Non è altro che…?

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Data :13 Gennaio 2021

Potremmo anche oggi, meditando il brano di vangelo, tenere sullo sfondo la medesima domanda: «Che cos’è l’uomo?». Essa è molto presente in noi più di quanto pensiamo, più di quanto la mettiamo a tema. E chissà quante volte Gesù stesso si sarà interrogato davanti a quel mare di sofferenze che andava via via conoscendo. Una sconfinata navigazione tra dolori, nel suo paese e fuori dai suoi stessi confini. Come a dire che ci sono questioni che esulano e sconfinano da tutte le definizioni. E da tutti i confini geografici.

Ricordo benissimo con quali parole e con quali atteggiamenti guardavamo al virus prima che fosse in casa nostra. Era dall’altra parte del mondo. E perfino quando era ormai già a pochi chilometri, ancora credevamo che un confine disegnato su mappe geografiche potesse fermarlo. Pura teoria, frutto di inesperienza già che la materia era pressoché nuova per questa nostra generazione.

Che cos’è l’uomo, dunque? In sostanza, ogni figlio che viene alla luce, deve farsi uomo. Non basta nascere per dirsi uomini. Appena entrato nel mondo, un figlio ancora bene non sa cosa significhi «essere umano». E presto scoprirà che in sottofondo c’è sempre questa dimensione creaturale. C’è sempre un acciacco, un dolore, qualche linea di febbre, uno strano pensiero, un dubbio che ci tormenta come un demonio, un amico che muore. C’è sempre qualche patimento, in qualcuno o in molti. E ogni altrui dolore risveglia in noi il ricordo dei nostri già passati.

Il poeta Ungaretti scriveva che il dolore è un chiarirsi che si paga. L’uomo, attraverso l’esperienza del dolore e della sofferenza, scopre certe cose che non comprenderebbe altrimenti. Non c’è un pensiero o una teoria del dolore se non lo hai mai provato. Il concetto di creatura quindi si fa più chiaro attraverso il sentire dolore e conoscere la mortalità. E così siamo praticamente sempre costantemente ricondotti alla nostra fragilità, esposti a tutti i pericoli. Nonostante gli abiti, nonostante il pane, nonostante una casa… Come se l’uomo volesse spiccare il volo ma sempre ripiomba in terra. 

Veniamo al dunque: il rischio sotteso alla scoperta del dolore è quello di affermare che una cosa, una persona, la Vita stessa «non è altro che…». Questa espressione che sembra banalissima, sta segnando il nostro modo di parlare. E di conseguenza il nostro modo di vivere. Avete sentito parlare di nichilismo? Le radici di questo pensiero filosofico – che poi ha tutte le sue ricadute nella vita concreta perché dalla vita stessa proviene – si trovano proprio in quell’espressione così apparentemente ingenua o innocua.  Osservando le cose per come appaiono – parliamo di fenomeni, per usare un termine corretto –  dire che l’uomo non è altro che fatica e dolore, questo rischio preciso e immediato c’è.

Lo avrebbe potuto pensare anche Gesù davanti al numero sempre più crescente di malati e indemoniati che gli portarono davanti alla casa di Pietro non appena seppero che la suocera venne guarita con una stretta di mano che la risollevò e la mise di nuovo a servizio di coloro che stavano nella casa.  Cresce il numero dei bisognosi. Da allora e ancora oggi. 

Aumenta la consapevolezza della fragilità, si spande come una macchia d’olio. In tutto questo, di tanto in tanto Gesù si ritirava. Non per isolarsi. Non per non farsi trovare. Al contrario. Proprio perché non trovandolo potessero cercarlo ancor di più. Come fosse un gioco di bambini quando esplodono di gioia per averti trovato. Al cuore del brano di vangelo che oggi meditiamo, attorniato fisicamente da malati e indemoniati, da folle che lo pressano, c’è un versetto che pare avere la funzione di una camera d’aria, di un cuscinetto, un’intercapedine: «Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava». Lasciate perdere il mattino presto, lasciate perdere il buio e il deserto. Si alzò, uscì, pregava. 

Pregava, potremmo dire, contro ogni forma di nichilismo. Contro ogni tentazione di dire che l’uomo è solo quello che appare. Quella domanda: «Che cos’è l’uomo perché te ne curi, un figlio d’uomo perché Tu te ne dia pensiero?» (salmo 8) potrebbe anche suonare come una richiesta di non stare a perdersi con noi, per così poco. Non è niente, diciamo. E poi finiamo per lamentare che nessuno ci guarda! C’è un avverbio nel salmo 8 che dona un tono nuovo all’esistenza. Proprio a partire dalla preghiera, quell’intercapedine in mezzo a tanta fatica, a tanti problemi. «Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli…»

Eppure… eppure… ci dobbiamo tornare su questo avverbio. È l’avverbio delle grandi scoperte. Contro ogni tentazione di ridurre a niente, di non dare peso, di non considerare questo avverbio che invece dona all’uomo e all’esistenza la sua giusta dimensione. Sarà un bel pasticcio, sarà fatica e dolore, eppure…

Anche noi siamo malati e mendicanti
anche noi ti cerchiamo sempre
poiché nessuno è mai sicuro di conoscerti,
di averti incontrato:
anche se tu sei vicino, noi siamo sempre lontani;
vieni pure Tu a cercarci, Signore,
e che ogni giorno sia sempre
una nuova scoperta di Te.
Amen.

Dal Vangelo secondo Marco (1,29-39)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui, si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Pregare non è dire preghiere:
pregare è rotolare
nel buio
della tua luce
e lasciarmi raccogliere,
e lasciarmi parlare,
e lasciarmi tacere
da Te.
Pregare sei Tu che preghi,
Tu che respiri,
Tu che mi ami;
ed io mi lascio amare da Te.
Pregare è un prato d’erba
e Tu ci passi sopra.

(Adriana Zarri, tratto da “Tu” Quasi preghiere)


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Piccoli Pensieri (4)

Emanuela

Ho bisogno di una pausa da tutto ciò! Quante volte me lo sono detto, soprattutto davanti ai momenti negativi.
Anche Gesù, nella sua umanità, ha avuto bisogno di una pausa, e l’ha trovata nella preghiera.
Ecco l’insegnamento del vangelo di oggi per me: una pausa non è la fuga dai problemi ma il momento per fermarsi a pregare.
E se proprio non ci riesco, come mi capita quando mi sembra di essere troppo stanca, mi affiderò Lui come i discepoli: Signore, insegnami a pregare.

13 Gennaio 2021
Pat

Tanti anni fa, distesa sull’erba, annichilita dal dolore, dalla certezza di non poter alzarmi da sola, con la domanda “che cosa sarà di me?”, la paura x il futuro… il calore del sole su di me come una carezza, e la preghiera. Non la solita sfilza di pater noster e ave maria, ma quell’indimenticabile colloquio con il mio creatore a chiedergli “perché mi hai fatto questo? Che cosa ci faccio io qui adesso? A che cosa servo?” Non ricordo la risposta. Ricordo solo di aver pensato distintamente e per la prima volta con piena consapevolezza “sia fatta la tua volontà”.

13 Gennaio 2021

Hai proprio ragione Don Stefano!
Fa freddo eppure possiamo ripescare quei bei maglioni che da anni non usavamo. Siamo fermi a casa, epoure possiamo godere dello splendido scenario delle montagne innevate, preziosa risorsa per la primavera. Il lavoro è fermo, eppure c’è tempo per studiare e migliorarsi. È un tempo difficile, eppure non tutto è perduto!

13 Gennaio 2021
Savina

Opporsi al nichilismo si può. Si può dare sempre nelle vicende umane una chiave di lettura diversa.
“Ognuno è solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole, ed è subito sera” dice il poeta raccontando la condizione umana che non si può eludere.
Ma il raggio di sole apre anche al sorriso, alla Speranza, che sempre viene in soccorso nelle nostre fatiche.
Penso con tristezza all’umanità che che non riesce ad accettare la “condizione” di creature o per meglio dire di “figli”.
Quale consolazione avere un Padre così!
A differenza del poeta possiamo dire “non siamo soli”.
Trafitti da un raggio di speranza, possiamo riflettere su quel “eppure…” del salmo.
Poco meno degli angeli…
Grazie Signore, sei con me, posso affrontare tutto e guardare il mondo trafitto da un raggio di sole.

13 Gennaio 2021

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