Pesa di più lavorare o attendere? (da chiedere agli ultimi)
Spirito Santo, animatore e santificatore della Chiesa, nostro respiro divino, il vento delle nostre vele, nostro principio unificatore, nostra sorgente interiore di luce e di forza, nostro sostegno e nostro consolatore, nostra sorgente di carismi e di canti, nostra pace e nostro gaudio, nostro pegno e preludio di vita beata ed eterna. Abbiamo bisogno di fuoco nel cuore, di parola sulle labbra, di profezia nello sguardo. Abbiamo bisogno dello Spirito Santo in noi, in ciascuno di noi, e in noi tutti insieme, in noi-Chiesa.
Come mai si è affievolita questa pienezza interiore in tanti spiriti, che pur della Chiesa si dicono? Come mai tante schiere di fedeli militanti nel nome e sotto la guida della Chiesa si sono impigrite e diradate? Come mai molti si sono fatti apostoli della contestazione, della laicizzazione e della secolarizzazione, quasi pensando di dare più libero corso alle espressioni dello Spirito? O talvolta più fidando nello spirito del mondo, che in quello di Cristo? Ecco: di Lui, soprattutto, ha oggi bisogno la Chiesa! Dite dunque e sempre tutti a Lui: “Vieni!”
(Paolo VI, Udienza Generale di mercoledì 29 novembre 1972).
Dal Vangelo secondo Matteo (20, 1-16)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.
Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
Non raccontatemi questa parabola per parlare di giustizia e di misericordia: è vero che non è stato fatto torto a nessun operaio ma è vero anche che non è stato dato a ciascuno secondo le sue opere e risulta dunque favorito proprio chi ha faticato meno. Se il salario è un denaro per l’intera giornata di lavoro, chi ha lavorato solo alcune ore, a giusta logica, avrebbe dovuto percepire una parte minore e proporzionata dall’intera paga. Non si parli neppure di obbedienza, perché tutti gli operaio rispondono all’appello a differenza di un’altra parabola che parla ancora di lavoro nella vigna dove chi dice che sarebbe andato a lavorare non ci andrà e viceversa (Mt 21,28-31).
Che cosa vuole insegnarci dunque la parabola? Anzitutto essa parla del regno dei cieli. Dovremmo dunque capire al volo che la prospettiva è ribaltata. Osservando il mondo dal regno dei cieli, tutto appare capovolto: gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi.
Questa parabola è, molto semplicemente, la risposta che Gesù stesso vuole dare a Pietro il quale aveva fatto le sue rivendicazioni in merito al fatto che lui e gli altri discepoli avevano lasciato tutto per stare dietro all’ultimo arrivato che, guarda caso, era proprio il Messia atteso da tempo. I discepoli, i primi chiamati, sono dunque gli ultimi della parabola perché hanno ricevuto il dono di poter ascoltare e vedere il Messia, vero frutto maturo della vigna di Israele da raccogliere e non sprecare. Ai discepoli, che rivendicano ricompense a fronte di tutti gli abbandoni richiesti, è fatto dono di vivere il momento in cui il Messia è manifestato al mondo.
È pure curioso che il “contratto” per il salario è fatto solo con i primi chiamati, mentre quelli assunti nel mezzo o al finire della giornata, accettano di lavorare nella vigna con la sola speranza di essere pagati e senza neppure sapere quanto. Questi ultimi operai soffrono una breve fatica: lavorano meno e già al tramonto del sole. Tuttavia il padrone riconosce loro che hanno sopportato di più l’attesa di non trovare lavoro… con il crescente rischio di sentirsi, a lungo andare, buoni a nulla. È un po’ come quando, giocando a calcio da bambini, si formavano le squadre. C’erano sempre i due migliori che componevano le rispettive formazioni… e sempre c’era qualcuno che veniva racimolato per ultimo. Per pietà. Io ero tra questi. Non c’è voluto molto a capire che non ero un gran calciatore!
Gli ultimi, che primi saranno nel regno dei cieli, sono dunque coloro che hanno più a lungo atteso e patito delusioni. La salvezza non è frutto di opere e sforzi umani, ma matura nel dispiacere e nel dolore di non poterle compiere. Una prospettiva simile potrebbe aiutarci a guardare diversamente quelli che noi chiamiamo poveri e ultimi. Senza dimenticare Colui che ci ha dato l’esempio: Gesù, più di tutti, è il primo a farsi ultimo e da ultimo che s’è fatto, riceve dal Padre un nome che è sopra ogni altro nome.
Abbiamo la bocca piena di “diritti umani”
diritti immancabilmente negati nei fatti:
perdonaci, Signore.
E non facciamo che lamentarci
e avanzare e pretendere privilegi
quasi fossimo noi i proprietari della vigna:
perdonaci, Signore.
Non sapevamo che era un onore
servirti fin dal mattino:
perdonaci, Signore.
Signore, liberaci dal giudicarti
e dall’invidiare i fratelli.
Se da ultimi entreremo è forse perché troppe volte in questa vita saremo stati o avremo preteso di essere primi… Aiutaci Signore a mantenere quella Santa umiltà che ci permette di riconoscerci tutti uguali, tutti debitori…uomini,donne, fratelli e sorelle. Privandoci dei titoli che ci siamo dati o abbiamo ricevuto quaggiù e che sembrano accrescere la nostra importanza o pretesa di valere più degli altri, scoprireremo di valere tutti allo stesso modo per Te. Ogni uomo Ti sta a cuore!! Grazie Signore