Pregare è ritrovarsi

Martedì – Prima settimana di Quaresima

(Is 55,10-11 / Sal 33 / Mt 6,7-15)

Del luogo dove pregare già aveva dato indicazioni: non ritti nelle sinagoghe per essere ammirati dalla gente, ma molto più semplicemente nel segreto della propria stanza. Senza dimenticare di chiudere la porta. È un incontro intimo, un dialogo d’amore tra la creatura e il Creatore, il figlio col Padre. 

Posto che abbiamo – bruscamente – scoperto che davvero è possibile pregare nella propria casa, senza un luogo di culto (erano i giorni di questa scoperta proprio un anno fa come di questi tempi) la nostra vera questione permane: come pregare? Cosa dire? E vorremmo una scuola, un maestro che ci insegni l’alfabeto e le parole, a leggere o a scrivere. Ma la vita parte dal grembo e cresce nella casa.  E quand’anche avessimo pregato, avessimo balbettato qualcosa, come essere certi di esserci spiegati? Siamo forse troppo soggetti ai giudizi altrui, troppo soggetti a tutti gli umani fraintendimenti e proiettiamo fino al cielo questi umani sentimenti. Occorre davvero saper perdere le parole… sapere di non saper pregare. Da quel giorno – quando disse: «Voi dunque pregate così…» – la nostra preghiera è mettere sulle nostre labbra le parole confidenti del Figlio. 

A ben guardare il Padre nostro non è una preghiera che chiede. Alla fine – certo – chiediamo il pane, il perdono, l’aiuto quando siamo tentati. La altre richieste, le prime sono solo in apparenza delle richieste. Noi chiediamo ciò che in realtà già c’è stato dato, già è accaduto. Gli chiediamo che venga il suo regno ma Gesù stesso disse che il regno era già in mezzo a noi e noi dobbiamo solo cercarlo, unitamente alla ricerca della giustizia. Gli chiediamo che sia fatta la sua volontà ma abbiamo ascoltato le parole di Gesù sulla croce, quando disse «Tutto è compiuto».

È un po’ come ripetere a coloro ai quali vogliamo bene che… vogliamo loro bene. Quando si ama qualcuno non è necessario ripeterlo. La persona amata lo sa. Non faccio sapere alla persona amata che la amo se essa lo ha già compreso. È piuttosto un’esclamazione della nostra anima che si sorprende di saper amare, e di avere perfino slanci e traiettorie interiori che sono orientati agli altri e, in definitiva, al cielo. Per scoprire che siamo creature non ci vuole di certo la preghiera. È meraviglioso a volte sorprendersi a pregare: accorgersi che mentre con gli occhi del nostro corpo osserviamo un bosco o un nido tra gli alberi, una montagna o gli animali che vi pascolano, un’alba o un tramonto, la lune o le stelle, il mare o un fiocco di neve, l’anima orienta l’esistenza terrena verso direzioni verticali.

Preghiamo chiedendo Dio. Preghiamo chiedendo noi stessi. Preghiamo per ritrovarLo e per ritrovarci, com’è vero che ogni figlio ha una paternità alla sua origine e ogni padre ha nel figlio colui che lo rende padre. La dimensione materna non è ignorata nella preghiera. Il rapporto al materno è la certezza delle origini, di chi è stato portato nel grembo. Il padre che da il nome, introduce nel mondo, costituisce la Legge, colui che interviene a dire al figlio «non tutto, non subito». Così, proprio ricordando le parole del Padre, il Figlio di Dio potrà vincere le tentazioni nel deserto. Un padre è colui che ricorda al figlio che la madre (e la terra!) non è tutta e sempre da mangiare come quando infanti succhiavamo il latte e smettevamo solo addormentandoci di sazietà. Il Padre sta nei cieli ad una distanza tale per cui non c’è quell’immediata disponibilità e nella ricerca di ciò che ci manca il cammino trova direzione, l’animo si fa grande e cresce.

Veniamo a te, Signore, nella preghiera:
vogliamo essere la tua dimora
e gustare la tua presenza vivente.
Cerchiamo di fare silenzio in noi:
vogliamo ascoltare la tua voce,
voce che sempre ci guida e ci accompagna.
Percepiamo i nostri desideri più profondi:
siamo in ricerca di Te, o Dio,
abbiamo sete di vedere il tuo volto.
Balbettiamo i nostri bisogni:
invia su di noi il tuo Spirito santo
e nel profondo ti invocheremo quale Padre.

Ketil Bjørnstad, David Darling, The guest (l’ospite), Epigraphs 

Dal Vangelo secondo Matteo (6,7-15)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.
Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

Sei Tu, Signore, che io prego;
e per te stesso.
E se perduta nei tuoi occhi io mi dimentico di tutto,
tu ti ricorderai:
Tu sai bene che gli uomini,
i problemi, i bisogni, i dolori, li porto in me:
sono dentro alla mia dimenticanza.
E Tu sai vedere nel mio zaino,
anche se mi dimentico di aprirlo
e rovesciarlo ai tuoi piedi.
Davanti a Te non voglio avere
questa preoccupazione della memoria;
non c’è alcun bisogno.
E, se mi accade questo perduto oblio,
ben venga perché non è dimenticanza:
è semplificazione di realtà complesse
che si sciolgono davanti a Te,
come luce, come acqua, come aria.
Anch’io metto foglie, a primavera
e la mia bocca fiorisce nel papavero:
ti parlo fatta cielo, fatta terra,
fatta erba e prato:
distesa ad accogliere il tuo passo.

(Adriana Zarri) 


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Piccoli Pensieri (2)

Emilia

La preghiera è il mezzo più forte che abbiamo per sentirci vicino al nostro Padre. A volte non ci vengono le parole soprattutto quando vogliamo ringraziare nostro Signore ci sembrano non abbadtanza ed allora lasciamo che sia il cuore a parlare.

23 Febbraio 2021
Emanuela

L’abbiamo imparato da bambini Padre Nostro e tendiamo a dare per scontato il chiamare Dio papà. Non è così in tutte le fedi: gli ebrei non lo chiamano, i musulmani hanno un rosario di 99 nomi, ma papà non c’è.
Papà significa sicurezza e severità, calore e indirizzo nella vita.
Ieri sera leggevo l’episodio di Giacobbe nel libro di Nucci: quella stretta nella lotta è anche un caldo abbraccio … la stessa lotta della nostra fatica a pregare, lo stesso abbraccio nel poterLo chiamare PAPÀ

23 Febbraio 2021

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