Prima l’altro, prima Lui.
Gesù Cristo, Re dell’universo
(Ez 34,11-12.15-17 / Sal 22 / 1Cor 15,20-26.28 / Mt 25,31-46)
Per la vita degli umili e degli oppressi, per la gioia di essere tutti liberi, perché mai nessuno confonda autorità con potere, perché ogni potere sia come il dominio del sole che più si effonde più sprigiona vita: donaci il tuo Spirito, Signore. Amen.
(David Maria Turoldo)
Dal Vangelo secondo Matteo (25,31-46)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Se per un attimo riuscissimo a dimenticarci, se per un istante non avessimo questo pensiero di salvare noi stessi, se per un momento ci facessimo da parte e accantonassimo pure questa somma di umane paure mescolate a giudizi e pareri anch’essi umani, potremmo ascoltare queste parole di Vangelo, così laiche eppure così decisive, con un altro atteggiamento. Non la paura di un giudizio finale ma un monito per la nostra vita presente e più quotidiana, un invito che anche oggi ci viene rivolto per non perdere il fine, il senso del nostro stare qui sulla terra.
Quando l’uomo prova ad affacciarsi su pensieri e discorsi attorno alle cose “ultime” (quelle che nel catechismo si chiamano “novissimi” proprio con il significato delle cose finali e cioè: morte, giudizio, inferno e paradiso) ci accorgiamo di balbettare sempre più e ci scopriamo quasi incapaci a parlare con chiarezza… ma questo balbettare della fine ci permette anche solo di averne il pensiero, di dare un senso, di portarci dentro delle domande un poco più serie di quel solito: “Cosa si mangia? cosa si beve? come mi vesto?” Perché anche a proposito di queste quotidiane domande ci aveva avvertito di non preoccuparci e di dare un’occhiata fuori di noi: perfino ai gigli del campo in terra e agli uccelli in cielo.
Se dunque riuscissimo a fare questo salto della fede fuori da noi stessi, oltre questo moderno ostacolo di pensare prima a se stessi, ascolteremmo veramente il Vangelo e ci apparirebbe anzitutto proprio il Figlio dell’uomo, seduto sul trono della sua gloria. Perché il Vangelo è prima di tutto annuncio di Gesù, dove “Gesù” è da intendersi come il soggetto che compie un annuncio ma pure l’oggetto di ogni annuncio.
È prezioso sapere che, ancor prima di vedere quel Dio che tanto abbiamo cercato, prima ci sarà il Figlio dell’uomo. E poiché ci aveva detto che per Lui si giunge al Padre, è qualcosa di consolante sapere che troveremo quella Via, la Verità e la Vita. È rassicurante saperlo riconoscere per la voce e per il contenuto del suo parlarci nuovamente. Non potremmo di certo dire: “Non lo sapevo!”.Piuttosto potrebbe essere motivo di esultanza il poter sentire queste parole alla resa dei conti e riconoscere proprio il Signore giacché queste parole, anche solo qualche volta nell’esistenza terrena, le avevamo ascoltate. E quindi sarebbe per noi motivo di riconoscere la sua fedeltà mantenuta e le promesse di Dio completamente realizzate.
Alcuni davanti a “Matteo 25” (il vangelo di oggi per l’appunto) provano una certa paura che spesso si confonde con la parola “timore”. Per altri invece quelle parole sono troppo laiche perché la fede sarebbe qualcosa di più religioso o di più mistico.
Verrà dunque il Figlio dell’uomo, così come lo hanno visto andarsene, cioè carico di tutta quell’umanità che Egli, nel suo passaggio terreno, ha preso sulle sue spalle. Un po’ come quando si dice che il Risorto mostrava il segno dei chiodi e la ferita al costato. C’è un’umanità ferita nelle sue mani e queste mani non le mostrerà più a noi, ma al Padre suo. Sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre […] perché Dio sia tutto in tutti. (1 Cor 15, 20.28) Solo allora vedremo Dio e sarà tutto in tutti. Ma prima è necessario che riconosciamo in qualsiasi uomo questa umanità che il Figlio ha tra le mani. E noi, che siamo figli di Dio, perché non teniamo in custodia questa stessa umanità?
Sono preoccupato di tutti questi “prima noi” che sento dire sempre più. E voglio pure ascoltare anche queste grida perché oggi questa è la nostra umanità: ferita, infelice, arrabbiata, risentita. Che pare sappia solo rivendicare per sé. E se ne parlo è comunque per un certo affetto perché voglio considerare anche queste grida senza ignorarle. Provo un certo dispiacere per chi rivendica priorità e precedenza. E finché era questione di primi posti nei banchetti… fate pure! “Prima noi” sulla bocca di un cristiano stona assai! Ma proprio assai! Perché in teoria e in pratica noi saremmo i discepoli di Colui che s’è messo all’ultimo posto, spogliando se stesso e assumendo la condizione di servo (Fil 2, 7). È Lui che ancora oggi dirà a noi, nel corso delle nostre liturgie, “prima l’altro”. Prima chi ha fame e sete; prima chi è nudo; prima chi è forestiero; prima chi è malato o in carcere.
Sono solo parole? Forse… ma sono quelle parole che performano l’esistenza, che danno forma alle nostre decisioni, ai nostri comportamenti, ai nostri modi di vivere. Osserviamoci un istante nelle nostre abitudini e poi giudichiamoci da noi stessi, correggendo e convertendo i nostri comportamenti mentre siamo ancora in tempo. Questo “prima noi” sulla bocca di tanti cristiani mi fa letteralmente soffrire perché in fondo ho perfino timore che non abbiano ancora incontrato l’umanità di Gesù. E dunque, gridate pure “Prima noi” perché è un diritto quello di pensare e di parlare. Gridate pure “prima noi” ma con più onesta… gridalo solo se hai davvero fame e non puoi scegliere tra pane, pizza o focaccia; gridalo solo se hai davvero sete e non puoi scegliere tra acqua con le bollicine o senza; gridalo solo se non hai un capo firmato nell’armadio o nel cassetto e anche se la scusa è sempre la stessa (“Me lo hanno regalato!”) tu insegna per tempo a chi ti farà regali a conoscerti meglio; gridalo solo se sarai davvero malato sapendo però che ci sono malati che ancora dicono: “Prima gli altri”; gridalo solo se non hai una terra e una casa intestata a tuo nome; gridalo solo se hai provato a vivere in altre terre e in altri paesi e non per le vacanze pianificate ma solo per estrema necessità; e non gridarlo affatto, neppure se durante il lockdown ti senti limitato nei tuoi spostamenti, che non sappiamo neppure come sia una prigione se non per le favole e per i film dove in cella ci finiscono solo i cattivi, e noi in prigione non ci siamo perché Cristo ci ha liberati da questa capricciosa cattività… di vedere solo se stessi.
Un rimedio c’è: fermiamoci un istante, al termine di ogni giornata. Prendiamoci un foglio, poi due… e alla fine un piccolo quaderno e proviamo a scriverci tutte le volte che altri ci hanno messo prima di loro: una madre che ci ha tenuto tra le braccia, ci ha nutrito e ci ha pulito “il sederino quando facevamo la cacca”; un padre che si alzava di notte per andare a lavorare e non far mancare nulla ai suoi figli; maestre che ci hanno insegnato ad impugnare una penna per scrivere e poi a leggere la storia che altri hanno scritto prima di noi; e tutte le volte che ci siamo sentiti come nudi a causa dei nostri errori… e il Signore, Lui per primo, che ha sempre trovato un modo per rivestirci con la sua misericordia. E allora perché gridare ancora: “Prima noi”?
La tua regalità, Signore,
non sta sui troni che ti abbiamo costruito.
Tu sei presente nei poveri, nei malati,
negli ultimi della terra.
Sono essi la tua vivente icona in mezzo a noi.
Venga il tuo regno, Signore, in mezzo a noi,
e sia il regno di coloro che non confidano in se stessi ma in Dio,
sia il regno dei miti e degli umili,
il regno dei misericordiosi e degli integri di cuore.
Venga il tuo regno di coloro che costruiscono ponti di pace.
(Angelo Casati)
O Pastore delle nostre vite, nostro unico re,
tu che non conosci altra gloria se non d’amare:
liberaci da tutti gli altri re della terra,
da questi prìncipi e capi
che se non mandano a morire
non riescono mai a regnare.
Amen.
(David Maria Turoldo)
Che grande riflessione ci ispira questa pagina e che grande monito per la nostra vita! È un invito a vivere il presente come tempo utile per ” riempire la nostra valigia di opere di carità”- come diceva madre Teresa di Calcutta-
Invochiamo lo Spirito Santo perché cambi il nostro cuore….annienti quei “virus”che sono:l’egoismo,la superbia, l’arrivismo,ecc.che ci sono di ostacolo all’ amore verso i fratelli, secondo l’ esempio di Gesù
Signore, quando avverrà l’incontro finale con Te, non sono tanto sicura di essere destinata al recinto delle pecore. Perché il Tuo giudizio non è sul male commesso,ma sul bene compiuto.
Questo brano di Vangelo mi avvisa e mi dona speranza: sono ancora in tempo a
” giocarmi ” a quale recinto voglio appartenere.
E’ successo anche a noi pellegrini in Terra Santa.
Appena lasciata la città ( Gerico?), in prossimità del deserto della Giudea il nostro pullman, dopo qualche avvisaglia di cedimento, si ferma nel bel mezzo del niente.
Una frase di don Stefano: “Adesso siamo noi stranieri in terra straniera bisognosi di aiuto” ci ha calati in una realtà lontana da noi.
E’ stato un attimo ma abbiamo capito.
Sempre piacevole leggere