamo così fame e sete di parole che creano e ricreano. Di queste parole ce ne sono sempre meno. L’indole nostra è quella del fare. Difficile arrestarsi. Cessare ogni attività.

Tornando dalla prima missione raccontano, anzi, vorrebbero raccontare. Lui sembra incurante dei loro racconti. Disinteresse o disinteressato? Sembra non gli importi il risultato: li aveva perfino preparati al rifiuto. Ciò che gli importa è che i suoi capiscano che non possono farsi mangiare dalla folla, per quanto tutti utili e nobili possano essere i bisogni di ciascuno.
Loro non volevano – e neppure noi vorremmo – deludere nessuno. Non sta bene che si dica male di loro perché non hanno fatto quello che chiedevano. Loro – tanto erano presi e sommersi da richieste e aspettative (sempre troppo alte, sapendo di non essere all’altezza?) non si accorgono neppure che non avevano nemmeno il tempo di mangiare. Lui è seriamente preoccupato di loro. Il segreto dell’essere suoi discepoli e suoi amici è racchiuso in un doppio movimento che virtuosamente dovremmo sempre mantenere in equilibrio: andare e tornare. Partire e ritornare. «Chiamò a sé quelli che egli volle» (Mc 3,13). «Li scelse perché stessero con Lui». (Mc 3,14) Poi li manda e ancora Lui li richiama in disparte. Lui sempre! Quando esci e quando entri. (salmo 120). Lui è il custode. È il pastore.
«Venite in disparte e riposatevi un po’» disse a quel ritorno. Stare in disparte è un’arte difficile, tutta da imparare. Non è battere la ritirata. Non è certo questo il tempo per rinchiudersi. È tempo di ascoltare però. Di provare a guardare da un’altra prospettiva: la Sua. Voleva far capire loro che cosa provava quando Lui per primo si ritirava in disparte. Ed erano incuriositi – a volte preoccupati, altre volte pure indifferenti – da questo suo mettersi in disparte, in luoghi e tempi diversi. Volevano capire dove fosse, cosa facesse. Lui voleva che capissero che c’è una volontà più grande di ogni piccola e personale volontà. Quando pregava diceva «Padre… sia fatta la tua volontà». Fino alla fine lo disse: «…non la mia, ma la tua volontà» (Lc 22,42). Stare sempre nella folla – pareva dire ai suoi – è a rischio di rimanere accecati da troppi drammi, o da ingiustizie che ti fanno venire il voltastomaco; è a rischio di rimanere inconsapevolmente assordati o storditi da ogni volontà personale di ciascuno. Ognuno pretende qualcosa dalla Vita, da Dio, da sé e dagli altri… quante attese! …e quante delusioni poi se le stesse attese sono disilluse!
Solo per questo li vuole in disparte: c’è una volontà più grande da cercare, da comprendere. È la volontà del Padre suo e nostro. Non è una volontà che annienta le nostre. È volontà di un Padre che ha cura di tutti i suoi figli. È la volontà di un Padre dai grandi sogni, quei sogni che per noi restano impressi nelle pagine della Scrittura come nel profondo del cuore. Nel profondo però. Quel profondo in cui così spesso esitiamo ad immergerci per paura di annegare, senza sapere piuttosto che è nella superficialità che l’uomo annega.
Dal primo testamento al Nuovo… un libro di storie, di incontri, di immagini e di parabole: tutto per narrare un sogno, questa volontà di raccogliere i dispersi, di radunare i lontani e gli esclusi. «Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli» (Ger 23,3). E ancora: «Voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva… Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini» (Efesini 2, 13-18). Abbattere muri di separazioni, quegli stessi muri che ci siamo fabbricati con le nostre mani perché troppo preoccupati del nostro piccolo e striminzito desiderio. Ma quale desiderio? Una «vogliuzza», un capriccio piuttosto, a confronto di quel desiderio di raccogliere e salvare tutti che da sempre il Padre ha nel cuore. Lui, il Figlio, ce lo sta sussurrando continuamente, invitandoci in disparte. Non lo puoi capire in mezzo alla gente che urla da ogni parte, che ti tocca il mantello e tu non capisci chi è stato. Una vera questione di sensibilità!
Se perdi il sogno di Dio, smarrisci te stesso. E quanti si perdono! Si perdono non perché sono cattivi. Si perdono semplicemente perché hanno dimenticato di andare in disparte a riposare un po’. Il riposo è Lui, se a Lui consegnamo ogni attesa dell’uomo, se a Lui consegnamo ogni nostra preoccupazione. «Getta nel Signore il tuo affanno, ed egli ti darà sollievo» (salmo 54)
Ci guasta – ahimè – questo insaziabile bisogno di vedere, di toccare con mano, di avere certezze, assicurazione! Ma noi camminiamo nella fede e non vedendo ancora chiaramente (2 Cor 5,7) ci dovremmo lasciar guidare unicamente dalla voce del Pastore. La sua Parola ci potrebbe davvero bastare. Una sua parola perché noi possiamo essere salvati. In disparte dunque! È urgentissimo: perché si ha da imparare ad ascoltare che cosa dice Dio. Il nostro fare – anch’esso pure importante – prenderà spunto da ciò che Dio dice. Per non rischiare di far dire a Dio cose che lui non si è neppure mai sognato! O peggio, per evitatele di fare cose nel nome di Un Dio che mai abbiamo ascoltato. È compito arduo stare in disparte, perché la tentazione è sempre quella di voler vedere i risultati del tuo fare. Li devi perfino saper calcolare in maniera preventiva. E fare tutto possibilmente nel minor tempo possibile perché non c’è tempo da perdere. Sembra ormai una questione economica e non più un affare di cuore. «Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore». (Mt 6, 19) Quanto tempo perdiamo in cose di poco spessore. Ci rovina questo bisogno di vedere il risultato. Sapere (calcolare) se ne è valsa la pena. Ci imbarazzerebbe non avere nulla da raccontare o da comprovare di ciò che facciamo o abbiamo fatto.
In disparte non vedi nulla. Non vedi la folla, non vedi nessuno. Tu solo… e Lui, se lo ascolti. «Dio nessuno lo ha mai visto» (Gv 1,18) eppure fin da principio – quasi un ordine imperativo per ogni uomo di fede – c’è un’invito pressante ad ascoltare. La bontà delle Sue parole, la bellezza del tono della sua voce – che lo farebbe riconoscere in mezzo a mille altre voci – solo questo metterà nel cuore dei suoi discepoli quel desiderio di cercarne anche il volto. Ma il volto di Dio è riflesso – come in uno specchio (1 Cor 13,12) – nel volto del Figlio. «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9) dirà un giorno Gesù a Filippo che chiedeva di vedere il Padre. Il volto di Dio è così per sempre riflesso nel volto di ogni suo figlio, sul volto di ogni uomo, di ogni singolo e unico uomo, così diverso in tutto e per tutto da ogni altro uomo.
Già lo sanno che presto dovranno tornarci in mezzo alla folla che già li attendeva, incuriosita o contagiata a sua volta da quell’invito finalmente accolto di ritirarsi in disparte. Torneranno in mezzo alla folla per guardare questa stessa umanità che è la nostra, oggi come allora così lacerata e divisa perfino attorno a ciò che vuole Dio. Non riusciremo mai a capirla questa santa volontà di Dio se sempre meno andremo in disparte e non perché Dio mutevolmente cambia i suoi progetti ad ogni sospiro di uomo. La volontà di Dio è limpida, limpida come i suoi comandi. La volontà di Dio da luce ai nostri occhi e i discepoli avranno imparato a guardare quelle folle con gli occhi del loro Amico, del loro Maestro. «Egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose». (Mc 6,34) Li vedeva come pecore senza pastore e ne provava compassione, a conferma di questa volontà di Dio di radunare ognuno nell’unico gregge dell’unico Pastore.
Nella «mia» Comunità intanto la «mia» gente canta ancora: «O Signore, raccogli i tuoi figli, nella Chiesa i dispersi raduna». Proprio oggi, cantando con loro queste parole realizzo di colpo che da molto tempo stiamo annunciando la stessa fedele e immutabile volontà di Dio. E cantiamo non perché Lo si debba convincere a realizzare questo sogno, ma perché noi si abbia l’umiltà di chiederglielo e sufficiente fede per realizzarlo. Anche noi semplicemente parte di questa umanità dispersa.

Noi non saremo come le rondini, perché
possiamo volare, ma non troviamo il nostro cielo.
Noi non saremo come le rondini, perché
ci perderemmo nel primo squarcio di azzurro
senza ammirarne la bellezza.
Noi non saremo come le rondini, perché
nei momenti di gioia voleremmo da soli
e non con gli altri!
Noi non saremo mai come le rondini, perché
anche quando troveremo il nostro cielo
lo perderemmo nel sentircene padroni!


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