Prendetevi le albe, non solo il far tardi
(1Sam 15,16-23 / Sal 49 / Mc 2,18-22)
Cari amici,
riprendendo a scrivere, penso alle diverse manifestazioni di attenzione espressa in messaggi discreti di chi, non trovando più quotidianamente questa pagina, già cominciava a preoccuparsi.
Bentrovati, di nuovo! Ė stata una pausa più lunga del previsto, imposta e obbligata soltanto perché il computer aveva smesso di funzionare. Li dicono obsoleti gli strumenti quando raggiungono la loro fine. Così, anche nel mondo della tecnologia, il vecchio lascia il posto al nuovo.
Oggi è piuttosto la macchina ad aiutare l’uomo nel suo lavoro; un tempo erano gli animali da soma i preziosi aiutanti per la vita nei campi, solidali della fatica dell’uomo e collaboratori del suo lavorare. I cavalli di un motore hanno soppiantato i cavalli da traino. Il nostro rapporto col mondo animale e vegetale s’è rarefatto. Ci restano vicini alcuni animali domestici, presumibilmente addomesticati dall’uomo stesso o – forse nemmeno lo sappiamo – segretamente fedeli ad una loro misteriosa vocazione che li vorrebbe proprio accanto a noi umani in modo gratuito e disinteressato, senza sperare nulla in cambio se non del cibo e qualche carezza.
Molti dicono di far fatica a localizzarmi e a pensarmi qui. Chi ha voluto passare da qui ora si dice più sereno o felice di riuscire a collocarmi anche in un luogo fisico, un ambiente preciso e non solo immaginato. Anche questo – mi dico – deve appartenere al mistero dell’incarnazione che non riguarda unicamente l’iniziativa divina di farsi uomo e di abitare la terra, ma che riguarda proprio il nostro stare da qualche parte nel mondo e in qualche modo nel tempo.
Dunque esco ogni mattino all’alba: costeggiato un piccolo vigneto, pochi metri mi separano dal culmine di una collina. È da lì che vedo sorgere il sole, l’alba di un giorno sempre nuovo. Mi accompagnano (in ordine alfabetico) Grigio e Yuki. Il primo – cinque anni – è la vivacità e l’euforia che corre a leggere sulla terra le orme di altri essere viventi: gatti, volpi, fagiani o uccelli che si posano un attimo a terra, e chissà quali animali che escono nella notte mentre l’uomo si ritira nelle sue dimore. Legge e scrive… sì, scrive a modo suo: alzando una zampa e lasciando non gocce di inchiostro ma di pipì… e io penso alla favola di Pollicino che segnava la strada per poter tornare a casa. Probabilmente è piuttosto un indizio di presenza, un modo per dire che da quelle parti c’è pure lui, caso mai altri animali dovessero leggere a loro volta.
Mi colpisce il fiuto dei cani quando annusano la terra, ma ancora di più quando fiutano nell’aria. E quella che a noi umani sembra solo aria fredda o frizzante, per i mei fedeli compagni a quattro zampe la medesima aria è piena di informazioni che noi non riusciamo a decifrare. Si fermano, si guardano attorno, e puntano il naso in alto… una sensibilità inaudita. Ci sono un’infinità di segni attorno a noi e serve una certa sensibilità per percepirli e leggerli.
Yuki, dodici anni, è un cane più maturo. Come si conviene a chi è più avanti negli anni, ha l’aria di un contemplativo. Al mattino mi cammina davanti fino a quando, improvvisamente, si arresta in meditazione, lo sguardo e le orecchie tese al sole che sorge. Non accade lo stesso per il tramonto. L’aria e i raggi solari del mattino hanno qualcosa in più. La luce nel suo sorgere è preludio di un nuovo giorno. Non mi basta un calendario per sapere che oggi è un nuovo giorno. Anche gli animali lo sanno, anche loro ci aiutano a scorgere il «nuovo» che ci viene incontro. Scrive Franco Arminio:
Uscite e ammirate i vostri paesaggi,
prendetevi le albe, non solo il far tardi.
Vivere è un mestiere difficile a tutte le età,
ma voi siete in un punto del mondo
in cui il dolore più facilmente si fa arte,
e allora suonate, cantate, scrivete, fotografate.
Mi concederete oggi di riprendere questo appuntamento quotidiano, invitandoci a percepire maggiormente la nostra immersione nel paesaggio, nella natura, semplicemente ospiti della Vita eterna, ospiti della vita dell’Eterno, la Vita di Dio. Antonio, il grande monaco del deserto ricordato oggi in più paesi e regioni, replica – solo questo fanno i santi – la felice esperienza di Gesù nel deserto dove angeli e fiere lo servivano; Antonio ha realizzato in qualche angolo del mondo, nel tempo in cui è vissuto, quelle profezie di una pacifica convivenza tra gli uomini, gli animali di varie specie e il mondo vegetale.
Pare, a volte, che ci stiamo spiacevolmente privando di nutrire lo spirito mentre lo sposo – per dirla con le parole del Vangelo di oggi – è ancora con noi. Spesso invece ne lamentiamo solo l’assenza o la lontananza, faticando piuttosto a dichiarare la nostra sazietà di ciò che nutre solo il corpo e dichiarandoci così digiuni di ciò di cui l’anima avrà sempre fame. Un giorno nuovo si accoglie in un cuore e una mente che si rinnovano ogni giorno. Buongiorno!
Benedetto sei tu nostro Signore,
re del cielo e della terra,
che non cessi di benedirci con la tua Parola.
Dal Vangelo secondo Marco (2,18-22)
In quel tempo, i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno.
Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!».
L’uomo non è al centro del mondo.
L’uomo non è interessante quando fa fumo, fumo filosofico,
fumo poetico.
L’uomo è interessante quando ride, quando piange,
quando è pura corteccia che prende la pioggia e il vento.
L’uomo è un animale intenso quando capisce
che noi massacriamo ogni giorno tanti animali
per poterci nutrire.
L’uomo ha paura della morte
e su questa paura ha costruito tutto quello che vediamo,
chiese, castelli, porti.
Ora l’uomo deve imparare ad avere paura
della morte del pianeta: questo è il senso ultimo
dell’ecologia.
La questione adesso non è la libertà
ma la premura, è avere premura
per i nostri corpi gettati ogni giorno nell’inferno
di una parola perenne, di un chiasso
che ha riempito di parole anche le ossa.
Io non voglio essere libero,
io voglio capire ed essere capito,
io so che non so che mi aspetta fra cinque minuti,
non ho nessuna sicurezza di finire il giorno,
non ho nessuna pretesa di abolire il mistero
in cui siamo immersi.
L’uomo del futuro è un pezzo di natura
è nello stesso intrico dei rami e dei cani,
passa nella stessa aria dove passano le nuvole.
Il resto è fumo, il resto è ruggine di cervelli vecchi.
(Franco Arminio, Lettera del sei gennaio)
MESSAGGIO PER LA 33a GIORNATA PER L’APPROFONDIMENTO E LO SVILUPPO DEL DIALOGO TRA CATTOLICI ED EBREI
La giornata del 17 gennaio per i cristiani è un’importante occasione per curare il rispetto, il dialogo e la conoscenza della tradizione ebraica. Purtroppo in questo tempo assistiamo a deprecabili manifestazioni di cancellazione della memoria e di odio contro gli ebrei. La giornata è una significativa opportunità per sottolineare il vincolo particolare che lega Chiesa e Israele e per guardare alle comunità ebraiche attuali con la certezza che «Dio continua ad operare nel popolo dell’Antica Alleanza e fa nascere tesori di saggezza che scaturiscono dal suo incontro con la Parola divina» (EG 249). […]
Alla luce della pandemia e delle sue conseguenze, desideriamo intraprendere un cammino sulla Profezia. Proponiamo la lettura di un passo del profeta Geremia che ci pare particolarmente in sintonia con il tempo complesso che stiamo attraversando. Si tratta della lettera agli esiliati (Ger 29,1-23). In questa lettera Geremia reinterpreta l’esilio vissuto dal popolo quasi si trattasse di un «nuovo esodo»: Israele si trova in mezzo ai pagani, ben distante dalla «terra della promessa», senza il tempio, eppure proprio in quella situazione drammatica ritrova il senso autentico della propria vocazione. Moltiplicarsi in quella terra, «mettere radici», favorire la pace e la prosperità di tutti, ripartire dalle cose fondamentali e semplici della vita (lavoro, relazioni, casa, famiglia…): ecco la chiamata che Dio affida ai suoi. Alle indicazioni su come vivere il tempo dell’esilio è legata una promessa per il futuro: chi sceglie di conservare tutto e resta attaccato a un passato glorioso, rischia di perdere anche se stesso, mentre chi è disponibile ad abbandonare ogni falsa sicurezza riavrà i suoi giorni. A nulla serve l’illusione di poter riprendere in fretta le consuetudini amate, di fare in modo che tutto «sia come prima».
La comunità in esilio aveva una duplice tentazione: perdere ogni speranza e costruire una comunità chiusa, distaccata e ripiegata su se stessa. Nella pandemia, come credenti, abbiamo avuto le stesse tentazioni: perdere la speranza e chiuderci in comunità sempre più autoreferenziali. Le stesse tentazioni le proviamo di fronte alla situazione di esculturazione del fenomeno religioso (o, per lo meno, del cristianesimo): rischiamo di perdere la speranza e di creare comunità sempre più chiuse in se stesse. Geremia ci invita a stare positivamente dentro la realtà, a mettere radici e a starci in modo generativo. Ecco la sfida per le religioni: uscire dal rischio della depressione e dell’autoreferenzialità difensiva per essere generative, capaci di lavorare per la costruzione della società e generare speranza. Come cristiani e come ebrei possiamo aiutarci ad affrontare tale sfida, perché la Promessa resta costante nella storia. Il Signore lavora per rigenerare, per far ricominciare. Egli è fedele e non abbandona il suo popolo. Ogni crisi è una buona occasione, un tempo favorevole da non sprecare: essere seminatori di speranza. Gli esiliati si danno da fare per il paese, lavorano, investono energie per la terra, persino pregano il Signore per il benessere di quel paese. Questo ci ricorda che colui che viene da fuori, l’ospite e lo straniero, è una risorsa per il paese; che lo straniero è una benedizione e che l’ospitalità, così centrale nelle tradizioni ebraica e cristiana, può essere lo stile con cui oggi i credenti stanno nella storia e animano la società.
La lettera di Geremia è dunque un testo che, letto a due voci in questa giornata, può aiutarci a collocare la nostra esperienza di fede nell’odierna stagione di cambiamento d’epoca. I temi della ricostruzione, della speranza, del dialogo con le realtà che ci circondano, il confronto con l’altro (anche con lo «straniero»), possono fornire spunti importanti rispetto al modo di abitare la terra. Un’ottima occasione di confronto e di dialogo. […] Possiamo «aiutarci vicendevolmente a sviscerare le ricchezze della Parola, come pure condividere molte convinzioni etiche e la comune preoccupazione per la giustizia e lo sviluppo dei popoli» (EG 249).
Anche le pause forzate possono essere dono. Questa mi ha fatto capire quanto sia importante il quotidiano incontro con la Parola con l’aiuto di chi la sbriciola alla mia portata e la mette sotto una luce nuova
Come quella dell’alba di queste mattine. Nonostante non ami il freddo, questo è il periodo dell’anno in cui sono accompagnata al lavoro dal disco rosso del sole che sale di fianco a me, e la giornata parte già con un colore e un gusto diversi. Che imparo ad apprezzare e riconoscere anche grazie alla frequentazione quotidiana a questo blog.
Grazie don!
Grazie don Stefano, ogni giorno le tue riflessioni ci immergono nel Vangelo e ci danno Pace.
“… vino nuovo in otri nuovi…”
(dal Vangelo di oggi).
Trovo stupefacente come la Parola, ad un certo punto, diventi a me chiara, non importa quando nella vita e dopo quante volte ascoltata.
Stamattina la frase sopra riportata ha preso per me un preciso significato, (spero di non dire alcuna eresia!)
Il “vino nuovo” di Gesù nell’annuncio del Regno, nel volto del Padre, nei due Comandamenti che riassumono tutta la Scrittura…
“…fate questo in memoria di me” magari non riferito alla sola Eucaristia, ma all’imitazione della sua vita.
E questo vino nuovo in “otri nuovi”, noi che dobbiamo rinnovarci ogni giorno, (grazie don Stefano per il suggerimento) come l’alba annuncia il nuovo giorno, mai uguale al precedente, otri nuovi per accogliere il vino nuovo.
Mi piace pensare che, poco per volta, arriveremo anche a vivere la fede rinnovandovi ogni giorno come otri che accolgono il vino nuovo.
… come gli angeli delle antiche leggende, gli animali sono messaggeri del Cielo, memoria viva dell’innocenza , della Grazia, della fedeltà che l’uomo ha perduto.
Paolo De Benedetti.
da Teleologia degli Animali
Buongiorno a te e ben ritrovato. Anche stamattina il tuo delicato spronare mi sta scuotendo dal torpore che mi ha avvolta. Adoro passeggiare in luoghi non affollati, ma ultimamente lo faccio di giorno o verso sera, e stavo dimenticando quanto sia bello osservare il sorgere del sole. E non deve essere questo virus a impigrirmi in generale, mi viene da pensare che sia un alibi, o una tentazione. Comunque è terribile cercare di stare più lontano possibile dalle persone che si incontrano, questo virus ci sta separando sempre più, ed è tristissimo e preoccupante vedere l’altro come una minaccia, e constatare che anche io sono vista come una minaccia.
Semplicemente GRAZIE don Stefano!
«Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e “lavorare sé stessi” non è proprio una forma di individualismo malaticcio. Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo».
(Etty Hillesum)