Ma più su che accade?
Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (1Sam 1,20-22.24-28 / Sal 83 / 1Gv 3,1-2.21-24 / Lc 2,41-52)
Esco dal silenzio del Natale, piano piano.
Chissà – mi chiedo – se i numerosissimi amici che mi hanno scritto messaggi natalizi comprenderanno che non riesco a rispondere a tutti. Vorrei tanto, sia chiaro. Tuttavia non potrei sopportare di aver passato questo giorno davanti allo schermo del cellulare. È già cosa assai frequente per molti e molto spesso. Non sapranno, però, i miei amici che per ogni messaggio ricevuto, sono partiti da qui, dalla mia casa, pensieri di bene indirizzati proprio a ciascuno di loro. Affido più volentieri la trasmissione di queste benedizioni ad altri canali, ad altri mezzi. È materia della Spirito. È suo compito far giungere, portare a compimento. Comprenderanno? Me lo auguro. Lo spero. Lo credo. Lo chiedo pure.
Anche questo Natale ha qualcosa di insolito, di inedito. Evidentemente ogni anno il Natale ha con sé qualcosa di differente o di nuovo. Per qualcuno tutto questo potrebbe essere perfino fonte di insicurezza, di angoscia: vedere mutare tradizioni, modi di festeggiare o di celebrare e, dunque, di vivere. Personalmente trovo in tutto questo un grande segno: che siamo in cammino. Un grande pellegrinaggio. Un esodo che ci porta sempre ad uscire da paure come da sicurezze. Nella notte di Natale ho allestito un piccolo presepe in casa e finalmente, in pieno giorno, ho addobbato un albero di Natale, questo segno che reputo così pieno di speranza. Attorno a me sempre il medesimo silenzio.
Esco dal silenzio del Natale chiamato da note meravigliose, intense, profonde. Alle parole di papa Francesco seguono le note del tradizionale concerto di Natale trasmesso dalla Basilica superiore di Assisi. Già il luogo e poi la musica sono per me una calamita naturale. Tra i brani del concerto proprio questo Adagio tratto dall’opera Serse composta nel 1738 da G.F. Hændel. È un violoncello che racconta, descrive, sussurra, canta e aleggia: le mani che magistralmente lo suonano sono quelle di Stjepan Hauser, croato, classe 1986.
Natale è pure questa contemplazione che dal silenzio sfocia in musica. E se qui in terra succedono queste cose e a noi è fatto dono di udire e di vedere, più su, in alto che cosa succede? C’è davvero da perdersi, anche davanti ad un camino acceso, intenti a seguire la danza del fuoco, le sue lingue, la sua luce, il suo calore. E il tempo passa, i giorni passano e più non ti trovano… eppure sei lì, nello stesso posto, sulla stessa terra e stai lì ad occuparti delle cose del Padre.
G.F. Hændel, Adagio (dal Serse) – Hauser, violoncello.
Nell’opera, l’aria è introdotta da un recitativo che dice:
«Tuoni, lampi, e procelle non v’oltraggino mai la cara pace».
Dio dei nostri padri, fa’ che tutti riconoscano
come Tu solo sei la fonte di ogni vita,
che i figli non sono di chi genera
poiché vengono da te, Signore:
perciò siano tutti degni di questa tua stima
che fai dell’uomo e della donna
un padre e una madre.
Amen.
Dal Vangelo secondo Luca (2,41-52)
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Quanto belli sono questi genitori, perfino quando perdono il figlio dodicenne! Stavano soltanto imparando ad essere genitori: niente corsi, niente preparazioni. Non denunciateli. Non accusateli di abbandono di minore. Essi non sono figli di questo tempo. Solo condividono la stessa avventura di provare ad essere presenti alla vita. Il primo figlio, non sai mai come prenderlo, dicono. E si vede che l’ansia cresce a dismisura non appena capita qualcosa che non ti aspettavi.
Nonostante quel che è capitato loro quando il figlio era dodicenne, sono belli questi genitori: l’unico rimprovero che si sarebbe potuto fare loro è che avevano forse troppa fiducia nei compagni di viaggio, in quella carovana dove tutti si prendono cura gli uni degli altri, figli compresi. E se fosse ancora questo l’esempio? Perché, certo, un figlio è quasi probabile che lo perdi di vista. Fiducia l’avevano già riposta in Dio. Nulla era per loro riporla, ora, anche negli uomini. E così, si misero a cercarlo proprio tra i parenti e i conoscenti. E furono sorpresi di non trovarlo.
Per quanto fossero larghi e capienti i legami di parentela, lo trovarono già altrove, fuori dal clan e fuori dal cerchio famigliare. Lui, il Figlio, tornerà più volte in quel Tempio e sempre a discutere con scribi, farisei e dottori della Legge. E sempre Egli cercherà di sollevarli ad una visione più ampia delle cose. Occuparsi delle cose del Padre non è certo trascurare le cose della terra.
PIU NON MI BASTA
«Vedi dove metti i piedi!»
parola bambina
a inseguirmi una vita.
me ne vado
per peso d’anni
gli occhi incollati
a strisce nere d’asfalto.
Vedo dove metto i piedi.
Ma più su che accade?
Trattiene per cautela
– la parola bambina –
ma nega visioni.
Per grazia la tua voce
mi risveglia dall’asfalto
sosto a interni di case
a sbuffi di nuvole in cielo.
Cieli.
Più non mi basta
la parola bambina.
Ho sete negli occhi.
(Angelo Casati, E non avere occhi spenti)
Che bello sarebbe davvero avere tutti una fiducia così piena nei parenti, nei conoscenti e -azzardo- in tutti i componenti della famiglia umana.
Sarebbe tanto più utile per tutti se riuscissimo a togliere un po’ di terreno alla paura e privare ad essere più solleciti nella fiducia. Non necessariamente “cieca”, ma almeno “considerata”, in noi come negli altri, un po’ di fiducia in più credo davvero il migliore degli auspici per un domani migliore.