Quando non sapremo più cosa significa “prendere”
(1Mac 6,1-13 / Sal 9 / Lc 20,27-40)
Le provarono davvero tutte per avere un motivo di cui accusarlo, per avere un capo di imputazione. Uno degli ultimi tranelli che gli tesero riguardava la resurrezione dai morti. Ci provarono i sadducei i quali – ci ricorda l’evangelista Luca – non credono a questa faccenda. Ci provarono presentando il caso più limite che potesse mai accadere, quasi a voler già ridicolizzare questa fede nella resurrezione.
Al fondo di questa questione c’era il tema dell’immortalità da intendersi anzitutto come il permanere di un «nome» nella storia. Una catena di generazioni avrebbe garantito ad una famiglia il permanere del nome nel tempo che scorre inesorabile. Generare figli, nella cultura d’Israele come in molte altre culture, è la condizione per continuare a vivere anche dopo la morte.
Gesù dunque inizierà a rispondere evidenziando anzitutto la differenza tra i figli di questo mondo e i figli di Dio, dimostrando così che dare la vita non è solo un’operazione biologica tra uomo e donna. In secondo luogo, Gesù fa notare come il verbo «prendere» caratterizza il nostro vivere prima della morte… e forse la morte ha proprio a che fare con questa bramosia di prendere. Così nella vita da risorti non si prende più nulla, ma tutto è ricevuto e accolto come dono. E poiché la vita è prerogativa di Dio – ed Egli non può che farcene dono – così dopo la morte, la resurrezione non sarà qualcosa che possiamo «prendere» per quell’istinto di sopravvivenza che ci fa aggrappare a tutto, che siano cose o persone.
I figli di questo mondo sono coloro che vivono le relazione lontano dalla gratuità e cercano sempre un tornaconto per garantirsi un nome, una posizione riconosciuta. Non è un caso che Gesù utilizzerà anche altrove l’espressione «figli di questo mondo» per parlare di persone prive di fede che diventano malvagie proprio perché segnate dalla brama di possedere.
Per comprendere meglio la diatriba in corso va pure sottolineato che chi non si sposava non godeva di buona reputazione sia perché sembrava non rispondere al comando dato da Dio all’uomo – «siate fecondi e moltiplicatevi» – sia perché non avrebbe avuto modo di assicurarsi una posizione sociale, un posto rispettabile nel mondo. E così il ricordo di quella persona che non si sposava sarebbe scomparso molto presto e non più ricordato…. si accedeva così al regno dei morti che non hanno più parte in questa vita.
Gesù fa notare che vivere come figli di Dio, donando la propria vita invece che pensare solo a prendere e possedere per affermare se stessi e la propria reputazione, è già vivere per Dio ed è già vivere in questo mondo da risorti. Perché, non dimentichiamocelo, in questa disputa noi ci collochiamo tra quelli che credono alla resurrezione dei morti, ma ancor più crediamo in Colui che donando se stesso è risorto da morte. I figli di Dio saranno come gli angeli non per questioni di piumaggio ma per quella capacità – tipica degli angeli del Vangelo – di far udire le parole di Dio. Con la nostra stessa vita.
Signore,
aiutaci a cogliere
nel gemito della creazione,
non rantoli di morte,
bensì lamenti di partoriente;
aiutaci a cogliere nella croce
la promessa della risurrezione,
nella sofferenza i semi della gioia.
Ruben Alves
Dal Vangelo secondo Luca (20,27-30)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.
Non passare
– senza fare attenzione –
accanto all’insetto
che è caduto in acqua.
Aiutalo ad uscire,
e quando si pulisce le ali,
sappi che ti è successa una cosa meravigliosa:
la fortuna di aver salvato una vita,
di aver agito per incarico di Dio.
Albert Schweitzer
Sentirsi “membra vive del Suo corpo”, che i tuoi occhi, i tuoi orecchi, la tua bocca, le tue mani possono essere Suoi occhi, Suoi orecchi, Sua bocca e Sue mani, grazie al Dio che abita in noi è forse già vivere da risorti? Me lo chiedo e so solo rispondermi che se ciò che si fa nella libertà aggiunge vita, porta del bene e fa crescere in amore allora lì c’è proprio Dio all’opera per la nostra o altrui resurrezione. Non serviranno cose eclatanti, visibili ma piccoli gesti, piccole cose che ci mettono in comunione con Lui e con gli altri fratelli e sorelle che ci ha donato. Perché “Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui”. Grazie a Dio.