Non mercanteggiate! Offrite, donate

Categoria :Omelie, Quaresima
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Data :3 Marzo 2024

III domenica di Quaresima (B)

(Es 20,1-17 / Sal 18 / 1Cor 1,22-25 / Gv 2,13-25)

Signore nostro Dio,
che riconduci i cuori dei tuoi fedeli
all’accoglienza di tutte le tue parole,
donaci la sapienza della croce,
perché in Cristo tuo Figlio
diventiamo tempio vivo del tuo amore.

Un solo Dio: questa fu la novità dalla chiamata di Abramo in poi. Nessun altra divinità. E le parole che Dio ha dato al suo popolo dopo essersi rivelato come Colui che libera da ogni forma di schiavitù, di dipendenza… di idolatria, altro non sono che una strada per imparare a custodire questa libertà ricevuta in dono. Inizia così la liturgia della Parola di questa terza domenica di Quaresima. 

Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile:
Non avrai altri dèi di fronte a me. (Es 20,1-3)

Segue l’elenco di quelli che noi chiamiamo i «dieci comandamenti». I primi comandamenti riguardano il nostro rapporto con Dio ma la maggior parte di essi mette l’accento sulle relazioni fraterne. Non c’è rapporto con Dio che non sfoci in buone pratiche verso il prossimo. E tutto sempre all’insegna della libertà, altrui o nostra, esteriore o interiore che sia. Queste parole che Dio rivolse ad un popolo liberato non sono dunque da intendere come restrizioni ma come strumenti che permette di custodire la libertà. Se non santificassimo la festa, saremmo schiavi del lavoro. Se portassimo falsa testimonianza saremmo già avvinghiati da parole non vere. E così si dica per ognuna di queste parole. Liberi dunque e non schiavi di idoli. 

Un solo Dio dunque e dunque un solo luogo dove adorarlo. Un solo Tempio dunque invece che gli innumerevoli altari per le più diverse divinità che agli occhi di Dio non sono altro che idoli. Ecco perché Gerusalemme diventò il luogo più importante per la fede di Israele. L’unico Tempio si trovava a Gerusalemme e dunque è laggiù che ci si doveva recare almeno una volta l’anno per adorare Dio, offrendogli sacrifici o olocausti.

L’apparato religioso era ben strutturato, ben organizzato. Il pio israelita che andava a Gerusalemme in pellegrinaggio non doveva preoccuparsi di prendere con sé gli animali da sacrificare per Dio. Come avrebbe fatto per altro a portarsi appresso animali di una certa taglia (stiamo parlando di tori, montoni, capri, vitelli… ) che andavano comunque sfamare durante il viaggio prima di giungere a Gerusalemme? Bastava quindi prendere con sé il proprio denaro (parliamo di  monete dell’impero romano con l’effigie dell’imperatore… e dunque monete impure che potevano far pensare che l’imperatore stesso potesse essere un idolo) e una volta arrivati al Tempio si passava dai cambiamonete per ricevere in sicli il corrispettivo del denaro al fine di poter acquistare l’animale designato al sacrificio. Niente dunque di irregolare. Tutto secondo norme e regole stabilite.  È in questo contesto storico e geografico che va ambientato il Vangelo di oggi.

Dal Vangelo secondo Giovanni
(2,13-25)

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

Sorprendentemente, la Parola di Dio si fa carne anche attraverso questo gesto che Gesù compie. Ma quale parola della Scrittura vuole egli incarnare con questa azione decisa? A coloro che attendevano il Messia i profeti avevano già lasciato alcuni indizi perché fossero capaci di riconoscerlo presente e all’opera. Il profeta Malachia nel suo brevissimo libro (tre piccoli capitoli) scrive: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate» (Mal 3,3). Zaccaria invece nell’ultimo capito del suo libro parlerà ampiamente del regno del Signore. Nel giorno in cui il Messia stabilirà questo regno – dice Zaccaria –«in quel giorno non vi sarà neppure un mercante nella casa del Signore» (Zc 14,21). Gesù che entra nel Tempio e chiede di non fare più mercato nel tempio è esattamente il Messia da accogliere e da riconoscere.

E perché dunque non è stato riconosciuto e accolto? Tutto questo sarà l’oggetto e l’impegno della predicazione di Paolo perché davvero non fu facile accettare che un crocefisso potesse essere il Messia. «Noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 Cor 1,23-24). Questa notizia del Messia crocefisso e risorto sembrava davvero stoltezza, un messaggio non ricevibile secondo i nostri umani criteri. Siamo così di fronte alla sapienza di Dio che costruisce il suo regno non come farebbe un uomo. 

Giovanni è molto chiaro nel farci comprendere fin dall’inizio del suo Vangelo (siamo solo al capito 2, dopo il racconto delle nozze di Cana) che Dio non si potrà conoscere attraverso una pratica religiosa che pensa ancora di mercanteggiare la salvezza. In questo senso siamo spesso ancora schiavi di questa dinamica: siamo pronti a promettere a Dio sacrifici personali se Egli in cambio ci desse un segno o ci facesse un miracolo. E il più delle volte le cose non vanno proprio in questa direzione. Difficilmente però siamo pronti a rimettere in questione il nostro modo di pensare o di vivere la relazione con Dio… e così Dio ci appare ancora ingiusto o non attento alle nostre suppliche. 

In Gesù sono inaugurati tempi nuovi. E perfino il luogo dell’incontro è nuovo. Non più il Tempio ma la sua persona, il suo corpo. Al Tempio non si compra la misericordia, non si acquista la salvezza. Dio la donerà attraverso la morte e la resurrezione del suo Figlio. La questione decisiva per la fede cristiana non riguarda il perdono da ottenere, da guadagnare, quanto una misericordia da offrire a nostra volta, per essere misericordiosi come il Padre è misericordioso.

Sarà Gesù stesso a spiegare meglio tutto questo quando parlando con una donna samaritana le dirà: «Se tu conoscessi il dono di Dio! … Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre…» (Gv 4,10.21). Ma per il momento, in quel giorno davanti al Tempio di Gerusalemme il malinteso fu grande: la risposta che Gesù dà ai Giudei diventerà luminosa per i credenti solo dopo la sua Risurrezione: «Distruggete questo Tempio, e in tre giorni lo farò risorgere». Non possiamo dare torto ai Giudei: un uomo da solo ovviamente non può intraprendere lavori del genere! Non potrà arrivarci né in tre giorni, né in quarantasei anni, né in una vita intera!

Oggi non possiamo non continuare a chiedere che il Signore venga nel suo Tempio, nei nostri numerosi luoghi di culto ove ci riuniamo. Una frusta che ha fatto sentire il suo sibilo, uno spostamento d’aria che sentiamo ancora oggi: un colpo salutare alla nostra religiosità che mercanteggia ancora ciò che Dio vuole semplicemente donare. Basterebbe forse chiederci se le nostre comunità sono il luogo dove si può ancora incontrare il Cristo risorto, la Parola di Dio viva ed efficace, l’acqua viva di cui l’uomo ha ancora sete. 

Tu la conosci bene e meglio di me
questa Chiesa che spesso illumina a malapena
come una candela esausta.
La conosci come troppo piccola per la tua grandezza
e troppo grande per la nostra piccolezza.
Tu la convochi e la raccogli di giorno in giorno,
come il pastore continuamente cerca la pecora
che zoppica o che si attarda,
come una sarta rammenda una maglione
che sfila o che si strappa.
Tuo Figlio è la testa di un corpo
con gli arti ancora slogati.
È il primo nato di una famiglia
di figli ancora separati.
È la pietra angolare di una casa incompiuta.

André Dumas, «Cent prières possibles» (2000)


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Piccoli Pensieri (2)

Che gran differenza può fare osservare un contesto godendone (e quindi considerandone) la prospettiva, o fermandosi al singolo dettaglio in primo piano. Allo stesso modo questo episodio, visto a sè, isolato, non dice molto ma genera molte domande, mentre visto considerandone la prospettiva del prima e del dopo si comprende MOLTO meglio. Certo per noi “comuni credenti” non è così facile leggere opportunamente il fitto intrecciarsi di trama ed ordito che ordina tacito vecchio e nuovo testamento: eppure tutte le risposte sono lí, e coglierle o nonè DAVVERO dirimente… Grazie per il prezioso aiuto che ci dai a cogliere la prospettiva Don Stefano!

5 Marzo 2024
eCarla

Ognuno di noi è una domanda aperta. Ognuno è stato creato per un desiderio di felicità, desiderio che è “padrone” del suo cuore. Questa domanda, a volte drammatica, è ciò che definisce il suo cuore, il suo “bisogno esistenziale”. Ho bisogno di dire e di affermare che l’uomo è anche fatto e costituito da una promessa di felicità che solo Uno può consegnare, “regalare” all’uomo che crede in Lui, nella Sua costante e continua Presenza nella sua vita. Quest’Uno si chiama Gesù Cristo, crocifisso e successivamente risorto affinché la Sua promessa di felicità si attui.

5 Marzo 2024

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