La forza sta nella pazienza

XVI domenica del Tempo Ordinario (A)

(Sap 12,13.16-19 / Sal 85 / Rm 8,26-27 / Mt 13,24-43)

Ci sostengano sempre, o Padre,
la forza e la pazienza del tuo amore,
perché la tua parola, seme e lievito del regno,
fruttifichi in noi
e ravvivi la speranza
di veder crescere l’umanità nuova.
Amen.

Un giudice di Alessandria, trenta o quarant’anni prima della venuta di Gesù, scrive un libro in greco – il libro della Sapienza – che ha trovato posto non tanto nelle biblioteche dei filosofi greci quanto piuttosto nell’insieme dei libri che formano le Sacre Scritture. L’autore di questo libro vuole trasmettere la propria fede ricevuta dai Padri. I suoi lettori sono però intrisi di cultura greca e di filosofia, cioè l’amore della sapienza. Ci si chiede soprattutto cos’è la sapienza e come ottenerla; e ancora chi è veramente sapiente e giusto. Il libro della Sapienza, inoltrandosi su questi sentieri di ricerca, giunge però a dire che il vero sapiente è Dio e che solo lui ne è custode e garante. 

Per il popolo di Dio non c’erano dubbi: i segreti della conoscenza solo Dio li possiede. Dio vuole mostrarsi anzitutto come colui che, in virtù della sua potenza, è estremamente indulgente verso gli uomini. Gli uomini, si sa, provano un certo bisogno di dimostrare la loro forza, cercando di tenere tutto sotto controllo, spesso imponendo dominio e soggiogando. È così perché sappiamo di non possedere in noi stessi questa forza e quand’anche avessimo in noi questa forza, ben sappiamo che non sarà per tutta la durata della nostra esistenza. Sono in realtà piccoli i capi che si danno delle arie per dirsi ed essere considerati grandi e forti. Dio al contrario, dice l’autore del libro della Sapienza, che dispone di un’infinita potenza non fa che mostrarsi come indulgente e paziente.

La tua forza è il principio della giustizia – ascoltiamo oggi nel libro del giudice alessandrino – e il fatto che sei padrone di tutti, ti rende indulgente con tutti. […] Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza (Sap 12,16)

Dobbiamo ammettere che questo sguardo su Dio non ci è spontaneo. Sono serviti decenni, secoli e millenni per comprenderlo e ancora ci serviamo di queste parole di sapienza per vigilare che la volontà di potenza dell’uomo non sia mai confusa con il volere di Dio. Vera sapienza e dunque nostra vocazione è assomigliare a colui che ogni giorno nulla distrugge ma risparmia ogni cosa: con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo
che il giusto deve amare gli uomini, e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento (Sap 12,19)

Dal Vangelo secondo Matteo
(13,24-43)

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
«Aprirò la mia bocca con parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

Tolta dal suo contesto, la parabola della zizzania potrebbe sembrare un accenno di risposta alla domanda che chiede conto dell’origine del male: non è Dio che lo ha creato cosi come il seminatore ha seminato soltanto del buon grano. In altre religioni del tempo, gli dèi erano sono spesso creatori del bene ma anche del male. Gesù, nel raccontare questa parabola, si colloca invece sul versante di coloro che affermano che Dio ha fatto bene – molto bene! – ogni cosa. 

Se tuttavia collochiamo le parabole di oggi nel contesto in cui sono inserite – il capitolo 13 del Vangelo di Matteo – ci appare meglio il significato di queste parole. La parabola della zizzania segue immediatamente la parabola del seminatore che abbiamo ascoltato domenica scorsa. La parabola del seminatore accennava già al fatto che spesso la semina generosa non conosce per conseguenza diretta una produzione feconda. Questa dipende dalle diverse condizioni del terreno.

Traduciamo più chiaramente: l’annuncio del Vangelo non incontra sempre orecchi attenti e cuori aperti. La parabola della zizzania segue precisamente questa medesima riflessione: ci troviamo ancora nel medesimo campo in cui il padrone ha seminato abbondantemente del buon grano. Se possiamo individuare dunque le cause che potrebbero far fallire la semina e se per giunta un nemico vi ha pure seminato della zizzania, perché non intervenire prontamente a togliere l’erba parassita, cioè il male? Il racconto ci dice che solo al padrone della messe – e a lui solo – spetta il compito di sradicare il male. 

Gesù invita anzitutto ad accettare come condizione propria delle creature questo miscuglio di bene e male che c’è in ognuno. Più particolarmente vuole parlare al cuore indurito di coloro che rischiavano di costruire comunità elitarie: alcuni farisei, per esempio, disprezzavano quelli che venivano chiamato «il piccolo popolo del paese», cioè coloro che faticavano a rispettare la Legge e i comandamenti; anche gli zeloti partivano in guerra per togliere di mezzo coloro che apparivano troppo tiepidi nel vivere la loro fede.

Matteo è l’unico evangelista che racconta la parabola della zizzania. Bisogna dunque pensare che la comunità a cui era indirizzato il suo Vangelo aveva particolarmente bisogno di sentire queste considerazioni. Il Vangelo sembra suggerire piuttosto l’idea che la frontiera che separa i buoni dai cattivi passa proprio dentro di noi. Il mondo non si divide tra buoni e cattivi, tra credenti e non credenti. In ciascuno convivono queste due dimensioni così contrapposte. 

Se dunque accettiamo questo annuncio che ci svela la presenza del male e del bene nello stesso campo, come conciliare allora la brutta fine promessa ai cattivi e la ricompensa riservata ai buoni se noi siamo dunque bontà e cattiveria, grano e zizzania al contempo? Il profeta Malachia ci suggerisce la risposta: il sole di giustizia farà germogliare il bene e il male scomparirà in un batter d’occhio. Anche il salmo 1 suggerisce l’idea dell’insignificanza del male, che verrà portato via dal vento come un soffio. Il bene invece sa mettere radici e l’uomo buono è spesso paragonato all’albero piantato lungo corso d’acqua che darà frutti a suo tempo.

Il padrone della messe, che non può sopportare di vedere sradicata una sola spiga di buon grano con la zizzania, non condannerà in noi il bene come il male. Dio si mostra così indulgente e paziente perché non vuole rischiare di perdere nessuno dei più buoni semi, non fossero che piccolissimi come il granello di senape. Tutto ciò che mette radice e perdura non è che il segno di questa divina pazienza. 

Ci servirà l’aiuto dello Spirito a far deporre all’uomo ogni volontà di potenza, ogni desiderio di farsi giustizia da sé, di strappare immediatamente la zizzania con il conseguente rischio di sradicare anche il grano. Serve questo divino lievito dello Spirito a far crescere tutta la pasta di cui siamo fatti per diventare pane. Un soffio di vento può disperdere quintali di farina. È nell’impasto di semplici ingredienti che la materia si trasforma.

Saint-Sulpice (VD), il tempio e le rive sul lago Lemano.
La città di Losanna sullo sfondo.

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Piccoli Pensieri (3)

Anna

Oggi, Signore, mi inviti alla pazienza. Con me stessa e verso i fratelli. Riconoscere e dare un nome alla “zizzania” che c’è in me credo sia il primo passo per non giudicarli.
Poi, senza fretta e “Solo per oggi […] non alzerò la voce, sarò cortese nei modi, non criticherò nessuno, non cercherò di migliorare o disciplinare nessuno tranne me stesso” (san Giovanni XXIII)

23 Luglio 2023
Sebastiano

Ringrazio il Signore per la sua promessa che alla fine dei tempi il male che risiede in me verrà sradicato e bruciato. Resterà solo il bene che c’è in me.

23 Luglio 2023
Maria Rosa

Signore Gesù che hai seminato in noi del buon seme, donaci il tuo Spirito perché collaboriamo con Te perché cresca e porti frutto.

Grazie don Stefano:
Ottogiorni ci dona di restare in comunione.

23 Luglio 2023

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