Ipapante! Veniamoci incontro!
Presentazione di Gesù al Tempio
(Ml 3,1-4 / Sal 23 / Eb 2,14-18 / Lc 2,22-40)
«Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?» (Gv 3,4). Fu l’evangelico rompicapo di Nicodemo, quando di notte andò da Gesù. Venire alla Luce non è solo il fatto biologico del nascere. Venire alla Luce è desiderio e vocazione anche di uomini e donne, sazi o stanchi di giorni, i cui occhi si velano gradatamente di cataratte e il buio inverno sembra ogni anno sempre più buio. Col passare dei giorni, la nostra esistenza, sotto colpi di prove e batoste, forse anche a causa della nostra durezza di cuore e dei mali che ci procuriamo (si chiama “peccato”?) si infittisce di buio. Si spegne la luce degli occhi. Per fisiologia, certamente, ma anche per debolezza della fede, per raffreddamento della speranza.
Quel bambino che Maria e Giuseppe stanno ora portando al Tempio, Lui venne alla luce quaranta giorni prima e oggi, con la stessa esattezza cronologica ricordiamo quel solenne momento prescritto dalla Legge. Venire alla luce è anche entrare nel mondo. Entrare nel mondo è sottomettersi alle sue Leggi. Venne dunque alla luce il primogenito di Maria. Giuseppe, obbedientissimo, già lo sollevò e gli diede il nome che l’angelo del Signore aveva indicato. Oggi, accanto all’ultimo nato e ai due giovani che si scoprono genitori, facciamo memoria di due anziani, Simeone e Anna che, pieni di Spirito santo, potranno di nuovo venire alla luce. Colui che venne alla Luce è Luce egli stesso che illumina la storia di un popolo e ogni singolo uomo. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo (Gv 1,9).
E già si comprende che non venne per abolire la Legge ma per darle compimento (Mt 5,17). Si assoggettò a quanto prescrive la Legge del Signore ma già mostrava come andare oltre la Legge stessa. Non accadde in quel giorno solo ciò che era prescritto. Anzi, poco sappiamo di come si svolse il rito. Ci è detto soltanto quel dettaglio – per altro non irrilevante – di ciò che offrirono a testimonianza della povertà di quei due giovani genitori. Ciò che è da osservare secondo la Legge, a ben guardare, è semplice dovere. E il dovere non fa storia. È umana giustizia. Umana obbedienza.
In fondo quel gesto di assoggettarsi alle prescrizione culturali e cultuali doveva essere una delle cosa più ordinarie che si ripetevano quotidianamente al Tempio. Per ogni figlio che veniva alla luce dentro quel popolo, passati i quaranta giorni dalla nascita, si svolgeva questo rito. E non era un’opzione. Se sei nato qui, da genitori ebrei, sarai ebreo tu stesso. Scritto e segnato dentro la storia di un popolo, ogni bambino appena nato deve essere accompagnato dentro una storia più grande. È un gesto di fede ma anche un rito umanissimo per dire che la sua presenza contribuirà alla storia stessa.
C’è dunque qualcosa in più che merita questo ricordo. C’è qualcosa in più di un rito. Pieno compimento della Legge è l’amore (Rom 13,10) C’è l’amore di Dio stesso all’opera in mezzo ai suoi. In questo incontro di generazioni – già segno di benedizione in senso biblico – più grande della storia personale, più grande della storia di un popolo, c’è una storia di salvezza che si opera, come graduale illuminazione, nell’incontro tra sé e l’altro, tra l’io e Dio, tra me e noi.
«Venirsi incontro» è espressione (ri)conciliante, di accordi trovati, di passi fatti verso l’altro. Quel giorno i due anziani Simeone e Anna vennero al Tempio e riconobbero che la Luce stessa di Dio stava venendo verso di loro. Quel quotidiano pellegrinaggio verso il Tempio, simboleggiava il loro uscire da se stessi, il non starsene rinchiusi nei loro dolori. E da quel giorno non si concepirono più come due anziani che si avvicinano alla morte. Si considerarono già viventi in Dio. I loro occhi avevano già visto il loro destino e quello di tutti noi: la pace che la Parola di Dio porta a coloro che la ascoltano. La pace, dono di Colui che è risorto… secondo le Scritture.
Tra poco, con le parole che aprono la liturgia di questo giorno, dirò anche io ad un gruppo di fedeli, per la più parte anziani: «Anche noi, riuniti dallo Spirito Santo, andiamo nella casa di Dio incontro a Cristo. Lo troveremo e lo riconosceremo nello spezzare il pane, nell’attesa che egli venga e si manifesti nella sua gloria».
Buona festa dell’Ipapante! Buona festa dell’incontro! E che ciascuno di noi possa sempre avere incontri radiosi, luminosi e belli. E in mezzo a questo accostamento di piccole luci della nostra esile speranza, Cristo stesso sia fiamma centrale attorno alla quale noi tutti riceviamo continuamente esistenza, energia e vita nel nostro quotidiano consumarci. Lo troveremo e lo riconosceremo nello spezzare il pane, dice la monizione della liturgia. Ma questa è già esperienza pasquale dei due discepoli di Emmaus, che riconoscono il Signore Gesù nello spezzare il pane. Venirsi incontro è dunque condividere Luce e Pane per l’esistenza. Tra Natale e Pasqua c’è questa grande festa odierna che non è solo anello tra i due grandi appuntamenti della Vita (nascere e morire) e della Vita di Fede, ma già un essere introdotti oltre l’esistenza mortale, nella Vita Eterna. Chi mangia questo pane non muore!
O Dio, vera Luce,
che crei e diffondi la Luce eterna,
riempi i cuori dei fedeli
del fulgore della Luce perenne,
perché giungiamo felicemente
allo splendore della tua gloria.
Amen.
(dalla liturgia di questo giorno)
Dal Vangelo secondo Luca
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
M’è tornato alla mente in questi giorni questo mottetto sacro che da sonorità alle parole di Gesù. Mi piace proporvelo all’ascolto. L’autore, Giovanni Pierluigi da Palestrina nacque attorno al 1525 e morì proprio il 2 febbraio 1594. Si era in pieno rinascimento. Io non so per quale motivo mi son tornate al cuore queste note e questa melodia: forse per un segreto desiderio di un nuovo rinascimento anche per noi oggi? O semplicemente per questa coincidenza con la data della sua morte? Al di là di tutto – de gustibus permettendo – è un gioiellino musicale! La nostra preghiera oggi è ascolto di qeuste parole di Gesù nei timbri delle voci che si rincorrono, si incontrano e, alla fine, si quietano, si distendono e si accordano perfettamente in armonia.
Ego sum panis vitae.
Patres vestri manducaverunt manna in deserto, et mortui sunt.
Hic est panis de coelo descendens:
si quis ex ipso manducaverit, non morietur.
Io sono il pane di vita.
I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti.
Questo è il pane disceso dal cielo:
chi ne mangia non morirà.
Mi sorprende sempre come la flebile luce di una candela attiri il nostro sguardo. Durante le celebrazioni se diamo un candela accesa in mano ai bambini, la loro attenzione si concentra sulla fiamma.
Capita facilmente anche a me, che bambina non sono più.
Come sarebbe bello se riuscissimo a percepire e abbandonarci all’attrazione per Gesù, la Vera Luce, allo stesso modo.
Nella giornata mondiale della vita consacrata,e festa della Luce,
Ti ringrazio Don Stefano di essere testimonianza del segno della presenza di Gesù in mezzo a noi nella quotidianità…
2 febbraio festa della Candelora, festa della luce. Simbolo ma ben inserito nella vita reale perché in questi giorni anche la natura e l’uomo sentono una grande energia che vuole manifestarsi. L’occasione per rinnovarci e per rifiorire.
La luce è già bella di suo, tanto più se è una luce capace di illuminare la nostra interiorità! Ma come fare a incontrarla? Sempre più convinta che serva davvero, innanzitutto, imparare a tacitarsi. Cosí come serve il silenzio per meglio sentire la voce di Dio, sempre il silenzio dei pensieri aiuta a scorgere meglio questa luce interna che indica la via. E la indica eccome! Penso a come ero scettica io quest’estate mentre mi preparavo per il test dell’università… Poi, anche un po’ inaspettatamente, sono stata presa ed eccomi qui, all’alba dei 38 anni, a scoprire un nuovo percorso, avvincente ed arricchente… Se non è divina provvidenza questa! 🙂