Lasciar crescere

Categoria :Natale, Omelie
Commenti: (3)
Data :29 Dicembre 2024

santa Famiglia di Nazareth

1Sam 1,20-22.24-28 / Sal 83 / 1Gv 3,1-2.21-24 /Lc 2,41-52

Signore, mio Dio,
Tu sei più grande delle nostre parole,
più silenzioso dei nostri silenzi,
più profondo dei nostri pensieri,
più alto dei nostri desideri…

Dal Vangelo secondo Luca
(2,41-52)

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Il primo taglio netto è quello del cordone ombelicale… e da quel momento in poi? Di cosa si vive? Come si vive? L’esperienza insegna che quel taglio non rappresenta di certo l’autonomia, l’indipendenza assoluta o la libertà.  Lontano da noi l’idea che non servano legami d’alcun tipo. Nascere non è soltanto storia di un cordone ombelicale reciso. Vivere non è mai stato questione di pensare solo a se stessi. Occorre cioè trovare le ragioni per vivere, per stare al mondo, occorre trovare il senso del proprio cammino terreno. Tagliato il cordone è per un misterioso Soffio che siamo vivi. E non pensiamo che siamo solo biologia, fisiologia o chimica. 

La vita è esposta alle intemperie, alle prove, alle fatiche. Quel Bambino per il quale non ci fu posto nell’alloggio, che dovette nascere al freddo e al gelo (e non pensiamo che nella Terra Santa non faccia freddo da morire: le notizie che giungono da quella terra ancora devastata dalla guerra, dicono che si muore anche di freddo); quel Bambino che dovette essere messo in salvo dalla violenza e dalla cattiveria di Erode; quel Bambino che fu migrante suo malgrado; quel Bambino è ancora una volta, in questo tempo di Natale in modo particolare, al centro di molte attenzioni, quasi che noi dovessimo scusarcene di averlo così troppe volte ignorato nel corpo esposto e fragile di molti figli innocenti, quasi che dovessimo riscattarci di non averlo capito.  Certo è che abbiamo ancora dubbi sulla nostra capacità di averne afferrato il messaggio e compresa l’opera, quella del Padre che attraverso di Lui ci spiegava una volontà così diversa dal volere umano.

Si celebra oggi la santa Famiglia di Nazareth: Gesù, Maria e Giuseppe. Lo sguardo si amplia attorno a quel Bambino che, da solo, non avrebbe certo potuto né vivere né sopravvivere. Servono una madre e un padre… ma non solo. Serve una «carovana di pellegrini» (per usare l’espressione del Vangelo) che accompagni il cammino di crescita di ogni figlio che viene in questo mondo. È la meta che da senso al cammino. E dunque sia carovana di pellegrini questo nostro incedere. Serve una meta prima di trovare la direzione. Serve una meta per mettersi in cammino.

I genitori di Gesù, i suoi santi famigliari e parenti, avrebbero potuto sovraesporlo alle attenzioni più smisurate, avrebbero potuto continuare a proteggerlo in modo quasi «asfissiante» dati i precedenti, date le disavventure dei suoi primi anni di vita. Maria e Giuseppe non giocano il ruolo dei genitori iper-protettivi, nemmeno in riferimento a quanto l’angelo aveva detto loro: quel figlio sarebbe stato grande e chiamato «Figlio dell’Altissimo». Nessuna campana di vetro dunque. Ricordarsi e delle parole dell’angelo e credere al compimento delle promesse di Dio è questo che sanno fare Maria e Giuseppe, pur conservando la loro coscienza che si interroga e si lascia interpellare dai fatti. 

Credere di aver perso un figlio è in realtà mettersi in cammino per cercarlo laddove non ci si immagina. In ogni caso, in ogni senso. Maria e Giuseppe, mentre osservano le consuetudini della loro famiglia-popolo, sono comunque sorpresi di trovare il loro Figlio Gesù nel Tempio ad interrogare, a cercare risposte a quelle domande che certamente un dodicenne ha nel suo cuore. Santa à la famiglia che lascia uno spazio – tra angoscia e stupore – perché il figlio possa dare voce alle sue domande, perché il Figlio possa scorgere che quell’alito di Vita che lo tiene al mondo, è il soffio di un Altro Padre. Per altro Maria e Giuseppe si saranno ben chiesti cosa volesse dire per loro essere madre e padre di quel Figlio nato nella carne ma non dalla carne. 

«Carissimi – scrive l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera – noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato» (1Gv 3,2). È proprio così: quando nasce un Figlio di quell’ultimo arrivato non sappiamo assolutamente nulla. Occorre preparargli una strada, occorre lasciargli uno spazio adeguato perché possa muovere i suoi passi, cercare la sua ragione di vita, dopo aver posto tutte le domande.

Rassicurati e sorpresi di trovare il loro figlio Gesù nel Tempio a discutere con i maestri, Maria e Giuseppe ancora non sanno che quell’argomentare e quel discutere con scribi, farisei e dottori della Legge continuerà per tutta l’esistenza terrena di Gesù. Tuttavia a quel Figlio non basterà nemmeno stare nel Tempio. Gli sarà necessario recarsi nel deserto e poi ancora e sempre presso i miseri, gli ultimi… fino alla croce, accanto alle croci degli umani. Di che angosciarsi, di che preoccuparsi, di che impedire quel cammino. 

Tuttavia da quel giorno, dalla tenera età di dodici anni (l’età che per la fede del suo popolo significa l’ingresso nell’età adulta) Maria e Giuseppe intesero le intenzioni del Figlio: doveva occuparsi delle cose del Padre suo. Custodirono quella parola senza comprenderla appieno, ma fu proprio quella parola che creava la giusta distanza, il giusto spazio per crescere davanti a Dio e agli uomini. Il figlio dell’uomo che respira aria di casa nel chiamarsi anche Figlio di Dio è un Uomo che apre una strada verso il Padre che sta nei cieli, è Dio stesso che viene incontro ad ogni essere umano che vive in terra.

… donaci, Signore Dio nostro,
così grande e così vicino,
un cuore che vive
e occhi nuovi
per scoprirti e per accoglierti
quando Tu vieni a noi. 

(san Francesco di Sales)

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Piccoli Pensieri (3)

In questo periodo, nel corso del Natale di quest’anno, mi è impossibile non collegare il pensiero della nascita di Gesù a quanto sta accadendo nei pressi dei luoghi in cui avvenne. Non può non interpellarci tutti, credenti e non, cristiani e non. Perché se c’è una cosa che tutti, ma proprio TUTTI, non abbiamo evidentemente ancora capito a fondo, è che siamo tutti, ma TUTTI davvero, parte di una sola grande famiglia: quella umana. E se questo fratello “Figlio di Dio è un Uomo che apre una strada verso il Padre che sta nei cieli, è Dio stesso che viene incontro ad ogni essere umano che vive in terra” noi non abbiamo ancora imparato ad accoglierlo come si deve e si conviene: cercando di mettere in pratica gli insegnamenti che ci arrivano dai Vangeli. Allora sí che vale la pena, anno dopo anno, cercare di tornare a questo prodigio che fu, ricordarci un po’ meglio cosa e come cercò di cambiare nell’animo di tutti e di ciascuno, di quanto l’amore, per tutti e per ciascuno come per me medesimo fu, allora come ora, alla base di tutto. Perché è abbastanza evidente che, per quanto (per fortuna!) vadano ampliandosi buoni propositi e valide prospettive, non sappiamo ancora metterlo in pratica a dovere e questo è un male, per tutti e per ciascuno di noi.

30 Dicembre 2024
Carlo

Grazie don Stefano per le spiegazioni che dai perché mi permettono di riflettere sul significato della comprensione del vangelo.

30 Dicembre 2024
Dania

Dai «Discorsi» di Paolo VI, papa (Discorso tenuto a Nazareth, 5 gennaio 1964) L’esempio di Nazareth:
“…Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale…”.
Don Andres nella sua omelia di oggi lo ha accennato ed ecco il desiderio di tornare là, in quel Santo luogo, attraverso queste parole, un passo di un bel discorso di Papa Paolo VI, che ho desiderato leggere integralmente.
Ci chiediamo spesso quale è il senso della vita e lo scopriremo probabilmente vivendola giorno dopo giorno ma ciò che più conta è chiederci come diamo senso alla vita… e la famiglia è una delle risposte che possiamo dare. E se Gesù ne fa parte tutto ha un sapore ed uno spessore diverso, le gioie come i dolori, le tentazioni e le tante soddisfazioni.

29 Dicembre 2024

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