In attesa del ritorno…

Commenti: (3)
Data :5 Febbraio 2021

Con un espediente quasi teatrale o cinematografico, dopo la partenza in missione dei discepoli, l’evangelista Marco, in attesa del loro ritorno e prima di raccontarcene l’esito, intrattiene i suoi lettori parlandoci dettagliatamente di come sono andate a finire le cose per Giovanni Battista. E con un racconto del genere non si corre di certo il pericolo di addormentarsi.

A che pro intimorire il lettore del Vangelo con una pagina simile di cronaca nera, parlandoci soprattutto della morte di un uomo che abbiamo imparato ad apprezzare e conoscere come colui che ispirò l’annuncio stesso di Gesù? Forse proprio per comprendere che non stiamo leggendo un romanzo, un thriller o un giallo. Il contenuto di questo libro che si chiama Vangelo è – per così dire – altamente “pericoloso”. Intendiamoci bene: non sto dicendo che dobbiamo tornare a metterlo in libreria in mezzo a tutti gli altri libri. Al contrario: questo è piuttosto un incentivo a proseguire. Onde evitare di trovarci nei panni stessi di Erode il quale – annota quasi “en passant” l’evangelista –  nell’ascoltare Giovanni Battista restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. 

Ascoltare volentieri, pur restando perplessi. Sembra davvero un atteggiamento umano alquanto diffuso. Ci piace ascoltare ma poi ci fermiamo in quella perplessità che è solo il frutto di un non voler muovere quei passi di conversione, di cambiamento che il Vangelo stesso chiede a noi. La differenza tra il gruppetto degli sgarrupati discepoli ed Erode è che i primi, alle parole di Gesù, partirono davvero in missione, mentre il secondo continuava a rimanere nella sua perplessità per finire poi ad essere più connivente con la morte. Ed è curioso che proprio Erode si metta a parlare di resurrezione come se fosse questa fosse colla per riparare un vaso che lui stesso ha rotto.

In attesa del ritorno dei discepoli dalla missione, a palazzo si fanno banchetti per festeggiare il tempo che passa, per celebrare la Vita spesso intrappolata tra seduzioni e morte. Il Vangelo sembra già dire che se veramente volessimo celebrare la Vita, dovremmo semplicemente disporre tutto affinché questa sia un dono. La lettera agli Ebrei, che durante l’Eucarestia stiamo leggendo, ci consegna oggi una piccola perla: Fratelli, l’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli. (Eb 13,1-2)

Permettetemi allora un piccolo racconto, che meriterebbe di stare nella rubrica “litania delle piccole cose” più che qui a commento del Vangelo. Entro in una libreria a Bergamo. È accaduto ieri mattina. Ore 10.50 circa. Mi conoscono: ci salutiamo con le domande di rito.
«Ciao don Stefano. Come stai?»
«Bene – dico io – benissimo… perché se cominciassi ad intonare una triste litania, mi seguireste tutti a ruota. Funziona così di solito tra umani. Chi da il “la” intona un concerto».
Alla cassa una signora – non saprei darle l’età ma dedurrete che non era più in forze come avrebbe voluto dal proseguo del racconto –  subito risponde: «Anche io sto bene! L’unico dispiacere è che ho dovuto prendere l’amara decisione di mettere mio marito al ricovero» e prosegue dettagliando le ragioni della sua scelta comprensibilmente sofferta. Ma, in tutto questo racconto, non si priva di raccontare di quei piccoli appuntamenti che si son dati a distanza per tenersi compagnia. Non le solite videochiamate, quanto piuttosto dei momenti precisi lungo la giornata. Per esempio quand’è l’ora del caffè: ciascuno alla sua ora ovviamente, perché il caffè non lo bevono più assieme. Ma lo bevono pensando all’altro.
Subito mi porta vicino ad uno scaffare dove c’erano esposte delle tazze “da meditazione”: delle vere tazze da thé con stampati all’esterno diversi aforismi. Di quelle esposte ne afferra una e mi fa leggere il messaggio riportato sopra che, sinceramente, non saprei ripetervi. Il lieto fine tanto non è qui.
«Bella!» ma lo dico come per chiudere lì il discorso pur avendo già deciso che avrei preso quella tazza e sarei andato alla cassa. «Bellissima, la compro per me». Pago e subito, fatto fare un pacchetto regalo, la faccio consegnare alla signora di cui sopra che già stava per uscire.
«Ma no, – dice lei – non ci conosciamo nemmeno!». Le spiego allora quelle cose che già di lei sapevo: per il fatto che si trova in una libreria verosimilmente è una persona che legge; presumibilmente è cristiana come me (per non avrebbe fatto differenza se anche non lo fosse stata ma in questo caso dunque potrei dunque considerarla “sorella”); e poi ha già risposto al mio saluto quando sono entrato; poi mi ha raccontato dolori che non sono dettagli della sua vita… quindi! E così accetta il regalo, si solleva da terra quanto basta per tornarsene più lieta nel suo mondo, oltre la porta della libreria. Mi assicura inoltre che prima di andare a dormire mi avrebbe ricordato nelle sue preghiere. Ringrazio.
Un signore che assiste alla scena dice alla signora: «Guardi che così il regalo non lo ha fatto per lei, ma per se stesso sapendo dunque che ora lei pregherà per lui!» e scoppiamo tutti in una fragorosa risata. «Anche i debiti si fanno così, n’evvero? Così il creditore prega per noi affinché non moriamo». Risata parte seconda.
Ci salutiamo e la libreria torna la libreria di sempre. Poco tempo dopo, torna la signore. Viaggiando leggermente ancor più in alto da terra rispetto a com’era uscita. «Come ti chiami?». Don Stefano, dico io. (Ovviamente non poteva averlo memorizzato all’inizio quando entrai). «Io sono brava a ricamare. Ora vado a casa e inizio subito a ricamare un asciugamano per te, poi quand’è finito lo porterò qui e te lo daranno la prossima volta che torni». Morale della favola? Non saprei… ma qualche triste pensiero è stato scacciato, un maggiore senso di fraternità s’è diffuso, e per di più “in presenza”. E quanto ci tengo a che nulla sia più virtuale! Missione compiuta? Vangelo vissuto? L’ispirazione del dono è venuta da lontano. Mio papà forse avrebbe fatto ugualmente. E non solo lui nella mia famiglia. Sì, è qualcosa che ho respirato fin da piccolo. Anche se ancora non andavo in chiesa. Men che meno pensavo che sarei divenuto prete, ministro della Parola e del Pane.

In attesa del ritorno del Signore, potremmo davvero vivere quest’attesa come fosse parte di quella medesima missione da discepoli e non essere soltanto volenterosi ascoltatori della Parola che tuttavia restano come perplessi circa la sua efficacia o circa l’urgente necessità di incarnarla. L’Eucarestia che celebriamo è la festa in attesa del ritorno del Signore, un memento (oltre che un memoriale, che sarebbe il termine esatto, ma non c’è tempo per spiegarlo) un ricordare ciò che abbiamo veramente da compiere per essere discepoli: pratichiamo l’ospitalità per risollevare un po’ chi deve tornarsene nel mondo oppresso da molti problemi e angosce. Se vi ho raccontato un aneddoto quotidiano è solo per dirvi che se sono riuscito io, ciascuno di voi ancora di più potrebbe nei confronti di altre persone che altrimenti resterebbero sconosciute. È il rischio dell’improvvisazione? È euforia del momento? Mettiamoci presto d’accordo e facciamo che è opera dello Spirito, e così possiamo starcene tutti in pace e a Dio abbiamo restituito ogni cosa in un semplice e grande ringraziamento.

Concedici, Signore, di seguire
questa divina regola di via:
volere quello che tu vuoi.
Vieni santo Spirito,
assistici con il tuo aiuto
e quello che parrebbe impossibile
diventa facile.
Amen.

(Giovanni Crisostomo)

Dal Vangelo secondo Marco (6,14-29)

In quel tempo, il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». Altri invece dicevano: «È Elìa». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!».
Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

O santo Spirito,
noi ti preghiamo per noi e per tutti.
O Spirito di Vita,
qui non mancano forze, educazione, prudenza:
no, anzi ce n’è perfino in abbondanza.
Ciò di cui abbiamo bisogno
è che tu ci tolga
la forza che porta a perdizione: 
prendila e donaci vita.
Certamente l’uomo prova un brivido mortale
quando tu, per diventare la sua forza spirituale,
lo privi della sua forza naturale.
Oh, se le tue creature irragionevoli
capiscono, alla fine
quale beneficio tu gli fai
quando gli togli la forza
e gli fai dono della vita?

(Søren Kierkergaard)


Rimani aggiornato per ricevere i miei nuovi articoli




Piccoli Pensieri (3)

Emanuela

Questa sera, tornando a casa, ho acceso come al solito la radio. La riproduzione casuale ha fatto partire una canzone scritta da Battiato per Fiorella Mannoia che inizia cosi: Imparo dalle rose il movimento del dare…. così parlo a te che non so chi sei…
Sembra il commento perfetto al tuo incontro di oggi…
Forse abbiamo bisogno tutti di una scuola dove imparare ‘il movimento del dare’

5 Febbraio 2021
Suor Regina

Grazie don Stefano, per la tua condivisione di piccoli gesti che danno speranza e coraggio a chi ascolta… ne avevo bisogno. La Bontà si diffonde come un profumo.

5 Febbraio 2021
Gianna

È bello quello che ti è successo ieri. Sono davvero quelle piccole grandi cose che fanno sentire più leggeri e col cuore felice. E a mio modesto parere è vangelo. Il mio grande cruccio, riferendomi alla frase della lettera agli Ebrei che hai citato, è che io non riesco ad ospitare gli estranei in casa mia. Tutti i sabati, alle 9 passa da me un signore a darmi il buongiorno e allunga la mano: è un signore gentile ed educato, quando lo vedo dalla finestra dico sempre ai miei “c’è il mio amico”. Sarei tentata di invitarlo a bere un caffè, ma non ci riesco. È più forte di me. E so che non è questo il modo per fare la carità. San Paolo lo spiega bene nel suo bellissimo inno. Perciò a essere sincera con me stessa, non sono niente.

5 Febbraio 2021

Scrivi il tuo Pensiero

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


@