Noi, il luogo della Sua Pasqua
Mercoledì santo
(Is 50,4-9 / Sal 68 / Mt 26,14-25)
Le cene degli ultimi giorni della sua vita terrena furono particolarmente intense. A dire il vero, ogni volta che si stava a tavola con Lui c’era un’intensità di comunione tale che la misericordia la si gustava a bocconi. Durante la cena di cui abbiamo meditato nel lunedì santo – quella in casa di Marta, Maria e Lazzaro – venne onorato con tutto quell’olio di puro nardo.
La cena prima della Pasqua ebraica che stavano preparando – quella che poi diventò la sua ultima cena – fu una cena a dir poco amara. Diede una notizia sconvolgente, di quelle che ti tolgono l’appetito: «Uno di voi mi tradirà». L’unico a cui non venne meno l’appetito fu proprio colui alle cui orecchie la notizia non suonava affatto come uno sconvolgimento. Il tradimento era già avvenuto, proprio ad opera sua. Pertanto nulla di sconvolgente ai suoi orecchi. Non poteva che continuare a mangiare come se niente fosse. Nel cuore di tutti i discepoli il dubbio di poter fare qualche cosa che possa tradire il Maestro quasi senza nemmeno rendersene conto. Ma il tradimento era già avvenuto. Ora mancava solo l’occasione propizia per consegnarlo, occasione che si sarebbe creata di lì a poco nel Getsemani.
La parola di Gesù – in questo caso l’annuncio del tradimento – non è parola di veggente che vuole dimostrare di sapere come dovranno andare le cose. È piuttosto una parola opportuna che si colloca nel mezzo del tradimento stesso. I trenta denari sono già nelle mani del traditore ma colui che è tradito non è ancora consegnato. Conoscere la verità rende liberi e quell’annuncio sconvolgente era già il segno di quella libertà che il Maestro sapeva restituire a chi era oppresso e sfiduciato. Una libertà che ora offre perfino al suo discepolo il cui tradimento è già in atto.
Lo avevano sentito altre volte esclamare «guai!», quella parola dal suono onomatopeico, che lascia intendere il lamento dispiaciuto di chi la pronuncia e lo stridore di certi comportamenti umani. Lo avevano sentito dire «guai» davanti ad intere città, ma l’ultimo gemito di dolore è per un suo discepolo che non è condannato da quel «guai» e dalle parole seguenti dette da Gesù, ma dalla sua stessa ipocrisia, che lo porta a fingere di non sapere: «Rabbi, sono forse io?»
Tra la contrattazione del prezzo del tradimento e lo svelamento del traditore, l’evangelista Matteo, colloca un piccolo dialogo tra Gesù e i suoi discepoli, una piccola missione da compiere: tutto ha il sapore di un’eterna fiducia, anche in mezzo al tradimento. «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale…».
Andata in città da un tale, un perfetto sconosciuto. Avrebbe potuto desiderare di ritornare nella casa di amici. Anche solo in quella di Marta, Maria e Lazzaro. Sicuramente avrebbe trovato la stessa ospitalità. E invece li manda dal primo che risponderà favorevolmente a quella richiesta. Andate da qualcuno che possa aprire la porta della sua casa. E dove c’è questo atteggiamento è lì che il Signore passa, lui con tutti i suoi discepoli. Un tale li accolse e aprì. Il Vangelo registra che i discepoli obbedirono a quella missione estemporanea e poterono così preparare la Pasqua. Disse «guai» su intere città e disse «guai» anche al discepolo Giuda, ma non smise mai di credere che da qualche parte, almeno un tale nella sua casa lo avrebbe accolto.
Cos’è dunque la Pasqua se non sapere che il Suo passaggio tra noi ci riguarda da vicino? Noi siamo il luogo della sua Pasqua. Come il Tempio non era più quello di pietre ma parlava del tempio del suo corpo, così la Pasqua è sentire che il Signore è presente e vive con noi. Il discepolo che Gesù amava, si inclinò sul petto di Gesù come per ascoltarne il battito vivo del cuore. Se davvero Egli è vivo come affermiamo dalla sua Pasqua, dove sento battere il cuore di Cristo? Altrimenti siamo da compatire per questa incapacità a sentire la Vita divina che pulsa in noi.
preghiera
Dal Vangelo secondo Matteo (26,14-25)
In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.
Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».
[…] Ogni uomo generato alla vita
è chiamato all’incontro con Te;
pur se debole e smarrito
è riconciliato al tuo perdono.
Fortunato chi accoglie l’invito
a diventare tuo amico e famigliare;
gusterà la gioia di una casa
dove l’amore è realtà quotidiana. […]
dal salmo 64, trascrizione di Sergio Carrarini
Ho letto da qualche parte che il tradimento di Giuda è il ritorno a quel passato che il discepolo aveva abbandonato per seguire il Maestro di Galilea.
O Signore che non ritorniamo mai sui nostri passi, ma perseveriamo ogni giorno nel guardare a te che sei il nostro Maestro e la nostra Guida.
Signore Gesù,Tu indichi un luogo dove un tale Ti sta aspettando; questo luogo potrebbe essere la mia stanza.
Signore, aiutami a farTi spazio perché Tu possa abitarmi.
Tu mi ami, non per quanto faccio per Te ma per quanto sono disposta a lasciarmi avvolgere dalla Tua presenza e del Tuo amore.
Grazie per la riflessione di oggi Don Stefano, grazie per aver messo un po’ più in luce alcuni aspetti a cui, ammetto, non avevo mai fatto troppo caso. L’attenzione alla capacità di aprirsi e di accogliere con generosità. Non è poco è non è scontato, ma è possibile e fattibile, mica solo nel vangelo, anche nella nostra quotidianità. Nell’accogliere la telefonata di un amico in crisi, cui dedicare tempo ed attezioni, come nel fare qualche chiamata per far compagnia a chi può uscire meno di noi… Anche con la pandemia, anche in zona rossa, ci sono abbracci virtuali che possono aiutare più di quanto non si creda.
Il mio pensiero corre al film di Olmi ” I 100 chiodi”…una metafora del passaggio di Gesù vicino a noi: Lui sa conoscere e valorizzare le persone che incontra trasformandole.
E, allora, lo Spirito Santo mi aiuti ad accorgermi del suo passaggio, ad accoglierlo, a laciarmi trasformare in modo da celebrare ogni giorno la Pasqua nel mio cuore e nell’incontro con gli altri.
Che il cuore di Gesù che ardeva ed arde per questa nostra umanità venga a risvegliare i nostri cuori e ad infiammarli con la Sua passione, a Pasqua così come in ogni celebrazione Eucaristica che è invito a far memoria del più grande dono d’amore. “Un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio” (Papa Francesco).
Accogliendo l’invito che rivolgi a ciascuno, senza esclusione alcuna, si possa essere raggiunti dal Tuo amore ed esserne sempre grati.