Quel deserto senza nemmeno un albero
I domenica di Quaresima (A)
(Gen 2,7-9; 3,1-7 / Sal 50 / Rm 5,12-19 / Mt 4,1-11)
Ogni fiume ha la sua sorgente, ogni albero un seme da cui proviene. Ogni uomo proviene dalla medesima terra. Solo il colore della sua pelle li rende così apparentemente differenti ma diverse sono pure le sfumature della Terra, questo pianeta dove vive l’uomo in compagnia di Dio. Un soffio anima ogni uomo. Il Signore – sta scritto – piantò un giardino per collocarvi l’uomo. Se i fiumi hanno le loro sorgenti, ogni creatura il seme da cui proviene, dove dunque si origina la fede? Qual’è il suo principio?
Anche la fede ha una sorgente, un principio: essa nasce dall’ascolto. Nell’ascolto ha origine la fiducia e tutto quello che da essa proviene: la stima, l’amicizia, l’amore, l’obbedienza, la giustizia, la pace. Ma la fede, come l’uomo, ha nelle tentazioni il suo sottile nemico: un serpente che viene ad insinuarsi nel cuore di chi ascolta per seminarvi il dubbio di aver ascoltato correttamente o il sospetto circa le migliori intenzioni di Dio verso le sue creature.
E come Adamo, l’uomo plasmato dalla terra ma animato dallo Spirito, fu tentato, così pure Cristo dovette passare al vaglio del tentatore. Non solo si mise in fila con i peccatori al fiume giordano, ma di lì a poco si incammino nel deserto – luogo simbolo di ogni umano limite – per provare ciò che provano gli uomini: fame, sete, freddo e caldo… e provare pure le vertigini seducenti del potere: il potere di poter disporre di ogni cosa secondo il proprio bisogno, la propria fame, la propria ingordigia. E fu lo Spirito, quello stesso spirito che fin da principio covava sopra il caos per portare alla luce la Vita di Dio nelle sue creature.
Adamo ed Eva non riuscirono a resistere: il serpente si divertiva a confondere loro le idee, offriva loro l’occasione dell’onnipotenza, ignorando così il limite stesso dell’umano. Assaggiarono l’amaro sapore di scoprirsi disobbedienti, stupidamente tratti in inganno da quella voglia di toccare con mano, di portare alla bocca un cibo ancora troppo acerbo per loro… piuttosto che di fidarsi ciecamente della Parola. Ogni frutto ha bisogno di tempo per maturare. Anche l’uomo. Anche la sua fede. La vita è il tempo in cui matura la nostra fede, come i quaranta giorni di Gesù nel deserto, come i quarant’anni del popolo nel deserto.
Nel c’erano alberi in quel deserto. Solo il silenzio assordante nel deserto dove Cristo fu tentato. Lui affamato di Parole che provenissero da quel Padre che nel battesimo gli aveva appena confermato il suo amore. E in così poco tempo la vita dovette apparire arida. Se decise di non trasformare pietre in pane è perché lì comprese che solo Lui avrebbe potuto farsi pane per i suoi. E prese il pane nelle sue mani, la sera prima di morire per donarlo ai suoi commensali: donare la propria vita come fosse pane è l’unico modo per non perdere la vita stessa prima che questa arrivi al suo limite. E non si gettò dal punto più alto del tempio perché sapeva piuttosto sarebbe stato innalzato da terra, perché dall’alto di quella croce ognuno potesse essere salvato da un amore che tutto sopporta, che tutto perdona. E non gli importava di possedere nulla perché sentiva che ogni cosa era un dono ricevuto e al Padre dava lode per ogni cosa. La sua vita messa al mondo dalla Madre, come il più vero dei culti umani, la volle restituire attraverso il suo stesso corpo al Padre nell’amore per i suoi fratelli.
Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti. (Rom 5,18-19)
Dal Vangelo secondo Matteo
(4,1-11)
In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.
Dio, tu mi conduci nel deserto,
dove la vita è difficile,
dove domina il dubbio,
dove regna l’oscurità, dove manchi Tu.
Il deserto è un passaggio per chi Ti ha scelto,
un passaggio per chi Ti ama,
un passaggio necessario alla vita,
un passaggio che mette alla prova.
Tu mi dai la prova,
ma anche la forza di superarla;
mi dai il deserto,
ma anche la forza di proseguire.
Ho paura del deserto,
ho paura di mancare,
ho paura di abbandonarti.
È facile sentirti nella gioia,
é semplice scoprirti nella natura,
è difficile amarTi nel deserto.
Nella notte del dolore,
nell’oscurità del dubbio,
nel deserto della vita non farmi dubitare di Te.
Non Ti chiedo di liberarmi dal deserto,
ma aiutami a comunicare con Te,
non Ti prego di togliermi dal deserto,
ma fammi camminare verso di Te.
(autore anonimo)
Il deserto….
Metafora delle prove della nostra vita, dove ti pare di non aver nessuno che ti aiuti, di non trovare risorse per affrontare le situazioni.
Invece, come il deserto nasconde tanta vita e opportunità basta saperle trovare, anche nei nostri deserti puoi trovare la forza che ti serve.
Bisogna avere fede, cioè quella fiducia che ti fa desiderare e sperare, senza stancarti, nell’aiuto del Padre.
Se io dico a una persona mi fido di te, la persona indicata si sente responsabile nel custodire la mia fiducia.
A maggior ragione non vuoi che il Padre custodisca la nostra fiducia, la nostra fede?
Mi viene in mente Madre Teresa di Calcutta e il racconto del suo “deserto spirituale” vissuto per tanti anni.
Come può aver resistito Madre Teresa se non avesse continuato ad avere “fede/fiducia” nella vicinanza del Padre?
E Gesù, nel “suo” deserto si è appellato sia alle risorse umane come le nostre, sia alle risorse divine con l’aiuto del Padre.
Questo non ci può che incoraggiare nel cammino della nostra vita, guardando il nostro deserto non solo come luogo di fatica, ma luogo dove scoprire vita nascosta, opportunità e, perché no, una sfida con noi stessi.
Dunque anch’io entrerò nel mio “deserto spirituale” non sfiduciata ma con gli occhi aperti per trovare vita nascosta e orecchi attenti alla brezza leggera che porta con sé la “voce del Padre”.
Sì, mio Signore: non Ti chiedo di togliermi dal deserto, ma di camminare con me.
Grazie per la riflessione e la preghiera…Gesù ha provato le nostre tentazioni e le ha vinte con la Parola di Dio.Anche noi impariamo da Lui ad affrontare le tentazioni non con le nostre fragili forze ma sulla sua Parola. Ogni giorno mettiamo nelle sue mani le nostre fragili vite.
Buon cammino.
Gesù fu tentato dal demonio per quaranta giorni (il tempo dunque della Quaresima), ogni giorno, ma riuscì a resistere alle sue false promesse pregando il Padre Suo che è nei Cieli. Io posso pensare: “ma io non sono Gesù! Non ce la posso fare…”. Questo non corrisponde a verità. Personalmente ne provo molte di tentazioni e, paradossalmente, di più in questo periodo liturgico. Così, ogni volta che mi si presenta una tentazione, invoco S. Michele Arcangelo e penso alle parole di Gesù. “Le tentazioni sono quei desideri che provengono dall’esterno e che noi vorremmo fare nostre, sbagliando contro noi stessi e contro gli altri”. Quando vivo un periodo doloroso penso a quanto diceva S. Caterina da Siena: “Nel dolore non ci resta niente, ma ci resta l’Amore di Dio che è tutto”. Non è immediato vivere così alcune o tante situazioni nella mia vita, ma credo che la mia umanità così imperfetta perché ferita dal peccato originale, sia già stata salvata da Gesù e amata. Ho la grazia di sentirLo vicino a me, mio compagno di vita. Questo mi è stato insegnato dall’essere educata stando in un un ambito ben preciso che è la Chiesa, mi è stato insegnato da mia madre, dalla mia nonna. Non erano persone più fortunate di altre, erano semplicemente persone che vivevano il Cristianesimo nella loro semplicità e nella loro quotidianità e io desidero con tutto il mio cuore diventare come loro, di avere cioè una statura umana e di fede come la loro.
Il deserto, per chi è stato in Terra Santa, ti entra dentro, dopo che ti ha inquietato e sedotto allo stesso tempo…non te lo puoi dimenticare!
Ecco allora un buon motivo per ritornarvi, riuscendo magari la prossima volta a vedere e/o visitare il Monastero di San Giorgio, come avrei voluto poter fare allora.
Un altro è entrare nel sepolcro perché non vi entrai; io e la mia compagna di viaggio sostammo troppo a lungo sotto la croce, non avendo poi più il tempo per entrare nel sepolcro, vista la lunga fila di persone in attesa. Qualcuno per consolarci e strapparci un sorriso ci disse che era vuoto, ma sicuramente se avrò l’occasione di ritornarvi non mancherò di farlo.
Ma ecco cosa farò oggi: tornerò là, rileggendo il diario di quei giorni, le omelie, le parole altrui e mie.
Il deserto mi sembrerà nuovamente quel luogo in cui la vita ci può condurre, in cui qualcuno ci tenterà perché nessuna esistenza è priva di tentazioni, ma in cui la Parola di Dio ci salverà.
“Nada te turbe, nada te espante, solo Dios basta” (Santa Teresa d’Avila).
Grazie Padre perché nel deserto tu sei con noi