Metti giù quel sasso

Quinta domenica di Quaresima (C)

Is 43,16-21 /Sal 125 / Fil 3,8-14Gv 8,1-11

… rifiorisca nel cuore
il canto della gratitudine e della gioia.

(dall’orazione di colletta della liturgia di oggi)

Conobbero il loro Dio – Colui che libera – quando improvvisamente aprì il mare che stava davanti a loro come quando ci si trova in un vicolo cieco. Dietro di loro il faraone con tutti i suoi cavalli e cavalieri. Impossibile tornare indietro, ma impossibile pure oltrepassare quel mare. Ma Mosé, obbediente al comando di Dio, piantò il suo bastone nel mare e una strada si aprì davanti a loro. Lo conobbero proprio così: come il Dio che crea la terra ferma, che la separa dalle acque che incombono minacciose e spiana così il cammino.

Ma proprio quando sembrava di aver imparato a riconoscere i segni con i quali Dio si manifestava, ecco che lo stesso Dio sarà capace di sorprendere ancora manifestandosi come Colui che non prosciuga più il mare ma – al contrario – riempie d’acqua il deserto per trasformarlo in terra fertile. Si manifesterà così quando il popolo lamenterà l’estenuante traversata del deserto. Non sono fantasticherie né immagini inventate. È la realtà stessa a suggerire al profeta il linguaggio per parlare di Dio, per continuare a conoscerlo. Quando la pioggia cadeva dal cielo sulle alture della Galilea, l’acqua defluiva abbondante e veloce nelle gole del deserto che si trova sotto il livello del mare. Una pioggia che lava la polvere arida e fa rifiorire il deserto.

La prima lettura di questa domenica evoca in pochi versetti questa duplice manifestazione di Dio. Isaia parla del Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti. E pochi versetti è Dio stesso a dire: Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. 

Tra queste due esperienze così diverse si gioca l’esperienza della fede: ora non basterà più fare memoria delle opere di Dio, ma servirà anche educare lo sguardo a riconoscere le cose nuove che Dio stava facendo. Non è detto dunque che Dio intervenga sempre aprendo una strada tra le acque minacciose. Egli potrà intervenire in modo del tutto nuovo rendendo fertile la terra proprio mandando l’acqua. 

Se ora volessimo parlare di quella dimensione che costituisce l’essere umano – e cioè la sua capacità di fare memoria, di ricordare le cose che accadono – potremmo accennare al fatto che questo lavoro prezioso lo abbiamo volentieri subappaltato alle più moderne tecnologie e non è un caso che parliamo di «memoria» quando parliamo della capacità di stoccaggio di un computer o di un server. Ma fare memoria non significa solo conservare dati o sapere a cosa corrispondono certe date sul calendario come facciamo per compleanni, feste o per fatti spiacevoli. E avere fede non sarà più soltanto ricordare le grandi opere di Dio o ricordare comandamenti da rispettare. Avere fede sarà anche una questione di aprirsi al futuro, alla novità di Dio. È la speranza? Certo è che è difficile per l’essere umano guardare al futuro con speranza ed il passato improvvisamente appare come qualcosa di stranamente e illusoriamente rassicurante. La fede chiede la fiducia in Colui che conduce il nostro cammino, colui che dai tempi di Abramo si è impegnato ad indicare la strada verso la terra che Dio ha promesso di donare a coloro che si incamminano. 

Ancora una breve considerazione quanto alla memoria dell’uomo, prima di procede alla meditazione del Vangelo di quest’oggi. Dobbiamo pure riconoscere che è difficile purificare la memoria da scorie di ricordi nocivi. Difficile riconoscere e custodire nel cuore ricordi delle meraviglie operate da Dio in nostro favore. Sembra invece qualcosa di irrimediabile il ricordare piuttosto eventi negativi. È forse questo ricordo che distilla la paura nel futuro, la rassegnazione e l’incredulità davanti alla promessa di un mondo rinnovato?

«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» Questo è l’invito che risuona forte nelle letture di oggi. E il Vangelo rende visibile questa cosa nuova che Gesù è venuto a fare in mezzo a noi. È una novità quell’invito e quel gesto che ne conseguì a lasciar cadere in terra le pietre che servivano a lapidare donne adultere. La legge la ricordavano bene, di memoria ne avevano per sapere cosa fare. Ma la questione è più radicale e non tocca solo la memoria. È davvero una legge giusta quella che ci autorizzerebbe a costringere il peccatore in un vicolo cieco per poi eliminarlo? Gesù non è venuto ad abolire la Legge ma con quel suo atteggiamento nuovo davanti alla donna peccatrice, egli interroga la coscienza di tutti i presenti. Non è solo dunque questione di ricordare ciò che Mosé ha ordinato, ma è questione di salvare quella vita precisa che si vorrebbe eliminare semplicemente perché siamo solo capaci di etichettare negativamente coloro che non sappiamo ancora come poter considerare in modo nuovo. Salvando la vita di quella donna, in realtà Gesù, sta salvando tutti coloro che si sarebbero macchiati di un peccato altrettanto grave, quel peccato che continua a far bere alla madre terra il sangue dei figli che proprio dalla terra sono tratti. Cosa avrà scritto Gesù chinandosi a terra? Nessuno lo saprà mai ma amo pensare che Egli stava annunciando alla terra la buona nuova, quella cosa nuova che di lì a poco Egli stava per far accadere. Scriviamo pure su lapidi di pietra o di metallo le nostre leggi, ma ora Gesù ha scritto sulla terra e appoggiato sul cuore dei suoi uditori questo nuovo comandamento della riconciliazione. 

Solo Dio poteva perdonare i peccati. Ma dove andare a chiedergli perdono? «Al tempio, in chiesa» ha risposto questa mattina una bambina durante la celebrazione. Il problema è che al tempio non c’è accesso per il peccatore. E dunque eccoci nel corto circuito per eccellenza : un cuore che mendica il perdono da Dio e una creatura che teme il giudizio dei suoi simili tanto. Non resta che rannicchiarsi per cercare di proteggersi dai colpi della sassaiola che si sarebbe scatenata di lì a poco, non appena uno, uno solo, avesse osato scagliare la prima pietra. É proprio Gesù che ci toglie da questo corto circuito. Solo Lui poteva insegnarci questa cosa nuova. Tra pochi giorni faremo nuovamente memoria di quanto gli costò questa cosa nuova che Egli è venuto a fare sulla terra. Insegnare agli uomini il perdono, apprendo questa strada nuova nel deserto delle nostre relazioni che rischiano di rendere la vita sterile se non sono irrigate dalla misericordia che è piovuta dal cielo.

Nel tempo di Avvento preghiamo spesso con le parole della preghiera dei poveri del Signore. Diciamo: «Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia» (Is 45,8). Tra pochi giorni, nel corso della settimana santa, ricorderemo il pianto di Gesù alla vista di Gerusalemme. Le sue lacrime sono la pioggia che può aprire la terra alla salvezza. È la preghiera stessa di Dio che supplica l’uomo di aprirsi a questa novità: l’uomo è capace di perdono. A Gesù non rimarrà che mettersi per ultimo nel numero di coloro che rinunceranno a condannare la peccatrice, ora già perdonata. La donna priva di parola, è chiamata ad un dialogo tanto breve quanto efficace: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». 

Quel «neanch’io ti condanno» è riconoscimento del gesto di misericordia compiuto da coloro che – forti della loro memoria – erano pronti alla sommaria esecuzione. Fare misericordia è anzitutto cessare di fare il male. Andarsene per un’altra strada, tenendo lo sguardo fisso su Gesù Cristo che, risorto da morte, ci precede e con la sua Parola ci ridona la vita. «Metti giù quel sasso!» è preghiera di madri e di padri intimoriti dal fatto che il figlio possa imparare a scagliarlo anche solo per una volta. E quanto più è preghiera di Dio che chiede ai suoi figli di spezzare la catena della violenza.

Dal Vangelo secondo Giovanni
(8,1-11)

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Benedici, o Signore, il tuo popolo,
che attende il dono della tua misericordia,
e porta a compimento i desideri 
che tu stesso hai posto nel suo cuore.

(benedizione sul popolo della liturgia) 

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