Luminosa fragilità
Presentazione del Signore
(Eb 2,14-18 / Sal 23 / Lc 2,22-40)
È l’evangelista Luca a raccontarci di questa festa. Lo dico perché sappiamo ormai quanto sia una costante del Vangelo di Luca, di radunare i suoi lettori nei pressi del Tempio, per seguire e adempiere riti, secondo tradizioni e consuetudini, per scoprire poi che ben oltre i riti, possono ora accadere cose nuove. Bisogna vegliare che i riti non diventino solo funzioni e i ministri semplici funzionari. Occorre mantenere stupore e meraviglia nel ripetersi dei riti religiosi… e dei giorni.
Dobbiamo, per questo giorno, ritornare ai racconti natalizi, dimenticando per un attimo quel Gesù adulto, della sua vita pubblica di segni e di insegnamenti. Oggi è ancora un piccolo bambino che non parla. Anzi! Parla senza dire una parola. Parla dal basso della sua fragilità di ultimo arrivato, dall’alto della Vita che si rinnova in ogni figlio dell’Uomo che nasce sulla terra.
Otto giorni dopo la nascita del figlio maschio era prevista la circoncisione e, dopo altri trentatre giorni (che raddoppiavano nel caso fosse nata una bambina), la donna doveva purificarsi tramite un sacrificio al tempio, un agnello per i più ricchi o una coppia di colombi per i più poveri. Si legge nel libro del Levitico: Il sacerdote compirà il rito espiatorio per lei ed ella sarà pura (Lv 12,8). A quest’ultima pratica rituale, che riguardava solo la madre, se ne poteva affiancare anche una ulteriore legata al riscatto del figlio primogenito. «Il Signore disse a Mosè: «Consacrami ogni essere che esce per primo dal seno materno tra gli Israeliti: ogni primogenito di uomini o di animali appartiene a me» (Es 13). Rifiutando i sacrifici umani, il credente israelita, avvalendosi del racconto del mancato sacrificio di Isacco (Gen 22), poteva dimostrare la priorità di Dio rispetto ai propri figli, anche solo versando al tempio una somma di cinque sicli di argento (55 grammi circa) a mo’ di riscatto di colui che doveva essere offerto al Signore.
Troppa potenza anche attorno al Tempio. È rischio umano, da cui neppure la religione è esente. Basta definire un rito da compiere, una Legge da obbedire. Eppure nel Tempio sono presenti i più fragili: il Bambino appena nato, due genitori ancora sorpresi di come stiano andando per loro le cose, e ora sorpresi da quella profezia sulle labbra del vecchio Simeone, debole per essere ancora utile al mondo della produzione e dell’efficienza. Il Tempio, espressione della religione, è una questione complessa, la sua ritualità è complessa, al limite della pesantezza eppure quel Tempio serve comunque all’uomo. Serve perché l’uomo trovi del tempo – inutile e gratuito – per ascoltare, per interrogarsi attorno alla Vita: nel suo nascere, nel tempo in cui la si custodisce, nel tempo in cui giunge al suo tramonto.
Il Tempio, la religione con tutti i suoi riti danno appuntamento anche a Maria e a Giuseppe con il loro figlio appena nato. Si ricorda che l’uomo, nella sua fragilità, è il vero Tempio della Vita ed è precisamente questa fragilità a renderla preziosa, un vero tesoro, da proteggere, da custodire. Eccoci dunque alle porte del Tempio di Gerusalemme, accanto a Maria e Giuseppe. Ci vengono incontro i due anziani Simeone e Anna.
In perfetto stile lucano, osservati riti e prescrizione, si torna a casa, in Galilea, a Nazareth. Si torna alla vita quotidiana, per la via del silenzio, un silenzio di lunghi anni che perfino la Parola evangelica sentirà di dover rispettare. Si attesta però la crescita, come di un chicco di grano caduto e nascosto nell’umile terra.
Christe, lux mundi, qui sequitur te
habebit lumen vitæ, lumen vitæ.
Cristo, Luce del mondo, colui che ti segue
avrà la Luce della Vita.
Sopra un paese di ombre di morte,
sopra Israele perduto e sgomento
ora una luce si posa soave.
Un tempo voi eravate la tenebra
ma nel Signore ora siete la luce,
vivete dunque da figli di luce,
frutti di luce ovunque operate.
E dunque squarcia con forza le tenebre
la grande luce che splende per sempre!
Dal Vangelo secondo Luca (2,22-40)
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Alle prime luci
come la vita si affida al giorno,
io mi affido alla Tua tenerezza.
Alle prime luce
entra nel mio cuore che ti attende,
come un raggio di luce,
come uno sguardo.
Alle prime luci
rendimi fedele nel poco
per mantenermi, oggi,
fedele nel molto.
Alle prime luci
rimani al mio fianco.
Che non sia un giorno sterile,
ma consumato.
Correggi la mia vita interiore, Signore!
Aiutami a vederTi e ad accoglierTi nelle mie braccia durante la mia giornata. Ricordami che Sei nelle persone che incontro e nelle loro fragilità; e Sei anche in me nelle mie fragilità.
Siamo chiamati ad essere e fare luce non per o su noi stessi, ma per dare gloria a Colui da cui attingiamo la nostra, seppur piccola e fragile, luce. Siamo tante fiammelle accese da un Unico e Grande Cero che spero non smetta mai di ardere e far ardere i nostri cuori.
Parola ed Eucarestia: nutrimento delle nostre anime, Luce nelle nostre vite a volte troppo facilmente ingrigite, sostegno lungo il nostro cammino e grande dono gratuito per l’umanità intera.
Bella anche la presenza di Simeone ed Anna: attendono pazientemente la Luce che deve venire con perseveranza e fede. Ci insegnano che non è il tutto e subito che deve prevalere nella nostra vita, ma le cose belle sono frutto di attesa paziente: l’alba di ogni giorno, la nascita di un bimbo, il traguardo dello studio ecc… Oggi una preghiera per noi, consacrate nella vita religiosa, perché la nostra fedeltà sia fedele, paziente e perseverante nel nome di Gesù.
Trovo bellissimo ciò su cui mi fai rifettere. Il tempo è “breve”. Non devo sprecarlo. Dovrei ricordarmi che Lui è sempre, in ogni momento, con me: mentre preparo il caffé a mio marito, o il pranzo e la cena per i miei tre nipotini, o mentre aspetto il mio turno rispettando il distanziamento per entrare nel negozio, sui pullman per via del covid, senza sbuffare ma sapendo che Lui mi fa’ sempre compagnia. Dio, Gesù, è il mio compagno di viaggio durante il corso, lungo o breve, della mia vita terrena, per poi guardarmi in faccia nella vera vita, cioè la vita eterna. Ecco perché ogni gesto della mia giornata acquista un senso, se lo vivo così. E non ho paura dell’al di là, perché Lo vedrò finalmente, lo incontrerò. Questo è il mio più grande desiderio, che mi permette anche di vivere senza affanno qui in questa vita terrena.