Prima di far(si) pane…
Mercoledì – Prima settimana di Avvento
(Is 25,6-10 / Salmo 22 / Mt 15,29-37)
Nella sua prima venuta – lo dichiarò fin da principio – non venne per i sani, ma per i malati. Nemmeno venne per i giusti, ma per chi si riconosceva peccatore. Li attirava a sé, parevano calamitati dal suo passaggio, anche quando saliva sul monte. Sembrava cercare il punto più alto dove la terra può toccare il cielo. Geograficamente parlando non è zona di alte montagne. Anzi, il luogo dove la tradizione ha collocato il brano di vangelo odierno è semplicemente collinare. Sembrava incurante della fatica di quelle folle ammalate che lo seguivano da tre giorni: Lui sale, quasi stesse già allenandosi per l’ultima salita, a Gerusalemme. Le folle non demordono. Lo seguono, pur disposti a fare la fatica di trasportare infermi, di guidare ciechi… è davvero una folla che incarna quell’umana incapacità di stare bene al mondo eppure così desiderosa di ritrovare il gusto di vivere.
Prima di farsi pane, dovette prendere dimestichezza con la pasta umana. Conosceva Dio meditando le Scritture. Conobbe se stesso quando fu tentato e vinse contro il tentatore. Conosce l’umano come nessun altro, con tutti suoi desideri, appetiti e inappetenze. Prima di farsi pane, imparò ad obbedire con perseverante precisione alla Parola, quella che un giorno trovò nel libro del profeta Isaia. Riavvolse il rotolo e disse ad alta voce che avrebbe compiuto proprio quanto aveva appena terminato di leggere. E fu come suo Padre, quando in principio – disse… e così avvenne.
Al vedere tanta salute dispensata con generosità, senza nemmeno chiedere documenti di identità o formule di appartenenza religiosa, quella folla di presunti pagani iniziava perfino a balbettare il nome del Dio di Israele. E Lui, probabilmente, si commuoveva nel sentire che da quella terra si alzavano canti e lodi in onore di suo Padre… sembrava tastare con mano che quella volontà di Colui che lo aveva inviato, si stava compiendo. Comprendeva poco a poco che quello era il suo cibo: fare la volontà del Padre.
E provava compassione per quelle folle che non mangiavano da tre giorni. Quando sei preoccupato di raggiungere uno scopo, la tensione è tale che ci si dimentica perfino di mangiare e poi, che fame vuoi avere quando il corpo è malato? Sarà Lui a preoccuparsi di dar loro da mangiare una volta guariti, per non essere lui la causa di uno svenimento causato proprio dalla fame. Come il buon samaritano che, dopo aver soccorso il malcapitato, lo portò presso una locanda e si preoccupò perfino della sua convalescenza e della perfetta ripresa.
Ma prima di farsi pane dovettero passare tre giorni. Lui dovette immergersi completamente in quel mare di sofferenze, mentre le folle, come pescate da quel mare di guai e paure, dovettero trovare certezza di avere ancora i piedi per terra. Come nei giorni della sua passione, morte e resurrezione. Prese il pane e lo diede loro dicendo che proprio così sarebbe stato presente in mezzo a loro. E dopo che fu tolto di mezzo, sospeso tra cielo e terra, fu ancora nel segno del pane spezzato che si fece riconoscere. Tre giorni dopo.
Chiese pane perché non era un fantasma. E noi che spesso li consideriamo fantasmi coloro che chiedono il pane. Presenza ignobili, come se non esistessero. Come quei discepoli che avevano sette pani e pochi pesciolini. A nessuno di loro passò per la mente quel giorno che potevano anche solo non trattenerlo per se… Che dopo tre giorni, il pesce puzza! Chiese pane per annunciare che anche così è presente il risorto. Sulle rive del mare di Galilea, il mare a forma di arpa – sempre lì, dove i pescatori divennero discepoli – la vita suona bene, tutto si accorda. Perfino quei discepoli un po’ crumiri, decisero di aprire le loro mani per donare. Un legittimo e logico dubbio sorse loro in cuore data la sproporzione tra presenti e pane che manca. E si che non erano digiuni di quanto il Maestro stava insegnando loro.
“Quanti pani avete?“. È Lui che, con una sua parola, chiede ai discepoli di mettersi le mani in tasca. Chiese pane, sapendo che i suoi discepoli ne avevano. Poco, ma ne avevano. Chiese pane. E Tu, Signore, che chiedi quanto pane abbiamo sei come un trait d’union. Chiese pane… Chiese-pane… Signore, che la tua Chiesa dispensi Te solo e sia Lei pure trait d’union tra terra e cielo. E stringiamoci a quella folla di guariti, sfamati e salvati. Il salmo 146, che propongo alla nostra preghiera, fa perfettamente eco a quanto si medita oggi nel Vangelo. Ricordare i benefici del Signore, quelli compiuti nel tempo, è già pronunciare parole che daranno ancora forma all’esistenza. Sapere cosa Dio ha fatto in mezzo a noi è allenare lo sguardo a ricercare gli stessi segnali, ad adottare lo stesso modo d’essere.
Gesù, gioia dei nostri cuori,
il tuo Vangelo ci assicura che la Tua presenza in mezzo a noi
è certa come la nostra stessa esistenza.
E si risveglia in noi il dono dello stupore.
Il semplice desiderio della tua presenza
è già l’inizio della fede.
E nella nostra vita anche l’evento più nascosto,
fa scaturire delle sorgenti:
la bontà, l’altruismo
ed anche quell’accordo interiore
che viene dallo Spirito santo deposto in noi.
Dal Vangelo secondo Matteo (15,29-37)
In quel tempo, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì, tanto che la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E lodava il Dio d’Israele.
Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino». E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?».
Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene.
Anima mia, da’ lode al Signore!
voglio lodare il Signore finché vivo
nella mia esistenza cantare inni al mio Dio.
Non mettete la fiducia nei potenti,
nell’uomo che non può dare la salvezza
il suo respiro se ne va: ritorna alla terra
in quel giorno i suoi progetti finiscono.
Beato chi ha in aiuto il Dio di Giacobbe,
chi spera nel Signore suo Dio!
egli ha fatto i cieli e la terra
il mare e tutto ciò che è in essi.
Il Signore rimane fedele per sempre
e rende giustizia agli oppressi,
egli dona il pane agli affamati
e porta la liberazione ai prigionieri.
Il Signore apre gli occhi ai ciechi
il Signore raddrizza chi è curvato
il Signore ama i credenti
il Signore protegge gli stranieri.
Sostiene l’orfano e la vedova
ma sovverte le vie dei malvagi
il Signore regna per sempre
il tuo Dio, o Sion, nei secoli.
salmo 146 (145)
… La nostra personale storia è la storia dell’umanità intera sono spesso storie scritte dalle lacrime, di pianti sommessi o disperati, irrefrenabili o contenuti, pianti che sono una pressante richiesta a Dio perchè consoli, faccia giustizia, risani le ferite, mostri il suo volto, instauri per sempre e per tutti il Suo Regno di pace e di giustizia. Le lacrime versate davanti a Dio invocano “Venga il tuo Regno”.
Luciano Manicardi
L’umano soffrire, Ed. Qiqajon