Soltanto Lui
Martedì – seconda settimana di Quaresima
(Is 1,10.16-20 / Sal 49 / Mt 23,1-12)
Credo sempre più che Gesù – Lui soltanto – poteva dirci che Dio è Padre. Forse a qualcuno di quelli che studiavano «attorno a Dio» sarà pure venuto in mente: quasi un’ipotesi, un pensiero che ti sfiora per un attimo. Oppure il termine «padre» trovato qua e là nelle Scritture ma così poco ricorrente rispetto ad altri titoli più selettivi e altisonanti, da non dedicargli così tanta attenzione. Dire apertamente che Dio è Padre e dirlo ad alta voce con tutto se stessi, è troppo compromettente. Perfino rischioso. Fino alla morte.
Gesù doveva essere più che certo di quelle affermazioni che andava dicendo apertamente, nei suoi discorsi ai discepoli e alle folle, fino a pochi giorni prima della sua morte. Fin sulla croce. Una critica aperta al potere religioso detenuto da scribi e farisei. E mentre lo accusavano di essersi fatto come Dio, non compresero che egli semplicemente si stava comportando come un figlio obbediente, in ascolto profondo del Padre. Non asservito, non sottomesso. Libero. E quando si è liberi le cose si comprendono meglio, non devi di certo tacere per stare sottomesso a qualcosa o qualcuno.
Scribi e farisei, si untavano di essere uomini dell’ascolto delle Scritture. E salivano in cattedra per insegnare l’interpretazione delle Scritture. Ed erano capaci di tendere trappole per farci cader dentro qualcuno che fosse veramente intenzionato a vivere secondo le Scritture. A pochi giorni dalla sua morte, Gesù pronuncia la sua invettiva contro il potere religioso. E sono in molti che assimilano Gesù ai tanti anarchici della storia. Basta rompere con gli schemi e sei un anarchico. Basta fare diversamente e sei «un originale». Non capivano, tanto erano lontani da una vera comprensione delle Scritture che dicevano di conoscere, che Egli non era un anarchico ma un uomo che sapeva bene di chi era figlio. E così scelse di affidarsi unicamente a suo Padre. Il suo corpo cadde in mano agli uomini, ma il suo spirito, ogni giorno e alla fine sulla croce, lo consegnava nuovamente a suo Padre. Il suo corpo servì come strumento perché vedessero la figliolanza, la fraternità, il servizio, la cura…
La qualità del nostro credere, del nostro rapporto con il Vangelo non sta in un numero di pesanti pratiche da osservare, fossero anche pratiche religiose. Non sta nemmeno nei titoli e nei ruoli, negli incarichi e nei posti di comando. La qualità del nostro credere è racchiusa in un servizio umile e quotidiano ai bisogni dell’altro. L’amore per Dio non sta nell’osservanza esteriore e legalistica quanto piuttosto in quei rapporti semplici, discreti, umili e infine fraterni che cerchiamo di intessere ogni giorno.
Tu, il Cristo di compassione,
attraverso il tuo Vangelo
scopriamo che a nulla serve
sforzarsi per misurare
quello che siamo o che non siamo.
L’essenziale sta nell’umilissima fiducia della fede.
È questo che ci consente di percepire l’innocenza di Dio
e di comprendere che Dio
non può che donare il suo amore.
Dimitri Grechi Espinoza, The Mountain, REcreatio
Dal Vangelo secondo Matteo (23,1-12)
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Pellegrino sulla terra,
ogni giorno ti cerco,
ma dove trovarti, Signore?
Raccogli il tuo sguardo
verso il fondo del tuo cuore:
sono lì che ti cerco.
Affamato di giustizia,
al mattino spero in Te,
come placare la mia fame?
Accogli l’eucarestia
e la mia vita condivisa:
il tuo desiderio e la mia speranza.
Angosciato dal silenzio,
la sera ti invoco,
il mio grido, lo senti salire?
Impara ad ascoltare,
esorcizza la paura,
il mio silenzio ti chiama.
Attratto dal Padre,
appostato ti attendo la notte,
Gesù, verrai presto?
Io busso alla tua porta
e mi pongo in attesa: aprimi,
sono impaziente di essere accolto.
Pellegrino sulla terra,
ogni giorno ti cerco,
ma Tu mi hai trovato, Signore.
(Fr. Maurice de Tamié)
“Pellegrini sulla terra”: ecco cosa siamo. Il pellegrino non mette radici Non afferra, non cerca compiacimento,arriva si ferma un po’condivide il suo sapere, le sue paure,le sue ansia,ma non perde di vista il Cielo e tiene viva la sua fede nell’attesa di raggiungere la vera ed ultima metà.
Essere docili per ascoltare e vivere nella quotidianità Parole di vita e tradurle in gesti d’amore tra noi.
Che le nostre, Signore, non siano solo parole “ammaliatrici” ma concrete e coerenti azioni di testimonianza. Insegnare ai propri figli a dire grazie dicendolo noi per primi, a salutare salutando, a chiedere scusa facendolo noi, anche con loro, se sbagliamo o eccediamo. Non c’è miglior insegnamento di chi riesce a fare ciò che dice ed Uno su tutti ce lo ha mostrato.
Che, imparando da Lui, si possa sempre più essere testimoni credibili di quell’amore. Il Regno di Dio, prima che in cielo, lo incontreremo sulla terra.