Quella fede che fa bene agli altri
Il tempo di Epalinges, sulle alture della città di Losanna.
Da lì si apre una vista sul lago Lemano e sulle catene montuose della vicina Francia.
(Is 35,1-10 / Sal 84 / Lc 5,17-26)
In questi giorni – cosa che capita ogni volta che sia cambia luogo in cui si vive o ministero in cui prestar servizio – si tratta principalmente di mettersi al ritmo dei nuovi orari, dei nuovi impegni. Prima ancora che faccia giorno, prima dell’alba, ora è la celebrazione dell’Eucarestia – la Messa – ad aprire la mia giornata. Sicché mi accorgo che è necessario trovare un angolo di tempo alla fine di ogni giornata per postare sul blog. La liturgia settimana è celebrata in francese. Con piacere riprendo in mano il breviario di lingua francese. Ciò che sorprende sono i testi degli inni della liturgia francofona che precedono la recita dei salmi. Li ho sempre trovati molto poetici e tali li ritrovo. Così, opportunamente tradotti, ne compariranno alcuni in questi giorni.
Chiave di lettura di questo inizio del tempo di Avvento – almeno finché la novena di Natale non scandirà gli eventi precedenti la nascita di Gesù – è la riscoperta delle promesse di Dio avverate e mantenute. Proprio come Parola che si fa carne, che prende forma e si rende visibile. Toccò ai profeti di annunciare o ricordare le promesse divine. E dunque, come fa un profeta a trovare immagini e simboli per tradurre in modo visibile ciò che le promesse avrebbero avverato, ciò che Dio avrebbe compiuto per mostrare la Sua fedeltà?
Un profeta lo sa: anzitutto serve uno sguardo attento, che sappia contemplare e stupirsi di fronte a ciò che vede. Il profeta Isaia conosce bene ciò che può – seppur raramente – accadere nel deserto quando dovesse piovervi. E così scrive: «Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca» (Is 35,1-2a). I suoi occhi vedevano torrenti d’acqua che si aprivano la via tra montagne rocciose. Al suo passaggio l’acqua fa risvegliare la vita custodita nel profondo di ogni cosa.
E della venuta del Messia, il Signore, Isaia ne parla proprio in questi termini: «Egli viene a salvarvi. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua. I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli diventeranno canneti e giuncaie. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa» (Is 35,4-8)
Così il brano di vangelo odierno altro non è che l’ennesima prova: la promessa profetizzata da Isaia è ora nel suo più pieno avveramento. Un uomo paralitico è calato dall’alto per la fede di coloro che non solo per amicizia si fanno solidali, ma perché pienamente convinti che questo il Signore lo avrebbe certamente potuto fare. Era scritto che il Messia annoverava tra i suoi compiti proprio il ristabilimento della creazione. Quegli uomini dunque hanno fede in quella Promessa di cui anche Isaia si è fatto narratore attento. E Gesù – anche questo è sorprendente – è lui pure capace di contemplare e di vedere chiaramente in quel gesto la fede di quel gruppo di uomini.
«Ma il Figlio dell’uomo quando verrà, troverà ancora la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Quel giorno Gesù vide e trovò ancora la fede sulla terra. Una fede con un tratto distintivo particolare: una fede per gli altri, una fede che non riduce l’uomo ad essere preoccupato della sua sola e personale salvezza. La fede che Gesù vede e riconosce in quel gruppo di persone è una fede che è nata dall’ascolto delle promesse divine, una fede che si dedica alla piena realizzazione di quelle stesse promesse, in favore del prossimo, in favore di chi appare come sconfitto, perduto, condannato all’irreversibile. In fondo anche Gesù non stava dicendo altro: certo che Dio può perdonare i peccati ma ha dato questo potere pure ai figli dell’uomo perché le sue promesse si realizzino più efficacemente e la loro visibilità sia segno sicuro di credibilità.
Gesù venendo a visitarci ha portato con sé questo dono che è la fede. Essa nasce dall’ascolto della Parola e la Parola dal primo avvento di Gesù nel suo umile natale a Betlemme parla con voce di uomo e agisce per mezzo dell’uomo. A noi è chiesto di non interrompere questa fedeltà al primo comando che chiede all’uomo l’ascolto. A noi è chiesto di servirci di quella fede che abbiamo ricevuto in dono per il bene altrui. È così che ancora «oggi» si potranno vedere cose prodigiose
Dal Vangelo secondo Luca
(5,17-26)
Un giorno Gesù stava insegnando. Sedevano là anche dei farisei e maestri della Legge, venuti da ogni villaggio della Galilea e della Giudea, e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni.
Ed ecco, alcuni uomini, portando su un letto un uomo che era paralizzato, cercavano di farlo entrare e di metterlo davanti a lui. Non trovando da quale parte farlo entrare a causa della folla, salirono sul tetto e, attraverso le tegole, lo calarono con il lettuccio davanti a Gesù nel mezzo della stanza.
Vedendo la loro fede, disse: «Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati». Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere, dicendo: «Chi è costui che dice bestemmie? Chi può perdonare i peccati, se non Dio soltanto?».
Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: «Perché pensate così nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire “Ti sono perdonati i tuoi peccati”, oppure dire “Àlzati e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua». Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e andò a casa sua, glorificando Dio.
Tutti furono colti da stupore e davano gloria a Dio; pieni di timore dicevano: «Oggi abbiamo visto cose prodigiose».
Venga il giusto come rugiada,
la terra si apra al nostro Salvatore.
Terra che brucia come un deserto,
terra in genesi offerta allo Spirito,
quando dunque vedrai risvegliarsi
il seme divino?
Venga la Sua a dimorare in noi,
le terra si apra al fuoco del suo giorno:
terra dalle case così povere d’amore,
terra sulla quale anche Dio cerca dimora.
Quando dunque vedrai nei nostri corpi
la luce divina?
Venga la giustizia per l’oppresso,
la terra si apra al liberatore:
terra dove la morte sfida il suo vincitore,
terra delle nostre speranze troppo in fretta perdute,
quando dunque vedrai sorgere
le aurore divine?
Venga la sorgente dove l’uomo rinasce,
la terra si apra allo scorrere della vita:
terra nella quale la giovinezza presto appassisce,
terra in attesa di un mondo nuovo,
quando dunque vedrai rifiorire
le nostre infanzie divine?
Venga la sorgente nella quale l’uomo rinasce,
la terra si apra allo scorrere della vita!
Interessante questa fontana…E quanto mai calzante con il contesto delle letture di oggi! Forse se sintonizzassimo un po’ meglio le frequenze dei nostri cuori saremo più in grado di percepire quelle correnti, sinora tenute schiacciate sul fondo, capaci di rigenerarci autenticamente.
Probabilmente non serve nemmeno un grande sforzo di cambiamento, ma piuttosto un riordino delle priorità capace di togliere tutte quelle scorie con cui, convinti “non pesassero poi molto”, abbiamo finito per ricoprirci, appesantendo la nostra natura di creature di Dio.