Regale o Sacerdotale? Semplicemente Figlio di Dio
(Tb 11,5-17 / Sal 145 / Mc 12,35-37)
Il cieco Bartimeo riuscì ad attirare l’attenzione di Gesù gridando: «Figlio di Davide, abbi pietà di me». E la folla lo osannerà con lo stesso nome quando farà il suo ingresso nella città santa in occasione della Pasqua. C’era questa convinzione (o pregiudizio?) attorno all’identità del Messia tanto atteso: egli doveva essere figlio (cioè discendente) del re Davide. Quando qualcuno svelò la sua vera identità dicendo che era piuttosto il figlio di Giuseppe, il carpentiere di Nazareth, il pregiudizio si fece ancora più forte: «Cosa può mai venire di buono da Nazareth?» (Gv 1,46)
Vivevano nell’attesa del Messia. C’erano tante di quelle cose da ristabilire e mettere in ordine che solo un Messia poteva farlo. Pensando ai regni precedenti, quello di David pareva ancora il migliore e così, per fede, decisero presto che il Messia doveva essere suo discendente. Per zittire i suoi interlocutori che da tempo lo stavano interrogando e mettendo alla prova, Gesù dimostra con la Scrittura l’origine del vero Messia. Scrittura alla mano, Gesù parte da una citazione del salmo 110 nel quale Davide chiamerebbe Signore il messia. Ma qual’è il padre che chiama Signore un suo figlio?
Attendevano un messia e lo cercavano. A questo punto è chiaro che il Messia va cercato dalle parti della semplicità e non del potere. Non vollero accoglierlo per le sue umili origini. La nascita nella grotta di Betlemme è l’altro modo per dire che non nasce a palazzo, alla coorte.
Il termine messianismo è stato coniato dagli studiosi per indicare una funzione di salvezza che alle origini era legata ai compiti del re in quanto rappresentante di Dio sulla terra. Diamo un po’ di numeri: nella Bibbia il termine Messia viene usato trentotto volte: due in riferimento ai patriarchi; sei per sacerdoti, una volta sola a proposito di Ciro, re di Persia, e ben ventinove volte per re israeliti. A dimostrazione di quanto fossero già ampiamente convinti dell’origine regale del Messia. Sarà soprattutto il profeta Isaia ad indicare il Messia quale discendente del re Davide. È con il profeta Ezechiele (prima metà del VI sec. a.C.) che cominciano le riletture delle profezie messianiche: il messianismo resta regale, ma non più davidico. Le vicende storiche portano alla caduta del regno di Davide e il concetto di messia non sarà più legato alla figura di un re. Si tenta l’interpretazione religiosa: il messia – si pensa – potrebbe avere un’origine non tanto regale, quanto sacerdotale.
Ci penseranno i Vangeli a raccontarci che Gesù è Figlio di Dio. Egli è Messia non perché discendente di Davide o perché di parentela sacerdotale. Egli è Messia in quanto è figlio di Dio. Si fonda ben più in alto la sua messianicità e allo stesso tempo si confonde con la semplicità della vita quotidiana.
Morale della favola: la folla lo ascoltava volentieri. Perché? Solo perché zittiva scribi e farisei? Qualcosa in più, direi. Lo ascoltavano volentieri perché invitava i più derelitti a prendere parte alla sua gioia. Li accostava per invitarli al banchetto del suo regno. Assaporavano la salvezza da vicino.
E Tu
sempre da noi atteso,
Tu pure attendi
che noi veniamo a Te
per un incontro d’amore
che non abbia fine.
(Anna Maria Canopi)
Dal Vangelo secondo Marco (12, 35-37)
In quel tempo, insegnando nel tempio, Gesù diceva: «Come mai gli scribi dicono che il Cristo è figlio di Davide? Disse infatti Davide stesso, mosso dallo Spirito Santo:
“Disse il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
sotto i tuoi piedi”.
Davide stesso lo chiama Signore: da dove risulta che è suo figlio?».
E la folla numerosa lo ascoltava volentieri.
Conosci tutto, Signore, e sai tutto di noi.
Ami guardarci da vicino senza farci arrossire.
Ami leggerci dentro il cuore senza forzarci.
Ami accoglierci così come siamo
perché sei venuto a cercare chi era perduto.
Ti seguiamo perché ognuno di noi
con Te si sente a casa sua.
Sentiamo che ti fidi di noi
anche se siamo quel che siamo,
anche se non siamo il meglio del mondo.
Per questa tua fiducia
abbiamo scoperto che abbiamo un valore
e che possiamo impegnarci con Te
perché abbiamo trovato le ali
per staccarci dal banale
e cominciare a volare in alto.
Hai parlato con il nostro linguaggio
perché imparassimo a parlare il linguaggio di Dio.
Per questo ti seguiamo e restiamo con Te.
Tanti sono stati quelli che sono stati proclamati o si sono fatti proclamare messia, ma di uno solo ripetiamo le parole e ricordiamo i gesti dopo più di 2000 anni.
Eppure non ha compiuto grandi imprese, non è diventata ricco e potente come i personaggi storici di cui leggiamo nei libri di storia.
Anzi, ha sempre avuto a che fare solo con i più semplici e umili del suo tempo, in un lembo di terra che era considerato periferia già a suo tempo.
In questo io vedo la pazienza e l’amore di Dio, che ci viene a cercare nelle piccole cose di ogni giorno. E con lo stesso stile ci ha donato suo figlio; non un re, ma un uomo co cui condividere le fatiche della quotidianità