Relazioni native
Santissima Trinità (B)
(Dt 4,32-34.39-40 / Sal 32 / Rm 8,14-17 / Mt 28,16-20)
Ci hanno provato! Ci hanno provato i pittori a raffigurare Dio, l’unico e trino Signore. Qualcuno l’ha dipinto in un unico corpo solo, un medesimo volto ma orientato in tre direzioni: al centro, a destra e a sinistra. Una specie di sequenza a scatti di un volto che si orienta ora qui ora là; o una specie di tridimensionalità appiattita. L’icona più celebre, quella dipinta tra il 1422 e il 1427 da Andrej Rublev raduna saggiamente attorno ad una tavola tre persone. A commento la beata Miriàm, la piccola araba, scrive: «O tre immensità che fate una cosa sola!». Il grande Masaccio dipinge un anziano Padre che sorregge la croce di un giovane figlio. Una colomba, somigliante ad un foulard bianco al collo del Padre è lo Spirito che unisce il Padre al Figlio. E potremmo continuare con l’arte di rappresentare attraverso la pittura.
Ci hanno provato ma non basta. Non ci bastano le rappresentazioni. Non ci bastano le definizioni. Queste chiedono di entrare ma intimoriscono sempre: se vuoi comprenderle devi addentrarti e sembrano solo scritte per lasciare fuori molto di più di quanto invece contengono. Perfino dei numeri e della geometria ci si è serviti per parlare di Trinità: uno e il cerchio perfetto; tre e un triangolo equilatero. Ancora no… approssimazioni. Precise ma non ancora parlanti.
E allora? Allora non basta. Siamo mancanti, portandoci dentro quella sensazione di non essere mai appagati, mai completamente soddisfatti. A questo si aggiungono i vuoti, le assenze, le mancanze. Non ci manca nulla e nulla vien fatto mancare. È la grande corsa di questo nostro tempo, una vera accelerazione, una corsa che non ammette ostacoli pur di avere, di raggiungere. Ma nulla compensa, nulla colma quelle mancanze che ci parlano sempre di diminuzione, di sottrazione. I Dodici non sono più che gli undici discepoli. Sparuto gruppo che ha perso colui che tradì la parola e il gesto «bacio», trasformandolo in indizio mortale piuttosto che segno di amore.
Tornano sul monte, quello che Gesù aveva indicato, in Galilea. Salire sul monte è ascoltare Dio, forse vederlo faccia a faccia, senza morirne. Come? Ascoltandone anche solo la Parola. Lo videro. Si prostrarono. E ancora dubitavano. Prostrarsi è il gesto della fede, un segno religioso di venerazione, di adorazione. Anche il dubbio sta dalla parte della mancanza: è la parte che manca ad una fede cieca. Che non pretende di vedere se non segni umanissimi di fiducia.
«Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato». Sono invitati ad andare verso tutti quei popoli (tra i quali ci siamo pure noi!) che temono sempre di percepire l’altro come nemico, come estraneo. Sono invitati ad andare per immergere l’uomo in quelle relazioni native, che sono in principio alla nostra esistenza, pescando in un mare di paure. Il cielo sotto cui siamo è il medesimo. La terra, la nostra natura è questa comune carne di cui l’uomo è fatto. Ma lo Spirito attesta che Dio ci s’è fatto conoscere con parole umanissime. Dio pesca dal nostro vocabolario i nomi e le parole che meglio si addicono a Lui. E a noi. Lo Spirito non fa che ricordarcele costantemente, togliendoci da quel rischio costante di ricadere nella paura: dell’altro e perfino di sé. O anche di Dio.
La Trinità dunque non sta dipinta nei quadri, non sta neppure nei calcoli o nelle forme geometriche, si impoverisce quando sta nelle formule. La Trinità è in noi quando mossi dallo Spirito gridiamo «Abbà, Padre», attestando che siamo figli. Dove c’è una semplice unità, lì la Trinità è perfetta.
L’universo non ha un centro,
ma per abbracciarsi si fa così:
ci si avvicina lentamente
eppure senza motivo apparente,
poi allargando le braccia,
si mostra il disarmo delle ali,
e infine si svanisce,
insieme,
nello spazio di carità
tra te
e l’altro.
(Chandra Livia Candiani, La precisione dell’amore)
Dal Vangelo secondo Matteo (28,16-20)
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.
Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Ti benediciamo, Signore Dio.
Tu non sei rimasto nella lontananza dei cieli.
Ci hai parlato nel fuoco, hai liberato il tuo popolo,
ci hai donato il Filgio e il tuo Spirito.
Ci conduci nei deserti della storia
verso la terra della promessa.
Donaci, Signore, l’intelligenza
che ci fa interrogare il cielo e la terra.
E negli avvenimenti della storia,
ci sia dato di leggere con emozione
i segni del tuo passaggio in mezzo a noi.
Ti rendiamo grazie, Signore Dio:
ci hai liberato da una religione
e da una morale da schiavi.
Ci chiami figli.
Fa’ che non ricadiamo nella paura
e nella schiavitù.
Hai affidato, Signore Dio, sul monte
agli undici – pochi di numero e ancor pieni di dubbi –
il compito della testimonianza:
È nella nostra debolezza che risplende la tua forza.
(Angelo Casati)
Ieri mattina quando il prete nel corso dell’omelia ha detto che “Dio ci cerca, vuole stare con noi, desidera la nostra compagnia” mi è venuto istantaneamente in mente il parallelo con un amico che stiamo ospitando in casa. L’amico, salito dalla Puglia per un incarico di supplenza scolastica, che appena rientra ci cerca, cerca il confronto, il dialogo, la condivisione… Talvolta anche al limite del fastidio (soprattutto per una giovane coppia al primo esperimento di convivenza come noi!). Eppure, dal pensiero parallelo l’illuminazione: Dio che tutto ha creato ha distribuito tra tutti noi un riflesso di sé , e in effetti è da tutta questa diversità che viene l’equilibrio. Fossimo tutti uguali potrebbe essere tutto più quieto come tutto MOLTO più caotico (con tutti che vogliono le stesse cose allo stesso momento). La differenza ci punge sul vivo delle diverse esigenze e necessità, ma al contempo ci soinge al movimento, all’attività alla “messa in discussione” che implica l’aprire le proprie ali, come cita la splendida poesia di Chandra Livia Candiani.
Ci mancava oggi questa meditazione…. che dire? Nulla se non definire la Trinità un Passaggio di Amore all’infinito. S.Agostino affermava :L’AMANTE,L’AMATO L’AMORE…” NOI PICCOLI, MA INVASI E ABBRACCIATI DAL MISTERO… “(A.Casati) le parole non bastano a descrivere un Dio così…”