Scusa, hai detto “Vegliate!”?
(1Ts 3,7-13 / Sal 89 / Mt 24,42-51)
Nota: qui, in terra bergamasca oggi si festeggia il santo patrono Alessandro. La liturgia eucaristica avrà letture proprie. Qui, per un semplice criterio di continuità, ho scelto di proseguire la lettura del Vangelo di Matteo.
Si dice che siamo fatti di attese. La vita stessa non si manifesta subito ai nostri occhi: un figlio è portato e custodito in grembo prima che possa venire alla luce ed essere visto. Così è per ogni seme gettato nel campo. Non vediamo cosa accade nel sottosuolo e solo dopo l’inverno vediamo lo stelo, la spiga o i frutti. Attesa, potremmo dire, è l’altro nome della vita.
Attendere è tendere a qualcosa. Attendere è darsi una meta, un obiettivo. E certo questa attesa va collocata ben oltre noi stessi, perché le attese quando riposano su noi stessi, rischiano di pesare oltre misura: caricare di attese un figlio, ad esempio, può essere molto deleterio per quel figlio e per i genitori stessi. Meglio attendere che quel figlio sbocci alla vita, che trovi la sua strada, senza imporgli – stando alla metafora della fioritura – il colore, la forma dei petali, il profumo che avrà.
Il Vangelo conosce bene la nozione del tempo e anche quella dell’attesa. Il Vangelo stesso è, in un certo senso, il frutto stesso di un popolo educato ad attendere. Non a caso, l’incarnazione – tratto evangelico distintivo – trova nel grembo di una ragazza il luogo dell’attesa.
Certo è che sempre l’attesa può spazientire. Certo è che siamo sempre meno pazienti. La velocità con cui avvengono processi e operazioni tolgono all’esistenza la sua nota caratteristica di essere attesa. Rapidità e velocità per di più sembrano proprio non lenire l’ansia ma, al contrario, l’acuiscono. Sembrano lontani i tempi dei regali attesi in quelle poche scadenze annuali come il compleanno o le festività natalizie. Oggi, ogni desiderio sembra avere la sua bellezza in un rapido esaudimento. A ben guardare, il pronto esaudimento di un desiderio sembra togliere valore all’oggetto stesso che s’è desiderato.
Vigilanza oggi ha purtroppo il sapore della sorveglianza, del controllo, meglio se affidato a telecamere puntate in ogni dove. Sembra che abbiamo delegato anche la vigilanza alla tecnologia: si costruiscono centrali, piene di schermi, che sono veri e proprio luoghi strategici di controllo remoto. Intanto abbiamo perso quella capacità di farci custodi dei luoghi in cui viviamo e, per paura di strane reazioni, non osiamo neppure più dire qualcosa davanti a comportamenti poco consoni o atteggiamenti palesemente fuori luogo. Al primo pericolo non sventato si corre rigorosamente a ricostruire il tutto a partire da immagini di telecamere di sorveglianza.
Desiderare, saper attendere o chiedere vigilanza – nel caso del Vangelo – sembrano allora abilità da sviluppare per ridare valore a ciò che è atteso, desiderato, sperato. La vigilanza di cui parla il Vangelo ha piuttosto assonanze con il servizio e con quella capacità di dare da mangiare. A guardare certe nostre ingordigie, certe nostre avidità, ci sarebbe davvero da dedurre che la nostra attesa s’è raffreddata, per non dire spenta proprio come quel servo della parabola evangelica che giustifica la sua «bella vita» a motivo del ritardo del padrone.
Tra parole e parabole evangeliche che possono perfino allarmare o prospettare «pianto e stridore di denti» c’è sempre nascosta una beatitudine, come ben ha fatto Matteo in tutto il suo Vangelo. Il capito quinto con il celebre discorso delle beatitudini non era che la tonalità del suo stesso vangelo. La beatitudine della vigilanza e dell’attesa viene dalla nostra capacità di donare cibo a tempo debito. Sì, perché c’è un tempo per mangiare e un tempo per digiunare. Anche la fame conosce il tempo dell’attesa e in nostro stesso organismo metabolizza meglio quando mangiamo ad orario. Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così!
O Santo Spirito,
che non si vede perché è la sorgente di ogni visione,
che non si ode perché è l’udito stesso,
che non si conosce perché è la fonte di ogni conoscenza,
Spirito Santo che ti cancelli per servire
e per condurci al Padre,
Tu l’eterno dimenticato,
sii lodato e adorato.
Michel Bouttier
Dal Vangelo secondo Matteo (24,42-51)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni.
Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti».
Vieni di notte,
ma nel nostro cuore è sempre notte:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni in silenzio,
noi non sappiamo più cosa dirci:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni in solitudine,
ma ognuno di noi è sempre più solo:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni, figlio della pace,
noi ignoriamo cosa sia la pace:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a liberarci,
noi siamo sempre più schiavi:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a consolarci,
noi siamo sempre più tristi:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni a cercarci,
noi siamo sempre più perduti:
e dunque vieni sempre, Signore.
Vieni, tu che ci ami,
nessuno è in comunione col fratello
se prima non lo è con te, Signore.
Noi siamo tutti lontani, smarriti,
né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo:
vieni, Signore.
Vieni sempre, Signore.
(David Maria Turoldo)
Mi piace l’idea dell’attesa,
personalmente ho sempre dato molto valore a questa modalità, ovvero il mettersi in attesa.
Attendere per me significa aspettare il tempo che da’ valore, che conferma il valore che qualcosa di importante merita.
Ho sempre ringraziato il tempo dell’attesa, anche quando scalpitavo e non vedevo l’ora, sapevo che man mano cresceva la mia emozione attendendo il momento.
Attendere è anche un atteggiamento molto educativo verso noi stessi che altrimenti ci abituiamo ad ottenere sempre tutto subito senza essere più capaci di dare valore e dire grazie.
Per abbracciare i miei figli per la prima volta ho dovuto attendere nove mesi, e il Signore sa quando desiderio avevo di raggiungere la scadenza per vederli nascere.
Ma il tempo dell’attesa mi ha permesso non solo di riconoscere il valore immenso del dono della vita, ma anche di arrivare preparata.
Di prepararmi …
Stasera Gesù Ti chiedo di aiutarmi a prepararmi durante l’attesa, ad essere attiva, dinamica, pienamente consapevole,
attenta e sensibile,
per dare valore,
per arrivare pronta.
Proprio come è successo durante le mie gravidanze…
Tempo di attesa…
Grazie Gesù per quanto anche oggi mi hai consegnato in termini di saggezza e cura verso il mio Spirito.
Vivere l’attesa aumentando l’intesa con la preghiera costante, perché si possa sempre più vivere pregando e pregare vivendo…allora forse non ci si sarà resi nemmeno conto di quanto si ha atteso e l’attesa lascerà il posto alla sorpresa…quando le nostre parole e la nostra vita si saranno fatte preghiera di ringraziamento e lode a Dio, che da sempre ci ha attesi! Vieni sempre, Signore ed insegnaci a pregare, a vivere e ad amare come vuoi Tu.
Attesa è l’altro nome della vita. L’ho sempre ripetuto pensando all’attesa di un figlio, all’attesa che cresca, che studi, che viva la sua vita. Insomma sempre riferito ad altri, al fatto di essere genitori, al non avere fretta. Ma il non avere fretta è anche vivere il presente, quello che facciamo e quello che ci circonda ogni giorno. Tanti anni fa decisi di non stare alla finestra ad “attendere” che qualcosa o qualcuno arrivasse nella mia vita mentre sotto i miei occhi la vita scorreva, ma di scendere in strada e di vivere semplicemente. Credo che sia stata la decisione più importante della mia vita. Ma qui mi rendo conto che “tendere a” sia molto diverso di “aspettare”. Si tratta di vivere tutti i giorni in pienezza, vivere il presente tendendo al futuro.