In riscatto?
XXIX domenica del Tempo Ordinario (B)
(Is 53,10-11 / Sal 32 / Eb 4,14-16 / Mc 10,35-45)
Partiamo dall’ultima frase del Vangelo di oggi: «il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Anzi partiamo pure da una delle ultime parole: riscatto.
Questa parola può alterare completamente il senso di tutto il testo. Potrebbe perfino alterare il senso della nostra fede. Quando oggi sentiamo la parola riscatto è sempre nel contesto di una presa in ostaggio. Si tratta dunque di pagare una somma per ottenere in riscatto la liberazione del prigioniero. Al tempo di Gesù questo vocabolo (ovviamente ci sono state di mezzo delle traduzioni e qui ci si riferisce al termine greco) significava piuttosto liberazione.
Ora dunque dovremmo riuscire a correggere questa immagine di Gesù venuto a pagare qualcosa per noi. Perché questa idea altererebbe perfino l’immagine di Dio. Tutta la Scrittura racconta di Un Dio liberatore e il popolo di Israele scoprirà la sua vera identità proprio quando si accorgerà d’essere stato liberato dalla schiavitù. E dunque – primo articolo di fede – c’è un solo Dio che libera e salva. Scoperta sorprendente per Israele perché a quel tempo (e forse ancora ai nostri giorni) si credeva ancora di dover pagare qualcosa a Dio per riscattarsi ai suoi occhi. Mosè a questa idea del riscatto decise di fissare la somma di una moneta d’argento, un prezzo che fosse uguale per tutti, senza distinzione. Ma non perché Dio ne avesse bisogno. Piuttosto per quietare le coscienze e soprattutto per educarli al fatto che Dio non fa differenze di persone e tratta tutti allo stesso modo, poveri o ricchi che fossero.
I discepoli dunque quando udirono Gesù parlare di riscatto compresero forse meglio di noi che si trattava di una liberazione… Gesù stesso li aveva educati a comprendere qual é l’opera di Dio, la sua azione in mezzo al popolo. Liberare! Da qui tutte le opere di Gesù in favore di persone che il Male aveva preso in ostaggio. Gesù dunque dedicò tutta la sua vita a quest’opera di liberazione perché non c’è il Dio dell’Antico Testamento e poi quello più esatto del Nuovo. Se Dio è Uno solo sarà il medesimo nel Primo Testamento come nella nuova e definitiva Alleanza.
Questa liberazione dell’umanità da ogni forma di male che la tiene prigioniera passa per la conversione del cuore, un cuore che deve comprendere fino a che punto arriva l’amore di Dio per l’umanità e per ciascuno. E grande cosa sarebbe già comprendere e credere che il Male non viene da Lui.
Quanto ai due figli di Zebedeo che – per così dire – innescano la miccia di questo Vangelo, c’è da dire che dovevano essere alquanto irruenti. Più che irruenti… quell’attimo sfacciati, diremmo noi oggi. Non per nulla li avevano soprannominati figli del tuono. Forse proprio per tanta irruenza o per quella sfacciata ed esplicita richiesta di chiedere la gloria… senza pensare minimamente di poter dare la propria vita per la stessa causa, cioè la liberazione dal Male. Chiedere di vedere Dio senza convertire il cuore ci lascerebbe ancora in quell’idea di riscatto da pagare. Si tratta piuttosto di una testimonianza da donare. Una testimonianza controcorrente che va nella direzione opposta di quella verso la quale, quasi istintivamente, sembra andare l’uomo quando vuole salvare la propria vita.
C’è da sapere anche che per comunità alla quale è indirizzato il Vangelo di Marco, la parola persecuzione non era un’ipotesi ma già realtà. L’opera di liberazione dell’umanità non era – e non è – ancora terminata. Il Figlio dell’uomo, il servo del Signore, ha «soltanto» aperto la strada e l’ha percorsa tutta. Servono ancora testimoni.
…donaci di orientare sempre a Te la nostra volontà
e di servirti con cuore sincero.
(dalla liturgia odierna)
Dal Vangelo secondo Marco (10, 35-45)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Cristo, ti vediamo dovunque pendere dal legno
e noi, senza batter ciglio:
i crocefissi costellano il mondo;
crocefissi nelle chiese, crocefissi nelle strade,
nelle case, sul petto dei cavalieri,
nelle aule di scuola, dei tribunali;
e non dici più niente, non significhi nulla…
Invece sei la stessa idea di umanità
sempre appesa e sempre innalzata sui patiboli,
e sei l’immagine dell’uomo che il mondo
non ha mai accettato…
… e così sarebbe dunque la tua vera liturgia:
un discorso contro il potere,
e poi la lavanda dei piedi,
e poi il tuo corpo e il tuo sangue
dato in cibo e bevanda:
Signore, fa’ che siano così
– perché siano vere –
tutte le nostre eucarestie.
Amen.
(David Maria Turoldo)
I due discepoli parlano di trono, metafora della Croce…i due malfattori che muoiono a fianco di Gesù….non c’è altro potere se non l’amare!
Suggestiva la poesia di D.M.Turoldo, proposta per questo Vangelo: l’ immagine del crocifisso ha un significato umano di fallimento, è lo ” scandalo della Croce” che il mondo non accetta. Ma quando tu stai soffrendo e ti senti abbandonato,sappi che proprio lì sei con Gesù, che dalla croce, con la croce e per la croce,non solo ti salva, ma anche ti consola e ti aiuta a portare la tua croce. È una lezione che ho imparato e sperimentato personalmente.
Oggi il crocefisso ha perso il suo significato perché è diventato un oggetto di “ consumo”: un monile, un mezzo x conquistare voti o x giudicare e/o lanciare giudizi o anatemi… oppure è considerato un simbolo scomodo perché ci ricordo la sofferenza da cui oggi cerchiamo di rifuggire. A me, che da sempre fatico a capire il suo profondo significato, la croce mi ricorda i numerosi” poveri Cristi” che soffrono nell’ indifferenza di molti e x la miopia e L’ egoismo di tutti. È un po’ mi vergogno.
Quanta differenza fa, davvero, tenere a mente il contesto in cui un dato testo fu scritto. Quanto una stessa parola, usata in un contesto diverso, in un tempo diverso, rivolta ad una società diversa può cambiare financo il suo significato. Perché? Perché la lingua è viva e così Dio stesso l’ha creata. Perciò Gesú stesso già in vita si adoperò tanto perché si duffondesse e perché avesse altri, nuovi, diversi testimoni. Perché potesse arrivare a tutti, mantenendosi viva. Non basta allora “prenderla così com’è” bisogna saperla portare all’oggi perché chi ascolta possa davvero comprenderla e questo richiede un po’ di sforzo. Non uno sforzo immane, ma un po’ di sforzo, un po’ di impegno questo sí. Sia lode a tutti coloro che riescono ad accompagnare i fedeli in questo compito.
Santa Teresina del Bambin Gesù, una della schiera di questi grandi piccoli, si esprimeva così alla fine della vita:” O Maria se io fossi la Regina del cielo e tu fossi Teresa vorrei essere Teresa perchè voi foste la Regina del cielo”.
Tu ti sei fatto e sei stato “Servo per amore”, di tutti e di ciascuno. Illuminati dal Tuo esempio anche noi possiamo apprendere quest’arte di amare, di servire silenziosamente, in umiltà e sincerità ogni giorno. Aiutaci a non perdere però mai di vista l’essenziale, perché non ci si “affanni troppo” facendo diminuire o venir meno quell’intimo rapporto e legame che ci unisce a Te nella preghiera. La preghiera sarà viva quando non solo riserveremo del tempo ad essa, all’alba o al tramonto, ma anche quando sarà attiva, quando facendo qualcosa ci sembrerà di pregare e forse lo staremo proprio facendo, perché in quel momento stiamo rivolgendo il pensiero a Te, che ci hai dato l’esempio e ci ispiri, donandoci forza e sostegno nelle nostre fatiche quotidiane.
Quante cose si possono fare e quante belle preghiere si possono dire per amor Tuo e grazie a Te.