Non visioni ma illuminazioni
Venerdì – Prima settimana di Avvento
(Is 29,17-24 / Sal 26 / Mt 9,27-31)
“Si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno le orecchie dei sordi” (Is 35,5). Promesse simili erano nell’aria da tempo. E non solo nell’aria ma pure già scritte e fissate in un libro. Quello stesso rotolo che, stando al Vangelo di Luca, Gesù lesse nella sinagoga di Nazareth. Mi rifaccio spessissimo nel mio riflettere a quel giorno di sabato, nella sinagoga. Penso che sia stato uno degli eventi decisivi della vita di Gesù. Un po’ come quando qualcuno chiede: “Quando ti è venuta la vocazione?”. Che simpatica questa espressione, forse poco italiana. È come se la vocazione venisse a noi, per dono. È pur vero che ti devi mettere in cammino… è un passo dopo l’altro, è un seguire l’autore stesso della fede. Stando fermi e immobili, nessuna vocazione! A Gesù la vocazione venne certamente in quel giorno quando, dopo aver vinto su ogni genere di tentazione, tornò al paese dov’era cresciuto. E aprì gli occhi sul libro di Isaia, e trovo conferma scritta di quella voce dal cielo che sentì al fiume Giordano. Quel giorno, stando al racconto matteano, perfino una visione: uno spirito in forma di colomba. Lo Spirito del Signore era su di Lui.
Vocazione non è azzeccare quello che farai da grande. Vocazione è sentire una Parola e seguirla.. mentre ti porta a vedere le cose con occhi nuovi. Niente visioni o apparizioni. È un sentire con l’orecchio che giunge fino a sentire nel profondo. Come tutti i ciechi nei Vangeli. Sentono! Sono l’ascolto che vede, che conosce o riconosce, che incontra. Un cieco non vede più nulla di questo mondo: non il sole e non la luna, non un uccellino tra i rami innevati… non vede gli orrori delle guerre e di tutte le violenza. Eppure può comunque incontrare l’uomo: questo essere parlante e senziente.
Matteo parla di due ciechi, accomunati dalla stessa sorte. Gli unici che forse avevano capito che potevano comunque parlarsi e mantenersi un poco vivi in quel mutuo ascoltarsi. E avranno condiviso racconti, storie, cose sentite e cose mai udite prima… e ad un certo punto, seppur ciechi, avranno trovato l’accordo e l’intesa: “Semmai un giorno, dovesse passare di qui colui che, stando alle profezie, ridona la vista ai ciechi… noi, ci alzeremmo e ci metteremmo a gridare a squarciagola il suo nome e pure la nostra condizione: Figlio di Davide, Tu che porti su di te tutte le caratteristiche del Messia atteso, guardaci! Abbi, pietà di noi!”
E quando due uomini sulla terra si accordano – disse – il Padre non può che donare ciò che per pacifico accordo è richiesto. Si accordarono sulla terra. (Mt 18,15-20) E insieme chiamarono Gesù. Sembra che siano proprio loro a dar voce alla vocazione stessa di Gesù. E Gesù, a quel grido, si sentì lui pure richiamato ad occuparsi delle cose del Padre suo. A differenza di molti altri ciechi delle Scritture però, questi due non stanno accucciati ai margini della strada. Camminano già nella fede e non ancora nella visione.
Scrive Paolo: “È Dio che ci ha fatti per questo e ci ha dato la caparra dello Spirito. Così, dunque, siamo sempre pieni di fiducia e sapendo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione. Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore“. (2 Cor 5,5-8). Trovo illuminante questo passo della seconda lettera ai Corinzi. Perché – dice ancora Paolo – ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. (2 Cor 5,4). Quei due ciechi, gravati dal peso della loro cecità, sembrano quasi dimenticarsi della loro cecità e camminano già dietro a Gesù. Pieni di fiducia. Vanno in esilio dal corpo, come dimentichi per un attimo delle loro disgrazie. La loro mortale cecità viene assorbita dalla vita, e trovano ospitalità in Gesù. Ed entrano in casa… sono accolti presso il Signore. Proprio come i primi discepoli nel Vangelo di Giovanni: “Maestro, dove abiti?”. “Venite e vedrete” (Gv 1,38-39).
Matteo riporta curiosamente il fatto che Gesù entra in casa. Solo dopo essere giunto in casa pare prestare loro attenzione. Durante il cammino sembrava indifferente alle loro grida. Così valuteremmo noi, a prima vista. Eppure Gesù stava già rivolgendo loro tutta la sua attenzione provocando il loro cammino, la loro fede. Non si getta subito a guarire in una modalità puramente assistenziale, ma vuole anzitutto portare a maturazione, a compimento ciò che Egli aveva già visto come in un bocciolo: far comprendere che la fede nasce e matura sempre dall’ascolto e che, quindi, la loro cecità non è per nulla un ostacolo in merito ad un cammino di fede.
Apro per un attimo il cassetto dei miei ricordi: un giorno, in uno dei corsi biblici a cui ho partecipato presso il monastero di Bose, mi trovai seduto accanto ad un uomo. Lui era già seduto. Io mi sedetti accanto, senza dare alcun peso al posto dove casualmente mi stavo sedendo. Quell’uomo aveva con sé un grosso libro. Sembrava un vecchio registro, bello consumato. Le pagine non erano ben sovrapposte. Parevano perfino le pagine di un libro rinsecchito dopo che in precedenza s’era inzuppato d’acqua. Mi accorsi poi, quando lo aprì, che erano un vangelo scritto in braille. Steso le sue mani e iniziò a leggere, a sentire con i polpastrelli la forza di quella stessa Parola tutta contenuta in quei muscoli puntini che a tratti assomigliavano perfino ai caratteri ebraici. Io leggevo con gli occhi, lui con i polpastrelli. E compresi lì il valore della proclamazione della Parola durante un’assemblea liturgica. Dovremmo provare a starcene ad occhi chiusi ogni volta che durante la liturgia o una preghiera comunitaria viene proclamata la Parola di Dio.
E capire che in questo mondo, dove sempre più spesso ci sentiamo smarriti, incapaci di vedere un sentiero o un domani, siamo tutti ciechi. La pandemia ha messo in risalto le nostre incongruenze e la colpa si un futuro che pare solo sciagurato non è nei decreti che necessariamente si susseguono. È tempo di grandi ripensamenti e di decisioni, e non tempo di stare ad aspettare che tutto torni come prima. La fine è davvero scritta in uno sguardo rivolto al passato.
È tempo di camminare comunque, magari senza vedere chiaramente. Magari non con le gambe e non per le strade. Ma un cammino si fa anche interiormente. E se non ci credete: cercate, chiedete… chiedete a chi lo ha fatto sul serio un cammino interiore.
È tempo di ascoltare la Parola. É tempo di leggere un libro con i proprio occhi o di leggerlo per qualcun altro. È tempo poi di posare un attimo il libro e di alzare lo sguardo fuori dalla finestra, come un po’ persi nel vuoto. Le domande scaveranno dentro di noi e come l’acqua tra le rocce trova la sua strada, così la nostra sete sfocerà dove ora non vediamo. Per quanto utili e importanti, non credo sia tempo di aumentare le (tele)visioni o gli incontri virtuali. Sento spesso dire che le riunioni virtuali durano ancora di più di quanto duravano quelle in presenza. Tempo rubato ad altro.
È tempo di abbracciare un Libro! Di ascoltare veramente una Parola! Per poi tornare nel mondo, non appena potremo, per farla accadere, per incarnarla. Per farla nascere, vivere e crescere in mezzo agli uomini. “Credete che io possa fare questo?”. Fu il test dell’ascolto e della sequela. E intanto, senza troppo indugiare, cantiamo già dal profondo: “Luce dona alle menti, pace infondi nei cuor”.
Dio della luce,
in questo nuovo mattino abbiamo accolto il tuo invito
ed eccoci alla tua presenza:
manda il tuo Spirito santo su di noi.
Spirito di sapienza che ci apre alla comunione con Te
attraverso l’ascolto della Tua parola.
Essa diventi per noi specchio
che ci aiuta a discernere ciò che ci abita:
l’opacità che ci rende bui,
le contraddizioni che ci scoraggiano.
La tua Parola sia direzione, consolazione e forza,
per percorrere vie di accoglienza e di comunione
e ci spinga a vincere ogni paura. Amen
Dal Vangelo secondo Matteo (9,27-31)
In quel tempo, mentre Gesù si allontanava, due ciechi lo seguirono gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!».
Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: «Credete che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!».
Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi.
Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione.
A gran voce io grido al Signore
a gran voce supplico il Signore
davanti a lui sfogo il mio lamento
a lui espongo la mia angoscia.
Quando il mio respiro viene meno
sì, tu conosci il mio cammino
sul sentiero dove io avanzo
hanno teso un laccio per me.
Guarda attorno a me e vedi
nessuno che voglia riconoscermi
ogni scampo è perduto per me
nessuno si cura della mia vita.
Io grido a te, Signore
e dico: «Sei tu il mio rifugio,
la mia porzione nella terra dei viventi!».
Sii attento alla voce del mio pianto
perché sono sfinito, all’estremo
strappami dai miei persecutori
perché sono più forti di me.
Fa’ uscire la mia vita dal carcere
affinché renda grazie al tuo Nome:
intorno a me si stringeranno i giusti
perché mi colmerai di bontà.
salmo 142 (141)
È vero, caro don Stefano, le “tele” “visoni” e le “video” “conferenze” che si stanno moltiplicando in ogni ambito,
personalmente le trovo alienanti. Sono stato invitato a partecipare a qualcuna di esse, ma non me la sento.
Meglio tre gatti soli (distanziati) che l’ammasso virtuale.
Pace e bene!
SIGNORE, se l’acqua non arriva alla gola il mio cuore difficilmente ti chiede aiuto, invocando il tuo nome Signore abbi pietà di me.
Il grido di aiuto che due ciechi rivolgono a Gesù per la sofferenza della loro cecità, è una richiesta che possiamo fare ciascuno di noi. La Tua risposta Gesù,va diritta al cuore
” Sto alla porta e busso”.
Chiede, bussa e aspetta una risposta di fede e di amore da tutti.
Signore, talvolta il mio cuore non è tanto generoso, ma io so che Ti basta anche una fessura per entrarvi e trasformarlo.
Come i due ciechi,anche noi ci rivolgiamo a Te Signore con la preghiera “Abbi pietà di noi”. Anche noi crediamo profondamente che Tu possa aprire gli occhi della nostra vita con la tua Parola, luce che rischiara il nostro cammino.
Quanto è vera l’importanza dell’ascoltare!
E quanto noi -io per prima!- dobbiamo sempre un po’ sforzarci per prestare la dovuta attenzione. Ringrazio il cielo di cuore per una telefonata accolta ieri: una collega dell’università che mi chiedeva consiglio e che, per contro, è riuscita ad instillarmi un dubbio fondamentale per raddrizzare (forse in tempo!) un errore da me commesso. Eppure altri segni ne avevo avuti. Non vedendoli, non prestando attenzione né troppo orecchio, è stata dunque una fortuna grande ed autentica incappare in questa collega insistente! 🙂