La strada di Dio passa dalle parti dell’uomo

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Data :11 Gennaio 2021

Terminato il tempo di Avvento e il tempo di Natale, muoviamo oggi i nostri passi nel tempo che la Chiesa chiama «ordinario» da non confondersi con banale, scadente, meno rilevante. Ordinario sta piuttosto per consueto, quotidiano. I tempi della festa o «forti» (come propriamente sono chiamati) hanno la forza di mettere a tema le più grandi affermazioni della nostra fede. La più parte del tempo quotidiano è spendersi e consumarsi, qualcosa che poco o nulla ha di festoso, nel quale tuttavia preferisco vivere. 

Oggi, iniziamo a leggere anche la Lettera agli Ebrei che si apre proprio con queste parole: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio». Il primo messaggio per il tempo ordinario non è affatto scontato: siamo soliti affermare anzitutto l’unicità di Dio per dirci cristiani mentre siamo abituati a convivere con tanti idoli i quali ci seducono, ci rapiscono, ci affascinano e ci abbagliano… e che tuttavia restano muti, come si legge nel salmo 114. «Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla gola non emettono suoni».

Per dire che crediamo ci basta affermare che da qualche parte, in qualche modo Dio esiste, come fosse un’affermazione astratta e assoluta. Che lo si ascolti o meno non cambierebbe molto l’esistenza. Lui c’è come io ci sono. Anche nel caso che non lo avessimo mai ascoltato. La fede si colloca piuttosto in questa continua ricerca interiore che ci porta ad ascoltare Colui che parla al nostro cuore.

Chiamare o sentirsi chiamati per nome è scoprire che già esistiamo nel cuore di qualcuno. Credere diventa così fiducia in chi ci chiama e in ciò che ci dice. La fede diventa già concreta quando quelle parole ascoltate diventano una strada concreta che si percorre. Non fosse altro che un grido di aiuto. Ma se lo ascolti, ti alzi e vai verso colui che grida, stai già praticando la tua fede.

E siccome l’uomo è tale in quanto essere parlante, scopriamo che la verità su Dio e sull’uomo sta nel dialogo, forma privilegiata del logos. Dio non è Dio perché si impone su tutto, come qualcuno che volesse riprendersi spazi occupati da altro o da altri. Dio non è qualcuno che vuole affermarsi per rivendicare la sua grandezza a fronte di tutte le nostre piccolezze. Sarebbe vincere troppo facilmente. Avrebbe certamente il sapore di un abuso di potere se il più grande se la prendesse con chiunque gli sia inferiore. 

La lettera agli Ebrei riassume in pochi versetti il senso di tutta la Sacra Scrittura, opera di questo ininterrotto dialogo di Dio con le sue creature, di un Padre con i suoi figli. Parlare è forma altissima dell’esistenza. Per l’uomo e per Dio. Rivolgere la parola a qualcuno non è soltanto scoprire di essere capaci di parlare, ma è comprendere che tutto si compie in un annuncio che ha un preciso mittente che desidera necessariamente trovare un destinatario.

Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Figlio è l’ultimo che arriva in una relazione che va consolidandosi. L’arrivo di un figlio costringe ad un immenso ascolto, perfino prima che il filgio stesso impari ad articolare una frase, un pensiero. Ogni vagito è già un messaggio da decifrare. Il mittente e il destinatario sono già lì. E perfino un muto ha un suo linguaggio che chiede di essere ascoltato. Quando Gesù guarirà dei muti non lo farà soltanto per il muto ma principalmente per coloro che ignorandolo, dichiaravano la loro incapacità di ascoltare, vedere, cogliere. C’è qualcosa di affascinante in quell’intesa di sguardi tra genitori e figli che non possono esprimersi a parole. È indice che Parola non è solo grammatica. Tutto il corpo è linguaggio indirizzato. C’è sempre come una sottile barriera tra due esseri, due persone…

Cosa vide quel giorno passando accanto a quei pescatori? E cosa udì, sebbene non gli rivolsero una parola, mentre li osservava intenti nel loro lavoro quotidiano? Ecco, questa è una buona domanda per noi oggi: cosa sentono coloro che ci vedono intenti al nostro lavoro più quotidiano? Passandoci accanto, quale messaggio si ode dal nostro modo di vivere? 

Li chiamò perché evidentemente vide che si stava spegnendo in loro il senso di quel fare. Il colmo per un pescatore sarebbe finire nella propria rete. Per questo li chiamò. Se la strada di Dio passa dalle nostre parti, se il suo tempo è precisamente il nostro tempo, è perché la nostra vita concreta e quotidiana sia un lavoro che ci renda più umani. «Chi ha visto me ha visto il Padre» dirà Gesù. Chi vede noi potrà vedere il Figlio di Dio che è in noi?

Ispìra nella tua paterna bontà, Signore,
i pensieri e i propositi del tuo popolo in preghiera,
perché veda ciò che deve fare
e abbia la forza di compiere ciò che ha veduto.

Dal Vangelo secondo Marco (1,14-20)

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. Subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

Io non so come ti prega mio padre,
né mio fratello,
né mio zio;
non so nemmeno
come ti pregava la tua madre, Maria.
Non so come ti pregano le stelle
e i rami di corallo in fondo al mare,
né quei cuscini di muschio
che fioriscono in alto, sulle rocce.
Non so come ti prega il gatto e il topo,
e la pulce nel pelo del topo.
In fondo, Signore,
non so nemmeno come prego io.
So come preghi Tu:
come mormori piano,
in fondo al cuore;
ed io sto appena ad ascoltare.

(Adriana Zarri)


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Piccoli Pensieri (4)

Emilia

Quanto è difficile pregare in questo tempo in cui la testa è sempre impegnata distratta da troppi messaggi, problemi, dolori. Io prego il Signore di leggere nel mio cuore che prega di non perdere mai la gioia di sentirlo vicino e di conservare la forza di amare.

11 Gennaio 2021
Dania

Che il “Signore accresca sempre più la nostra fede” affinché ci rendiamo conto del dono prezioso ricevuto gratuitamente e ce ne prendiamo cura, alimentandola, come fa l’ostrica con la perla. Nella speranza che “quando il Figlio dell’uomo tornerà” possa trovare quel poco di fede che “permette di vincere il mondo”…
È solo con la fede e grazie alla fede che il mondo potrà andare avanti.
È un lungo cammino che credo e spero duri tutta la vita e per cui vale la pena vivere ogni giorno.

11 Gennaio 2021
Gianna

Mah, credo sia difficile che chi vede noi veda Dio che ci abita. Dio ci abita, noi siamo il suo tempio, lui non si stanca di bussare al nostro cuore, ma noi, parlo per me, siamo presi da tanto altro che è impossibile vederci “santi” (separati). Sai una cosa, sarebbe già tanto rendere la nostra vita una preghiera, che, come mi è stato insegnato, non significa recitare sempre preghiere.

11 Gennaio 2021
Alberto

ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio».

Quello che mi sorprende continuamente è l’Evento cristiano: un Dio che cammina con noi rispettando la nostra libertà. Semplicemente mi chiede : mi ami tu?

11 Gennaio 2021

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