L’irrimediabile e il compimento
Giovedì – Seconda settimana di Quaresima
(Ger 17,5-10 / Sal 1 / Lc 16,19-31)
Per una buona quaresima, il racconto di oggi sembra costruito a regola d’arte. Certi dettagli nel racconto, brevi pennellate, descrivono efficacemente la scena. A volte, certe situazioni basta solo evocarle e la nostra immaginazione fa tutto il resto, ma non necessariamente perché godiamo di una forte immaginazione ma perché si tratta di scene che ci sono consuete.
Il fatto è che chi di bisso si veste, ancora di bisso si vestirà. E i lauti banchetti – pandemia o non pandemia – per chi è abituato a pensare solo a se stesso, sono sempre possibili. I poveri sono spesso paragonati allo scarto delle nostre società ma, probabilmente, ne sono anche il prodotto. Il non condividere produce povertà. Da entrambe le parti: la povertà materiale di chi non ha nemmeno briciole di cui sfamarsi, ma la povertà spirituale di chi non riesce a cogliere l’appello alla giustizia e alla misericordia.
Poi arriva la morte. E ci pensa lei… a fare tutti uguali. Ma non è vero nemmeno questo. Nella parabola di oggi si intuisce chiaramente che la morte è inizialmente paragonata a quel passaggio particolare che ribalta le sorti producendo una sorta di irrimediabile. La parabola in effetti poteva terminare proprio parlando della morte di entrambi, descrivendo il ribaltamento delle sorti, come già si canta nel Magnificat di Maria: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote».
Ma il Vangelo non è un semplice o banale annuncio di ribaltamento delle sorti. Anche le migliori favole terminano spesso con il lieto fine per chi ha sofferto umiliazioni e maltrattamenti. Il Vangelo piuttosto ci sorprende nel farci ascoltare un dialogo che viene da oltre la morte, un dialogo che proviene dallo sheol, il luogo dei morti che non hanno più parte in questa vita; il luogo che per definizione era regno del silenzio, dove ulteriori dialoghi non sono possibili. Ciò che c’era da dire era già stato detto, ciò che era possibile fare era già stato fatto. E ciò che fu omesso, omesso rimarrà.
Il povero Lazzaro (nome che significa «Dio aiuta») inascoltato in vita dal ricco, nemmeno dopo la morte ha parola eppure lo intuiamo finalmente accolto. Gode di uno spazio che non gli fu riservato in vita. Il ricco, nemmeno da morto, si spoglia delle sue convinzioni. Sembra perfino credere che anche dopo la morte ci possano essere schiavi o servitori che possano obbedire ai suoi desideri, fossero anche i più essenziali e giusti come una goccia d’acqua mentre sei arso di sete. Improvvisamene un pensiero oltre se stesso… verso i suoi cinque fratelli. Ma il fossato scavato dalla sua indifferenza è tale che a nulla servono le lacrime del coccodrillo.
Certamente il racconto del ricco e del povero Lazzaro vuole ammonirci ulteriormente quanto al cattivo uso delle ricchezze, ma nell’invito ad ascoltare Mosé e i profeti c’è un invito a considerare seriamente, pure ai nostri giorni, le loro parole, fossero anche invettive. Luca sembra suggerirci con questo racconto che non basta credere in Gesù per dirci salvati. Il risorto da morte, dalla morte tornò anche per aprire le menti dei discepoli (di Emmaus) alla comprensione delle Scritture, cominciando da Mosé e da tutti i profeti. E la nostra vita, dietro a Gesù Cristo, altro non dovrebbe essere che il nostro modo di vivere e mettere in pratica quanto sta già scritto. Le Scritture attendono sempre un compimento. Gesù ci ha mostrato che è possibile compierle. Se ci diciamo suoi discepoli, non abbiamo altro che seguirlo in questa chiamata a compiere le Scritture. L’ascolto di Dio inizia dalle Scritture e continua sulla porta di casa, per le strade dove viviamo.
O Dio, che ami l’innocenza
e la ridoni a chi l’ha perduta,
volgi verso di te i nostri cuori
perché, animati dal tuo Spirito,
possiamo rimanere saldi nella fede
e operosi nella carità fraterna.
(dalla liturgia)
Ketil Bjørnstad & David Darling, Fantasia, Epigraphs
Dal Vangelo secondo Luca (16,19-31)
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Signore ti rendo grazie
di avermi, col tuo amore,
tolto tutte le ricchezze della terra,
di vestirmi e di nutrirmi
coi benefici altrui,
perché se il mio cuore
ancora si rallegra di qualcosa
che gli sia proprio,
è necessario che anche ciò
mi divenga straniero.
Signore, ti ringrazio
di avermi tolto la potenza del mio cuore
e di servirmi, con il cuore altrui.
(Mechthild di Magdeburgo)
“Beato e benedetto l’uomo che confida e ripone la sua fiducia nel Signore” ancor più che nell’uomo perché Lui non delude. Che il Vangelo sia la nostra sapienza e orienti le nostre azioni affinché apriamo occhi e orecchi, mente e cuore, ai bisogni dell’altro e ci induca a dare a chiunque ci chiede “Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro”.
Che grande insegnamento!!!
Forse Lazzaro sarebbe stato visto e degnato di uno sguardo, di un gesto di carità fraterna…
Mi domando se sia un caso che il nome del protagonista di questa parabola sia Lazzaro, come l’amico resuscitato, o Gesù l’avrà usato per un motivo preciso?
Data l’ultima risposta di Abramo, sembra che i contemporanei di Gesù avessero già rimosso quel segno così grande.
E forse vale anche per noi oggi?
“I care” – ho a cuore, mi importa dell’altro – fu don Milani ad adottare questo motto, scritto all’ ingresso della scuola di Barbina. “Prendersi cura del prossimo” è un invito che presuppone la relazionalità, significa non essere centrati su se stessi.
“Signore, non voglio essere come il ricco Epulone…dammi orecchie per ascoltare il grido del sofferente…dammi occhi per vedere la necessità del bisognoso…dammi la sensibilità per riconoscere queste realtà umane e per saper condividere con amore ciò che io posso offrire.”
L’esperienza mi ha insegnato che le esperienze che non si sono fatte in prima persona, che non si sono provate sulla propria pelle, purtroppo o per fortuna, difficilmente si riesce a capirle davvero.
Questo non perché si sia necessariamente cattivi o disinteressati, ma perché l’esperienza diretta inevitabilmente porta una consapevolezza del tutto differente. In quel grande caos in cui ci ritroviamo da un anno a questa parte, al di là delle fatiche e delle paure, c’è di “buono” quantomeno il fatto che ci siamo ritrovati tutti più simili. Le distanze e le differenze si sono MOLTO attenuate rendendoci tutti un po’ più “poveri lazzari”. Naturalmente chi più, chi meno… Ma credo -e spero di tutto cuore- che questa occasione che abbiamo per resettarci davvero INSIEME non vada sprecata, da noi comuni mortali in primis!