Interiorità precede
(1Re 10,1-10 / Sal 36 / Mc 7,14-23)
Un re afferma il suo potere per vastità di impero, per solidità di strutture di governo, per lo splendore di costruzioni (dal palazzo al mausoleo, passando pure per il tempio), una vittoria poi estende i confini dopo la vittoria e ritira l’avversario relegandolo o facendolo addirittura fuggire. Questo fa di un regno il suo prestigio, la sua gloria e il suo splendore. Difficile avvicinarsi. Eppure ci fu un re (e probabilmente anche più di uno!) conosciuto non soltanto per quanto nel suo regno avveniva esteriormente, ma per la sua rinomata sapienza. Si apre così la liturgia della Parola di questo giorno: con il racconto della visita che la regina di Saba fece al re Salomone. Eccone un estratto.
La regina di Saba, quando vide tutta la sapienza di Salomone, la reggia che egli aveva costruito, i cibi della sua tavola, il modo ordinato di sedere dei suoi servi, il servizio dei suoi domestici e le loro vesti, i suoi coppieri e gli olocausti che egli offriva nel tempio del Signore, rimase senza respiro. Quindi disse al re: «Era vero, dunque, quanto avevo sentito nel mio paese sul tuo conto e sulla tua sapienza! Io non credevo a quanto si diceva, finché non sono giunta qui e i miei occhi non hanno visto; ebbene non me n’era stata riferita neppure una metà! Quanto alla sapienza e alla prosperità, superi la fama che io ne ho udita. (1Re 10, 4-7)
Il racconto si conclude informandoci di un gesto generoso di donazione fatto proprio dalla regina al re Salomone. Ella diede al re centoventi talenti d’oro, aromi in gran quantità e pietre preziose. Non arrivarono più tanti aromi quanti ne aveva dati la regina di Saba al re Salomone. (1Re 10,10)
E immediatamente verrebbe da chiedersi: ne avrà avuto proprio bisogno il re Salomone di quel dono? Cosa gli mancava? È un po’ come aggiungere acqua al mare, no? In quel gesto esteriore c’è forse una decisione profonda di una regina che ritiene superfluo ciò che possiede a confronto della Sapienza di Salomone. Denaro, preziosi e aromi traducono in segno la ricchezza, la preziosità e il buon profumo che risiedono nella Sapienza.
Molti anni dopo – siamo già tra le pagine del Vangelo – un’altra donna donerà aromi davanti a Colui che ne lesse il cuore e non l’apparenza. Agli occhi dei presenti quel gesto fu considerato uno spreco. La Sapienza di Dio confonde le nostre idee, converte il nostro sguardo, ci chiede di dare precedenza alla vita interiore contro ogni apparenza esteriore. Il fatto è che confidiamo troppo in ciò che i nostri occhi vedono e non abbiamo ancora compreso che non basta lo sguardo. Siamo abituati a puntare gli occhi per dire attenzione ma puntare gli occhi può anche essere sinonimo di una presa di mira. Già raccontai d’essere rimasto sorpreso da un amico che, proveniente da un altro continente, mi ascoltava ad occhi chiusi volgendo il suo orecchio verso di me.
Lo sguardo si può facilmente ingannare. Un trompe l’œil, un’illusione ottica, un effetto di rifrazione e subito il cucchiaio nel bicchiere sembra spezzato o l’asfalto arroventato dal sole sembra finire in un lago che non c’è. E siccome sappiamo bene che l’occhio ci inganna, l’uomo non si risparmia di mettere in luce apparenze. «Ascoltatemi tutti e comprendete bene!» disse. I farisei avevano visto i discepoli di Gesù non osservare certe tradizioni (e non è neppure casuale il fatto che si dica osservare) ma Egli, convertendo la capacità di comprendere, richiede di nuovo l’attenzione dell’ascolto. Sì, quando l’occhio è ingannato dalle apparenze, non resta che tornare ad ascoltare bene. E ascoltare in profondità.
Non è un caso che l’invito rivolto ad Abramo a lasciare la sua terra sia piuttosto un invito a lasciare i sentieri delle apparenti certezze per scoprire dentro di sé un groviglio di sentimenti, di emozioni, di pensieri che poi, in breve tempo possono materializzarsi in gesti esteriori non sempre gradevoli o positivi. L’interiorità ha una precedenza non indifferente dato che ogni cosa che accade all’esterno, piccola o grande che sia, avrà comunque una risonanza ancor maggiore ed immediata dentro di noi.
Gesù ci mette avverte che dentro di noi c’è un mondo magmatico, proprio come accade sotto la crosta terrestre. Essendo noi pure terrestri, non dovrebbe dunque essere molto differente da ciò che accade nel sottosuolo. Segue a conclusione del brano di Vangelo, un’attenta e dettagliata nomenclatura di cose che rendono impuro l’uomo. Forse un’abbozzo e uno spunto per un esame di coscienza nelle prime comunità cristiane?
Tu voi, Signore,
che tutti gli uomini siano salvi
e giungano alla conoscenza della verità.
Noi ti ringraziamo
perché ci doni la gioia di conoscere GesùCristo,
Lui che ci prende per mano
e ci accompagna nel profondo di noi stessi
a conoscere la vera umanità,
per incontrare Te,
Dio eternamente misericordioso.
Dal Vangelo secondo Marco (7,14-23)
In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro».
Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti.
E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
Racconta il tuo miracolo
se pensi di aver fatto un miracolo.
Combatti per rendere più chiaro
ciò che dici, abbi cura
della tua innocenza
più che della tua bravura.
Non puoi scegliere che posto avere
nel cuore degli altri,
pensa a sistemare gli altri
nel tuo cuore.
(Franco Arminio, Studi sull’amore, Einaudi 2022)
Le opere di Magritte giocano sul rapporto tra percezione e realtà. Qui infatti un quadro sul cavalletto finisce per confondersi col paesaggio che intendeva ritrarre. Commentando l’opera, Magritte disse: «È così che vediamo il mondo: lo vediamo come al di fuori di noi anche se è solo d’una rappresentazione mentale di esso che facciamo esperienza dentro di noi».
A proposito del tema di oggi, mi vien da dire che Gesù non si soffermava sull’aspetto fisico/esteriore delle persone che incontrava. Bensì le ascoltava, facendo emergere così la profondità del loro cuore (che conosceva già). Sapeva ascoltare. Ciò che dovremmo fare noi, senza essere pieni di pregiudizi.
Questo Vangelo che parla di impurità che escono dall’uomo mi riporta all’intervista di papà Francesco di domenica, che ancora una volta ha voluto sottolineare quanto sia negativo il ‘chiacchiericcio’.
È proprio la condizione contraria all’invito evangelico: ci fa vedere solo le piccolezze del prossimo per commentarle con malignità e ci impedisce di metterci in ascolto della bellezza e della sapienza.
“L’abito non fa’ il monaco” così dice un proverbio, come a dire: non fermarti a guardare le persone e basta, perché è inevitabile poi dare dei giudizi non veritieri. C’è bisogno, invece, di ascoltare e di essere ascoltati, proprio perché questo mondo è caotico e disordinato. Tutti corrono, tutti hanno fretta (di fare cosa poi?) e vivono con stress ogni aspetto della loro giornata. Fermiamoci. Ascoltiamo non solo i suoni della natura che danno pace al cuore, ascoltiamo anche le storie, le preoccupazioni, le gioie delle persone che incontriamo. È solo in questo modo che questo mondo diventa meno caotico e disordinato.