In nuce
(1Sam 1,1-8 / Salmo 116 / Mc 1,14-20)
Padre di tutti gli uomini,
per te nulla è troppo piccolo.
Nessun cuore per te
è troppo duro perché Tu non l’ami.
Tu hai voluto aver bisogno di tutti
e come, noi uomini,
non potremmo aver bisogno degli altri?
Insegnaci a scoprire le meraviglie di ogni uomo e donna,
la bellezza, la bontà, lo splendore, la luce.
Anche nel viso più triste e tormentato
è la tua luce.
Fammi scoprire che non c’è persona
che non abbia nulla da dirmi o insegnarmi.
Fammi capire
da quanti umili lavori in tanti luoghi
dipende la mia vita quotidiana.
Ciascuno dipende da tutti
perché l’umanità sia completa
e il corpo di Gesù, tuo Figlio, sia intero.
Attendo questa pienezza
con lo sguardo rivolto
a tutti coloro che ancora verranno.
Benedici tutti, o Padre,
e permettimi di benedirli con Te.
Jean-Yves Calvez
Dal Vangelo secondo Marco (1,14-20)
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. Subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
Dopo che Giovanni fu arrestato, tutto rischio di svanire, di dissolversi: la speranza delle folle di vedere finalmente il Messia, la possibilità di conversione, di dare una svolta alla propria esistenza. Ma l’invito era già risuonato e ciò che è pronunciato, presto o tardi, accade… parlare è un atto di creazione. Non a caso la Parola sarà paragonata al seme e colui che parla al seminatore.
Ora è Gesù stesso che da una parte avvera la parola di Giovanni e dall’altra la ripete a sua volta perché possa mostrare la sua efficacia. È un po’ come tenere in mano un frutto: esso è già l’esito della semina e del raccolto ma il frutto stesso porta in sé nuovamente il seme. Non siamo altro che ripetitori di parole seminate precedentemente in noi. E non si tratta di sterile ripetizione, perché di ogni semina non conosciamo in assoluto l’esito: terreno e condizioni climatiche possono alterare e compromettere il raccolto.
Ma ora, per non divagare il altre immagini, mi basta restare su questa semplicissima considerazione: la predicazione di Gesù è ripetizione di quanto Giovanni aveva già detto. Con una sottilissima e decisiva particolarità: il regno di Dio ha già messo radici in terra. Gesù stesso poi è già il frutto maturo di quell’umanità che bisogna salvare da acque profonde. Chiede di essere seguito per non perdere di vista l’uomo.
C’è questa nozione di progresso che da un lato ci rassicura tanto, tantissimo. Indubbiamente si sono fatti progressi. D’altro canto mai come al presente la gente è ancor più spaventata, impaurita, intimorita. C’è poi un rischio che ci può far annegare veramente: pensare che questo non sia il tempo favorevole per essere umani e che si tratti di rimanere per un certo tempo in stand-by, in attesa di riattivarci in luoghi o tempi migliori mentre – dice il Vangelo nell’istante in cui lo leggi, lo ascolti e lo mediti – «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino».
È tempo, anche oggi, d’essere pescatori di uomini. In nuce ciò che la Parola dice da qualche parte accade. L’istante in cui la Parola pronunciata è anche Parola udita e obbedita, quello è il tempo favorevole, l’ora della salvezza, il momento in cui alla Parola seguirà l’azione e il comportamento. In questo senso il tempo si compie, in questo senso il tempo è favorevole. Non è dunque tempo perso quello che sprechiamo ad ascoltare la Perdere, se crediamo che presto essa darà il suo frutto. E anche la parola «uomini» a pronunciarla non è che un richiamo, un invito, un risveglio a scoprire e ad essere ciò che siamo veramente.
Scrive San Giovanni Crisostomo: «Nel nostro tempo, così duro per molti, quale grazia essere accolti in questa piccola chiesa che è la casa: entrare nella sua tenerezza, scoprire la sua maternità, sperimentare la sua misericordia».
Anche le parole che diciamo,
il tempo nella sua rapina
ha già portate via
e nulla torna più. [I,11]
Si apre
a questo vento dolce
di primavera
il chiuso gelo dell’immobile
stagione
e le barche tornano al mare [I,4]
E quell’onda
navigheremo tutti
quanti ci nutriamo
dei frutti della terra [II,14]
Tu non chiedere
l’esito dei miei, dei tuoi giorni,
– è un segreto sopra di noi –
e non tentare calcoli astrusi [I,11]
Perchè il pino alto
e il pallido pioppo
intrecciano i rami
a darci quest’ombra dolcissima?
Perchè l’acqua fuggente
inventa lucide spire
nel tortuoso ruscello? [II,3]
Felice
e di se stesso padrone
l’uomo che
per ogni giorno del suo tempo
può dire:
«Oggi ho vissuto»
Orazio, dalle Odi