Rallegra la vita dei tuoi servi

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Data :4 Luglio 2020

O Signore, dammi tutto ciò che mi conduce a Te. O Signore, toglimi tutto ciò che mi allontana da Te. O Signore, strappa anche me da me stessa, e dammi totalmente a Te. 

(Edith Stein 1891-1942)

Dal Vangelo secondo Matteo (9,14-17)

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno. Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa dal vestito e lo strappo diventa peggiore. Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano».

Domandare è lecito. Cortesemente risposte. Tra Giovanni, il più grande tra i nati di donna, e Gesù c’è un cambiamento di stile radicale. Giovanni digiunava – e invitava i suoi discepoli a fare altrettanto – così tanto che lo presero per un indemoniato, mentre Gesù si attirò la critica feroce di essere un mangione e un beone, amico di pubblicani e peccatori. (Mt 11, 15) Un confronto tra persone in perfetto stile umano. Non si tratta di contrapporre due stili o due messaggi, quello più ascetico di Giovanni e quello di Gesù che pare l’opposto: in realtà il digiuno dei discepoli di Giovanni preparava la festa della nuova alleanza, e Gesù sarà il compimento di quell’attesa, lo sposo che da inizio alle danze.

Per i farisei era prescritto un solo giorno di digiuno settimanale ma essi ne osservavano un secondo: nel dubbio era meglio insistere, meglio abbondare che scarseggiare. Presero pertanto l’abitudine di due digiuni a settimana. Il digiuno è una preghiera di supplica a Dio, un’azione corporea che rafforza un desiderio o una decisione dello spirito. Col digiuno si chiedeva il perdono dei peccati e si esprimeva questa volontà di tornare a Dio che poteva così soddisfare questa fame di misericordia e di perdono.

Anche Gesù conosce il digiuno e lo praticherà nei quaranta giorni nel deserto. Lo suggerisce anche come buona pratica proprio nel “discorso della montagna” laddove sottolinea la necessità di digiunare nel segreto, senza mostrarsi afflitti e in pena. In questo consiglio si intuisce già la novità: “Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto” (Mt 6,17). Si digiuna perché è vicino il tempo della festa, della salvezza e della gioia. Il digiuno, per come lo intende Gesù, non è più quindi afflizione o espiazione, ma è un digiuno che prepara all’incontro e dispone meglio a far festa.

I discepoli di Gesù non digiunavano perché Gesù fece loro comprendere che era giunto il tempo delle nozze: immagine intima dell’incontro di Dio con il suo popolo. Non mancano nei Vangeli immagini e parabole di feste e banchetti per esprimere la gioia di un ritrovamento, la salvezza ottenuta e accolta.

Quindi digiunare o far festa? Quante volte non sappiamo bene cosa sia meglio fare sapendo o intuendo che una e l’altra cosa hanno un valore e un significato! Probabilmente già al tempo delle prime comunità cristiane, qualcuno tentava di conciliare antichi precetti del giudaismo con la novità offerta da Gesù stesso. Nel dubbio, meglio fare entrambe le cose così da non sbagliare, pensiamo!

Due immagini, quella del rattoppo su un vestito vecchio e del vino versato negli otri, servono a farci capire che la rigidità di alcune pratiche poco si sposa con la liberazione offerta dal Vangelo stesso. “Il filosofo Nietzsche osava affermante che non è vero che Cristo è risorto altrimenti i cristiani avrebbero un’altra faccia perché è proprio di Dio dare gioia. È una cosa molto dimenticata dai cristiani perché conosciamo spesso il dovere, conosciamo spesso tanti impegni, tutti giusti, conoscere la gioia è conoscere Dio. Non è una gioia a buon mercato, è una gioia che sa resistere alle difficoltà. E la regola corrispettiva e contraria è che è proprio del nemico togliere la gioia in tutti i modi, perché ci vuol poco per togliere la gioia, basta una contrarietà, basta subire una ingiustizia, sono infiniti motivi per essere tristi; il male c’è, il peccato c’è, i miei limiti ci sono. Dio tuttavia mi dà gioia. Perché il mio male è il luogo del perdono, la mia miseria è quello della misericordia, il mio limite è il luogo della comunione” (Silvano Fausti)

Vino e otri vanno salvati: gli otri per contenere il vino, e il vino per dare tono gioioso alla vita. Noi portiamo questo tesoro in vasi di creta; l’uomo è quell’otre da salvare perché possa contenere quel vino nuovo che è Gesù stesso il quale certamente può dare un sapore nuovo alla vita: essere versati! Per rallegrare la vita.

Arcabas, Le nozze di Cana, particolare del polittico

Signore, tendi l’orecchio, rispondimi, 

perché io sono povero e misero.

Custodiscimi perché sono fedele;

tu, Dio mio, salva il tuo servo, che in te confida.

Pietà di me, Signore, a te grido tutto il giorno.

Rallegra la vita del tuo servo,

perché a te, Signore, rivolgo l’anima mia.

Tu sei buono, Signore, e perdoni,

sei pieno di misericordia con chi t’invoca.

Porgi l’orecchio, Signore, alla mia preghiera

e sii attento alla voce delle mie suppliche.

Grande tu sei e compi meraviglie: 

tu solo sei Dio.

Grande con me è la tua misericordia:

hai liberato la mia vita dal profondo degli inferi.

dal salmo 85 (86)


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