Parlar di pace… mai come oggi!
(At 14,19-28 / Sal 144 / Gv 14,27-31)
Le giornate ci offrono ora la possibilità di cambiare il ritmo. La luce anzitutto poi il caldo, arrivato così repentino chiedono di rivedere un attimo orari e programmi della giornata. Al mattino la luce del giorno ci precede. Di sera ci si intrattiene volentieri all’aperto. Dal lago giunge una brezza che riesce a ripulire l’aria da tracce di umidità.
Non m’è ancora passato lo stupore davanti alle innumerevoli distese di papaveri. Finirò per chiedere a qualche contadino come mai qui i campi sono così. L’unica spiegazione che da solo riesco a darmi è che forse si tratta di una scelta etica ed estetica: rinunciare alla selezione del seme, rinunciare all’uso di pesticidi contro erbe infestanti… per guadagnare in bellezza di paesaggi. Sono così tanti poi che certamente i semi caduti dai fiori sfioriti e il vento faranno il resto per chissà quanti anni ancora. L’uomo, di suo, ci mette l’aratura, il rimescolamento della terra, una confusione, un’amalgama di ingredienti… un po’ come il cuore dell’uomo. Un abisso. Terra che contiene semi di ogni genere, di ogni specie. Quelli buoni vengono dal Seminatore maiuscolo che tuttavia continua ad aver bisogno di terra, di umanità per veder fiorire ciò che Egli s’attende dalla generosa semina.
O Spirito consolatore,
o Tu che trasformi in amore il dolore del mondo:
donaci la fede!
Quella fede che è certezza di cose non dimostrabili,
conoscenza riverente dei misteri che non si possono spiegare,
adesione consapevole al Tuo infinito amore,
quella fede che – sola – può darci la forza
di continuare il nostro cammino.
(Da «Il libro della preghiera universale», a cura di Giovanni Vannucci)
Dal Vangelo secondo Giovanni (14,27-31)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prìncipe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco».
A parlare di pace… mai come oggi! Inizialmente disse che non era venuto a portare la pace sulla terra. Spiazzante! È vero, non è scritto nel Vangelo di Giovanni che stiamo leggendo ma in quello di Matteo, ma sono pur sempre parole da discorsi di Gesù. «Non crediate – disse – che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa» (Mt 10,34-36).
C’è un separare che è salutare come una madre o padre quando intervengono a dividere due fratelli che s’accapigliano… magari per una banalità. Più difficile intervenire in liti tra adulti. Sembra per lo più prevalere l’indifferenza per non essere coinvolti di riflesso nella mischia e nella lite e guadagnarci un bel cartone solo perché si pensava di intervenire per separare e riportare a più miti consigli. Disse chiaramente che non era venuto a portare pace. Se l’avesse offerta all’inizio, al suo arrivo, sarebbe stato come come dare perle ai porci. Non sempre si comprende il valore di qualcosa di grande se prima non si è mossi a desiderarlo.
Nel suo lavoro di separazione, sul filo di spada delle sue parole, intendeva creare nuovi legami che non fossero solo legati al sangue. Da questi legami possono venire anche tensioni, inganni e divisioni. Racconti biblici da portare ad esempio si sprecano.
Ma torniamo al vangelo di Giovanni: la pace che Gesù lascia è deposta lì alla vigilia della sua passione, nel cenacolo, la sera dell’ultima cena. E dopo la sua morte torna a donarla. Un soffio sui discepoli. Fragile come un soffio la pace, fragile come l’uomo. Per questo potremmo vivere in pace. L’incontro di debolezze genera pace. La potenza, il potere accende conflitti. Questa pace che l’uomo dei dolori offre ai suoi e che il risorto coi segni della passione alita ancora in mezzo alla sua comunità è da comprendere proprio in questo contesto. Non è una pace trasognata, irenica, da favola idilliaca. È un pace che gesta nel dolore. La pace potrebbe essere anche solo una rinuncia: rinuncia ad affermare se stessi, le proprie ragioni, quand’anche s’avesse ragione. La pace, dalle parole di Gesù e nella sua stessa vicenda nasce proprio dal rinunciare alla propria vita per far vivere l’altro e se stessi con lui. La pace che Gesù offre è rinunciare alla vendetta.
La pace che attendiamo dopo tutti i conflitti è un lavoro delicatissimo da perseguire non solo con accordi tra grandi poteri. La pace è una richiesta implica di non cercare vendetta. Dopo una guerra non restano sul campo soltanto bombe inesplose ma restano nel cuore degli uomini, altri armamenti da disinnescare. È fortemente istintivo nell’uomo – penso – il desiderio di vendetta, di riscatto… non fosse altro che in una preghiera rivolta al cielo per rimettere a Dio la propria causa… come ad implorare che sia il cielo stesso a punire o vendicare. E pure questo seme dovremmo togliere dalla terra del cuore. Anche i salmi in certi passaggi testimoniano questo. Tutto il Vangelo è tensione alla deposizione di questi sentimenti di vendetta, di accusa, di ricatto… dinamiche potenti che rischiano di tenere l’uomo in ostaggio di sé. Questa pace che Gesù lascia è una vera e propria liberazione. La pace è un dono che l’uomo può lasciare al suo passaggio terreno.
Vieni, o Vita della nostra vita.
Vieni, o Luce, nostra guida.
Siamo immersi nelle tenebre,
un fardello superiore
alle nostre forze portiamo.
Tu sei presente in tutte le cose,
tu reggi i cieli e ne sei il fondamento,
se la Luce che brilla,
che da gioia alle anime.
Tu sei la vita del mondo,
tu sei il latte che è in ogni albero,
sei la dolce acqua che alimenta
i figli della materia.
PACE, che pace sia! E non rivalsa o vendetta. Pace come quella che tentarono in Sudafrica dopo la fine dell’apartheid bianchi e neri con i tribunali che consentivano a chi aveva ricevuto torti di poterlo dire, alla presenza di chi quei torti li aveva fatti, per poi andare PACIFICATI. Forse non era proprio un FARE LA PACE ma un inizio, il rinunciare alla vendetta. Ed ora? Quando verrà la pace? Chiunque vinca questa guerra alla fine ci saranno tante persone che piangono i loro cari morti, e nulla potrà consolarle. Preghiamo perché venga la pace e perché i cuori possano riconciliarsi
Metto insieme la riflessione sul Vangelo e quella sui campi di papaveri e mi vien da considerare come, in certo qual modo, siano collegati. Non soltanto perché provenienti “dalla stessa penna”, ma anche perché sono un po’ due rapprentazioni (per quanto con medium differenti) di analoge considerazioni. Da un lato il Cristo che esorta i suoi, li “rincuora” dicendo loro che gli darà la sua pace, non per riprenderserla, ma proprio perché l’abbiano, per sempre; dall’altro la dimostrazione pratica, diretta, della meraviglia di cui è capace il “Seminatore maiuscolo” quando ha “campo libero”. Se vogliamo sono “solo fiori”, stagionali, passeggeri… Ma quale tuffo al cuore, chr vertigine, sanno regalarci certe manifestazioni naturali! Se non sono queste le migliori dimostrazioni pratiche dell’amore di Dio messo in atto…! E quali potremmo agire anche noi, su noi stessi, se solo ci rendessimo capaci di fare un po’ di spazio nel nostro campicello interiore perché Egli possa instillare in noi i suoi semi, perché radichino, si facciano strada e ci rendano uno splendido giardino.
Senz’altro siamo tutti bravi ad invocare la pace con slogan più o meno risaputi oppure dipingere i suoi simboli molto colorati…
Tanti anni fa, ad una Lectio tenuta da don Carlo Tarantini, ero rimasta sorpresa dalle sue parole.
Commentava lo svolgersi della marcia per la pace “Perugia – Assisi”, che si svolge anche ai nostri giorni, e ne parlava in modo del tutto negativo, come cosa inutile.
Ma la motivazione non può che trovarci d’accordo perché lui diceva:
“A che pro partecipo a questa manifestazione per la pace se poi sono in guerra col mio vicino di casa, tanto da augurargli magari anche il male.
Se ognuno di noi si impegnasse veramente a fare pace con chi gli sta vicino, tutti insieme faremmo “scoppiare” la pace in tutto il mondo”
E questo è quello che Gesù ci ha lasciato in eredità, un “patrimonio” che ci consentirebbe di costruire un mondo nuovo.
Ma non ne siamo assolutamente capaci, da soli diventiamo uno il lupo per l’altro.
Dobbiamo continuare ad invocare lo Spirito perché ci renda consapevoli delle scelte che facciamo, per non rischiare di distruggerci.