Quel vuoto che ci appartiene
(Rm 1,16-25 / Sal 18 / Lc 11,37-41)
Per buona parte del suo Vangelo, Luca ci presenta Gesù invitato a pranzi e banchetti. Se non lo trovi per strada, in cammino, lo trovi sempre in casa di qualcuno a mangiare. Non sappiamo nulla dei suoi gusti, se avesse un piatto preferito… non è poi così male sorprendere un ospite con uno dei suoi piatti preferiti e farlo felice già così. Sicuramente – lo aveva chiesto ai suoi discepoli quando diede loro alcune consegne per la missione – avrà Lui pure mangiato ciò che gli offrivano, che si trattasse del piatto preferito o meno (Lc 10,8). Di tutti questi inviti a pranzo, possiamo poi distinguere gli inviti ricevuti da quelli che potremmo chiamare auto-inviti, dove Gesù stesso dichiarava di volersi fermare in casa di qualcuno. L’invito in casa di Zaccheo è quello a noi più noto (Lc 19,5).
È vero che nel testo originale non esistono suddivisioni in capitoli e versetti, ma teniamo presente anche il contesto del brano di Vangelo che stiamo per leggere. Leggiamo cioè l’episodio di oggi in riferimento a quanto ascoltato pochi giorni fa: Gesù insegna a pregare – cioè insegna a vivere da figli del Padre – e poi invita a non ammutolire questa verità altrimenti dentro prendono dimora altri spiriti piuttosto che il Suo Spirito… e poi sono guai! Sono guai perché a secondo del soffio che ci anima, ne va della Vita, del nostro modo di stare al mondo.
Ma torniamo al pranzo. L’invito è fatto da un fariseo, persona brava, bravissima, rispettosa della Legge. Quel suo essere osservante di tutte le leggi religiose serve al fariseo per dare un ‘immagine di sé. È così bravo il fariseo che la sua bravura gli serve per giudicare meno bravi gli altri e per avere di che ringraziare Dio. Sarà Luca, qualche capitolo più in là, che ci farà ascoltare la preghiera nel cuore del fariseo: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo» (Lc 18, 11-12).
Il problema del fariseo (e pure del buon cristiano) è sempre lo stesso: si costruisce un’immagine di sé e dimentica d’essere immagine e somiglianza di Dio. O, anche solo, si dimentica di essere parte di una medesima umanità. La perfezione ricercata dal fariseo gli serve, in fondo in fondo, per difendersi da Dio stesso il quale è visto solo come colui davanti al quale bisogna essere bravi, pena il castigo, la condanna. Distorcendo l’idea di sé e costruendosi un «io-idolo» sempre da adorare e da incensare, di fatto si deforma pure l’immagine stessa di Dio, quell’immagine che Gesù portava perfettamente su di sé, come ogni Figlio di Dio dovrebbe. E Gesù dunque non si vergognerà di dire d’essere venuto per i peccatori. Non si separa da essi, per non separarsi dal Padre.
La Legge in fondo condanna sempre qualcuno e infatti il fariseo, buon osservante, condanna Gesù stesso cogliendolo nel suo non adempiere quei riti religiosi necessari anche per mettersi a tavola. Il rischio estremo poi sarà quello di condannare Dio che si permette di amare il povero e il peccatore… e a noi pare sempre così ingiusto! Il legalismo formale del fariseo diventa così un’inutile resistenza alla grazia, all’amore di Dio donato anzitutto a coloro che offrono sinceramente se stessi e non un’immagine di sé che bisogna sempre alimentare per sentirci separati (questo significa la parola fariseo) dagli altri.
Non fatevi – dirà san Paolo – un’idea troppo alta di voi stessi (Rom 12,16). Svuotiamoci dunque da tutto quel superfluo di cui ci riempiamo al punto di essere più tronfi agli occhi altrui e stiamocene, come ciotola vuota, davanti a Dio perché ci riempia del suo Spirito. E poi, diamo in elemosina questo dono ricevuto. È questa la vera giustizia: che tutti prendano coscienza di questo dono interiore che è l’amore di Dio, il suo Spirito, il suo Regno… e non che ci separiamo dai poveri per presunti meriti religiosamente acquisiti o per paradisi sperati o sognati, vuoti però di chi ne avrebbe più bisogno.
Fuoco d’amore, brucia nel mio cuore;
l’acqua della vita zampilla dentro me,
Spirito creatore, vieni nel mio cuore,
Consolatore, scendi su di me
Vieni, santo Spirito.
Vieni, Dio d’amore.
Vieni, Dio di gioia,
scendi su di me.
Plasmami. Guidami.
Usami. Salvami.
Dal Vangelo secondo Luca (11,37-41)
In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo.
Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro».
Fin dal primo mattino, al risveglio,
ci vorremmo precipitare
verso i compiti che ci molestano,
le opere che ci sollecitano,
di cui la preoccupazione ci ha sicuramente inseguiti.
[…] È il momento di dire a se stessi:
Niente di tutto questo deve toccarmi.
La prima ora della mia giornata apparitene al Signore.
Non si tratta qui di me, né delle mie capacità limitate. […]
Quando il Signore verrà verso di me,
nella santa comunione,
come santa Teresa gli domanderò:
«Signore dimmi, cosa vuoi da me?»
poi andrò verso quello che Egli mi rivelerà
in un dialogo silenzioso.
Recandomi al lavoro
dopo questo banchetto mattutino,
porterò un’anima tranquilla;
vuota di ciò che poteva opprimerla e turbarla,
piena di santa gioia, di forza e di ardore.
La mia anima sarà cresciuta e fortificata,
perché, uscita da se stessa,
sarà penetrata nella vita divina;
il Signore vi avrà acceso la fiamma della carità
che, bruciando dolcemente, la spingerà
a comunicare agli altri quel fuoco d’amore.
(Edit Stein – Santa Teresa Benedetta della Croce)
Fermarsi ai precetti, alle apparenze, all’esterno.
È più facile. Andare in profondità è faticoso, a volte fa persino male. E io da sola non ce la faccio… ma io non sono sola.
Signore, perché mi dimentico così facilmente che sei sempre accanto a me?
Aiutami a vincere questa resistenza, a far entrare la grazia del tuo Amore, la gioia della tua presenza.