Quel compimento senza fine
(1Ts 4,13-18 / Sal 95 / Lc 4,16-30)
L’estate delle vacanze è ormai agli sgoccioli un po’ per tutti e arrivano anche i giorni feriali in compagnia del Vangelo di Luca che iniziamo a leggere dal capitolo quarto. I racconti precedenti riguardano gli eventi del Natale: un po’ presto da meditare in questa stagione, se non fosse per certi ricordi personali: da ragazzo, il rientro delle vacanze coincideva per me con il momento in cui, con larghissimo anticipo (prima ancora di tutti gli spot pubblicitari di pandori e panettoni!) iniziavo a progettare il presepio di casa da realizzare, nei ritagli di tempo, in una parte della grande terrazza. Con una Bibbia a fumetti iniziavo a leggere proprio dal Vangelo di Luca fatti e avvenimenti natalizi, in cerca di indizi preziosi alla realizzazione. In un certo senso – lo dico a distanza di tempo – anche quello fu come un primo incontro con le Scritture. Realizzare il presepe sembrava allora dare visibilità plastica a quanto c’era scritto. Più tardi conobbi gli avvenimenti della passione di Gesù attraverso l’incontro con la musica classica di Bach e Handel. Ma di questo già ne ho parlato, sempre da queste pagine. Dovrei pure annotare che, a quei tempi, la vita di una comunità parrocchiale non sapevo nemmeno cosa fosse.
Il passo di oggi, tra gli eventi natalizi e pasquali, è per me una delle pagine più belle di questo Vangelo. Cosa significhi dire «più belle», di preciso non saprei. Sento tuttavia che a questo episodio si possono riferire molte delle cose accadute poi nella vita di Gesù e che Luca stesso ha raccontato. Una specie di sommario, se così si può dire.
Leggere ad alta voce un brano delle Scritture perché i presenti possano sentire la Parola di Dio che certamente non è fatta – come disse Madeleine Delbrêl – per rimanere scritta nei libri e poi, improvvisamente rendersi conto che quella Parola sta parlando proprio a te che leggi. E così mentre la Tua voce giungeva agli orecchi dei presenti, la Parola arrivava al Tuo cuore! Fu quello un momento capitale: decidere nel proprio cuore che proprio quello sarebbe stato il programma della sua vita terrena.
Riavvolse il rotolo secondo il rituale, ma la Parola ormai era nel cuore. Non era più prigioniera tra quelle due estremità su cui scorrevano le pergamene. La Parola di Dio ormai era nell’aria. Negli occhi dei presenti potevi leggere l’attesa. Fissavano un Gesù ormai divenuto uomo, figlio di Giuseppe il falegname, di ritorno per un attimo al suo paese natale. Ora attendevano da lui un commento, una spiegazione. Ora tutti pendevano dalle sue labbra. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Certo, fu l’omelia più breve della storia e molti ancora oggi ne sarebbero felici. Ma questa è solo una battuta, un po’ vecchiotta per giunta. Parlò di compimento ma fu come un inizio. Luca annota che «cominciò a dire» come ad indicare un’azione che dura nel tempo. E solo la morte di croce parve agli occhi degli stolti il momento in cui davvero smise di parlare al mondo. Ma non abbiamo ancora terminato di leggere le Scritture e non abbiamo ancora terminato di darne il giusto compimento.
Così si compiono le Scritture se sapremo portare un lieto annuncio ai poveri, se sapremo riconoscere le nostre povertà e sentire che il Vangelo è proprio un dono per questa povertà che è la mia, la nostra. Si compiono le Scritture se sapremo riconoscere ciò che ancora ci imprigiona e ci impedisce di vivere della libertà dei figli di Dio. Si compiono le Scritture se sapremo riconoscerci ciechi e ci lasceremo guidare solo dalla Parola. Si compiono le Scritture se sapremo liberare gli oppressi, non senza prima aver riconosciuto le nostre oppressioni così da comprendere meglio quelle altrui. E da quel giorno, anche per noi, ogni anno, ogni mese, ogni giorno, ogni istante potrebbero essere parte di quel tempo di grazia del Signore che non ha fine.
Ma le Scritture – come sul rovescio di una medaglia – si possono compiere anche in un altro senso che nemmeno Luca nega e non tralascia di raccontare. Si compiono le Scritture anche per quella resistenza – laddove non sia rifiuto – alla Parola di Dio che ci chiede di vivere una vita umanissima alla maniera di Gesù. E più il commento alle Scritture si faceva profondo e penetrante, più lo stupore e la meraviglia iniziale degli ascoltatori di quel giorno in sinagoga, lasciavano spazio allo sdegno. All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte.
Quel giorno, quando in un attimo gli uomini mostrarono tutta la loro volubilità, le Scritture si stiano già compiendo per Gesù. Egli – come ben ascoltavamo ieri nella lettera dell’apostolo Giacomo – rivelava che presso di Lui non c’è variazione né ombra di cambiamento. (Gc 1,17). Fu tra quelli che mettono in pratica la Parola, e non fu soltanto un ascoltatore. Sarebbe stata un’illusione! (Gc 1, 21-22) Già si sentiva un uomo libero, già i suoi occhi s’erano aperti su un cammino che non tutti erano in grado di vedere. Non gli rimase che passare in mezzo ai presenti, fendendo in due tutto quello sdegno. Mettersi in cammino è la sola strada possibile.
Dio onnipotente,
unica fonte di ogni dono perfetto,
infondi nei nostri cuori l’amore per il tuo nome,
accresci la nostra dedizione a te,
fa’ maturare ogni germe di bene
e custodiscilo con vigile cura.
Per Cristo, nostro Signore.
Amen.
(orazione di colletta, dalla liturgia di questa settimana)
Dal Vangelo secondo Luca (4,16-30)
In quel tempo, Gesù venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Non può non andare colui che possiede il tuo Spirito, Signore.
Noi immaginiamo sempre che per andare
occorrano strade, tappe e paesi che cambiano.
Ma la tua via non consiste in questo.
È la vita, semplicemente:
la vita che scorre e nella quale andiamo
se le nostre àncore sono levate.
Da te, Signore, siamo chiamati ad andare
leggeri, senza possessi, con una fede nuda, essenziale.
Questa fede ci rende semplici della tua grande semplicità.
Essa si acquista con il sacrificio
di tutto quanto non sia il Regno dei cieli.
Allora quelli che ci incontreranno sul loro cammino
tenderanno le mani avide al tesoro che zampilla da noi:
un tesoro liberato dai nostri vasi di terra,
dalle nostre valigie, dai nostri bagagli,
un tesoro semplicemente divino.
Allora noi saremo agili
e diventeremo a nostra volta delle parabole
che donano a tutti la perla preziosa, la vita vera.
(Madeleine Delbrêl)
Se da adolescente ero alla ricerca del “senso della fede Cristiana” e, per fortuna, ho trovato chi mi ha detto che “alla base c’è l’amore”, crescendo le domande si sono infittite e diversificate. Alle molte domande una delle risposte più frequenti era “Affidati a Dio”, ma non è moca facile capire “come” fare. Non c’è un libretto d’istruzioni e i consigli, quando ci sono, sono soggettivi come soggettive sono le esperienze vissute da ciascuno. Con gli anni ho poi incontrato chi mi ha invitata a pregare Dio Padre, parlare con lui ed invocare su di me lo Spirito Santo perché mi aiutasse a discernere. Cosí pian pianino, con la pratica e l’esperienza che si andava affinando, ho capito un po’ meglio come fare e devo dire che è bello quando capita, talvolta, di sentire di essere “sulla strada giusta”, che si stanno facendo fruttare al meglio le doti ricevute . È una cosa bella perché, quando capita, lo si sente davvero con tutti sé stessi, un po’ come scoprire di essere propria al posto giusto e nel momento giusto. È una cosa che da proprio un bello slancio che, per le creature fallaci che siamo, di tanto in tanto è un’autentica benedizione!