Nascerai o tornerai? Fammi capire…
Losanna (CH) église du Redempteur, particolare del presbiterio
I domenica di Avvento (A)
(Is 2,1-5 / Sal 121 / Rm 13,11-14 / Mt 24,37-44)
Ci sono cose della vita che accadono una sola volta: venire al mondo per esempio. Nascere insomma. Non è possibile nascere una seconda volta. Non è possibile rientrare nel grembo della madre una volta venuti alla luce. E dunque, vado dritto al cuore della questione: se Gesù è nato a Betlemme duemilaventidue anni or sono, perché mai vivere questo tempo che noi chiamiamo Avvento come se dovessimo attendere che Egli nasca nuovamente? È nato. Una volta per tutte. E ugualmente dicasi della (sua) morte. È l’altra cosa che ci capita una sola volta nella carne.
E cos’è allora questo tempo che ci porterà a celebrare il Natale? Forse il semplice ricordo di una nascita tra tante? Si chiama Avvento e ci fa guardare avanti riascoltando parole pronunciate nel passato. Un ascolto rivolto a parole d’altri tempi per vivere nell’attesa di qualcosa che ancora deve accadere: e com’è possibile? Eppure è proprio questo che ci apprestiamo a vivere. Per venti giorni circa, giorno più giorno meno, riascolteremo le più belle parole dei profeti, la domenica come nei giorni ordinari della settimana.
Le ascolteremo nuovamente per non dimenticarle. Ma le riascolteremo per comprendere che molte di quelle promesse si sono avverate, si sono compiute. Mi vengono spesso in mente le parole di D. Bonhoeffer quando diceva che Dio sembra non esaudire le nostre preghiere perché Egli è piuttosto impegnato a realizzare e a mantenere sempre le sue promesse.
La nascita di Gesù bambino a Betlemme dal grembo di una giovane vergine già promessa sposa di un uomo della casa di Davide, Giuseppe, fu anzitutto una parola preannunciata dai profeti. I vangeli poi, nel raccontarci i fatti natalizi, non mancano di fare riferimenti a queste promesse profetiche. Si legge spesso nei Vangeli: «Perché così sta scritto...» o «perché si compisse la Scrittura».
La nascita di Gesù nella carne è già avvenuta ma ciò che più dovrebbe sorprenderci è che tutto è avvenuto nella forma di un compimento, come la realizzazione di ciò che fu detto e scritto. Questo è il tempo dell’Avvento: è tempo di rileggere le profezie, di ascoltare le promesse di Dio. Andare a Betlemme per trovare quel bambino avvolto in fasce fu il segno donato per gli occhi semmai l’orecchio fossero ancora lento a credere e il cuore duro a comprendere.
Quando Dio si concede ai nostri occhi, a quell’irrefrenabile umano bisogno di vedere per credere, è per dare un segno visibile di ciò che nella fede ascoltiamo. La fede nasce dall’ascolto. L’ascolto si fa paziente attesa. Dio mantiene le promesse udite con i nostri orecchi e gli occhi trovano il segno che testimonia il compimento. Anche quel «È compiuto» dall’alto della croce è da leggersi in quest’ottica. Gesù durante tutta la sua esistenza terrena è stato ed ha voluto essere il segno visibile di queste promesse di Dio mantenute, realizzate. Egli ha vissuto in mezzo a noi come realizzatore delle promesse di Dio, per dare pieno compimento a quanto Dio «aveva promesso per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo». (Lc 1,70)
Un tempo dunque per affinare l’ascolto, per udire le promesse – quelle di Dio ovviamente che sono sempre migliori delle nostre! – e per assicurarci della sua fedeltà, della sua volontà. Quanto ha detto Egli lo ha compiuto, lo ha realizzato. Avvento è anzitutto tempo di ascolto vigile e attento, tempo pensato perché qualcuno più avanti negli anni legga ad alta voce per chi è più giovane quelle parole scritte nella Scrittura, nella Bibbia. Il poeta francese Christian Bobin – morto proprio in questi giorni – ha scritto: «All’inizio non si legge. Al sorgere della vita, all’aurora degli occhi. Si divora la vita con la bocca, con le mani, ma non ci si sporca ancora gli occhi di inchiostro. Agli inizi della vita, alle sorgenti primarie, ai ruscelli dell’infanzia non si legge, non si ha l’idea di leggere, di chiudere dietro di sé la pagina di un libro, la porta di una frase. No, all’inizio è più semplice» (C. Bobin, Mille candele danzanti)
Qualcuno – giustamente – potrebbe obiettare che non tutte le parole scritte, non tutte le profezie si sono avverate o meglio, non tutte le promesse si sono compiute. E dunque? Forse che Dio s’è dimenticato delle sue promesse? Ha ritrattato la sua fedeltà? Facciamo un esempio per essere più chiari: prendiamo anche solo le parole della prima lettura di questa prima domenica di Avvento. Il profeta Isaia dice:
Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,
delle loro lance faranno falci;
una nazione non alzerà più la spada
contro un’altra nazione,
non impareranno più l’arte della guerra.
(Is 2,4)
Ecco proprio una parola che tarda ad avverarsi! Ecco una parola che potrebbe servire ai più scettici per aumentare le ragioni per cui non credere e non sperare. Si comprende chiaramente che non tutte le promesse si sono ancora realizzate. Laddove gli uomini hanno offerto la loro piena disponibilità perché si compia in essi ciò che Dio aveva detto, certamente queste parole si sono avverate. Maria e Giuseppe, Elisabetta e infine pure Zaccaria, i pastori ed anche i Magi, così come il vecchio Simeone ed Anna, per citare i personaggi dei racconti evangelici di Natale, sono esempi bellissimi.
Ma è soprattutto la vita umanissima di Gesù di Nazareth a mostrarci quanto per il compimento di certe promesse di Dio serve un totale e fattivo impegno umano. E Dio ha deciso liberamente di farsi uomo proprio per mostrare che Egli si compiace di questo aiuto che viene dall’uomo quando si riconosce Figlio del Padre.
È dunque per questo che festeggeremo il Natale: quel bambino nato a Betlemme noi lo riconosciamo quale segno inconfondibile di compimento. Per questo ci siamo decisi, da credenti in Lui, ad ascoltarne le parole. Quel Figlio – a dire il vero – parla come suo Padre… e così, Lui pure ha fatto agli uomini delle promesse. Ci ha promesso che tornerà… e noi viviamo nell’attesa della sua venuta. Il suo ritorno – lo crediamo – darà compimento a quanto ancora appare incompiuto e cancellerà le ingiustizie di ogni sorta che ancora regnano tra noi.
Avvento: lo intendo così. Non la preparazione al Natale. Il calendario liturgico concentra i preparativi del Natale nei giorni della novena. In quei giorni precisamente ascoltiamo gli avvenimenti più prossimi alla nascita di Gesù. Ma per il momento è tempo di riascoltare le antiche promesse invocando a gran voce questo beato ritorno del Signore: «Marana-thà! Vieni, Signore Gesù».
Vieni dunque a ristabilire la pace, a riportare giustizia dove noi abbiamo creato squilibri e disuguaglianze. Come Tu hai avuto bisogno dell’uomo per realizzare le Tue promesse, ora noi confessiamo di aver più estremo bisogno di Te perché senza di Te non possiamo fare nulla! Se sapremo attenderti, se sapremo ascoltare e non dimenticare le tue promesse, allora il regno di Dio sarà già in mezzo a noi e Tu, Signore, sarai finalmente tutto in tutti. Il tuo ritorno nelle nostre vite farà nascere il Figlio di Dio che noi già siamo pur senza vederlo.
Dal Vangelo secondo Matteo (24,37-44)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Al mattino, una miniera
si spalanca nella luce del cielo
e se guardo su, l’aperto
mi conduce verso una sponda
di eccelse volute. C’è pace allora
dentro questa carne. Bene si cuce
ciò che si vede con la parte mancante. […]
(Mariangela Gualtieri, Le giovani parole)
Vieni, Signore
David Maria Turoldo
“Vieni di notte,
ma nel nostro cuore è sempre notte:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni in silenzio,
noi non sappiamo più cosa dirci:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni in solitudine,
ma ognuno di noi è sempre più solo:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni, figlio della pace,
noi ignoriamo cosa sia la pace:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni a liberarci,
noi siamo sempre più schiavi:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni a consolarci,
noi siamo sempre più tristi:
e, dunque, vieni sempre, Signore.
Vieni a cercarci,
noi siamo sempre più perduti:
e, dunque, vieni sempre, Signore,
Vieni, Tu che ci ami:
nessuno è in comunione col fratello
se prima non è con Te, o Signore.
Noi siamo lontani, smarriti,
né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo:
vieni, Signore,
vieni sempre, Signore”.
Verrai sempre come carezza di madre, abbraccio di padre o vagito di neonato…
Apri Signore i nostri orecchi per ascoltare sempre più attentamente la Tua Parola, spalanca le porte del nostro cuore perché facciano entrare il Tuo Amore, tieni aperti i nostri occhi per vedere i segni della Tua presenza nei nostri giorni ma soprattutto ridesta e rinnova ogni volta il desiderio di Te, perché sia vivo come sei Tu.
Buon periodo di avvento a te Don Stefano e a tutti
Le fotografie che accompagnano la tua riflessione di oggi mi portano a cantare (e/o pregare?) questo canone di Taizé:
“Questa notte non è più notte davanti a Te. Il buio come luce risplende”.
La luce non è mai fine a sé stessa.
Anzi, senza il buio non splenderebbe.
Ma, una volta varcato il buio e le nostri notte oscure, rimane sempre con noi e dentro di noi…
Per essere luce a nostra volta…
È interessante considerare il Tempo dell’Avvento come un tempo di “concimazione della fede”. Un po’ come le piante del giardino, che dopo l’ultima potatura prima delle gelate, il buon giardiniere concima abbondantemente perché gettino piú rigogliose a primavera. Cosí anche noi, nutrendoci della speranza che viene dal ripasso delle promesse fatte da Dio, possiamo giungere alla Pasqua pronti ad “esplodere di fede” nella vita a dispetto delle prove e delle sfide del mondo contemporaneo, così come le piante “esplodono di boccioli e gemme” a dispetto del rischio di ultime gelate improvvise. Un po’ più ricchi di quella sana fiducia nella provvidenza per contagiare un po’ il mondo intorno. Rendendo così, a pezzo a pezzo un po’ meno arido il “terreno sociale” attorno a noi. Non ci avevo mai pensato prima… Grazie per avermi condotta a queste considerazioni Don Stefano! Buona giornata e buon cammino a te e a tutti!